1987 – Di sparatutto a sfondo bellico ne abbiamo visti a bizzeffe durante gli anni d’oro del settore Arcade e, a pensarci bene, non avrebbe potuto essere altrimenti. Stuzzicati a dovere dall’iperbolica ondata di “reaganiano rambismo” riversatasi dal continente yankee sul panorama mediatico degli eighties, gli sviluppatori dell’epoca non si sarebbero mai lasciati scappare l’occasione di costruirvi attorno un ricco business.
Se la maggior parte dei titoli di genere si concentrarono nell’elaborazione di format legati ora alla sfera top-down, ora a quella side-scrolling, vi furono anche progetti dal taglio meno tradizionale che, beneficiando del supporto di cabinati dedicati, individuarono nel filone rail-shooter e nella complementare adozione della soggettiva, gli strumenti atti a garantire un’esperienza più coinvolgente.
Il profeta assoluto di quella che, di lì a poco, avrebbe assunto connotati da corrente creativa pressoché indipendente, fu senza ombra di dubbio il possente Operation Wolf. Realizzato dalla East Technology e distribuito sotto etichetta Taito a partire dal 1987, il gioco ruotava intorno alle peripezie affrontate dal berretto verde Roy Adams nel tentativo di liberare cinque importanti funzionari statunitensi tenuti in ostaggio entro i confini di un campo di prigionia.
Caratterizzato da un’ambientazione che, pur senza presentare riferimenti diretti, suggeriva marcate analogie con lo scenario vietnamita, ognuno dei sei stage previsti avrebbe sfoggiato un numero consistente di ostili intenti a puntare le proprie armi contro l’utente al di là dello schermo. Grazie all’impiego di un efficace effetto scaling, essi andavano occupando l’intera profondità del campo di battaglia, invitandolo ad accorgere costantemente la propria mira: se i soldati in primo piano potevano essere difatti centrati con una certa facilità , quelli posizionati in fondo alla videata richiedevano maggiore accuratezza, nonché un certo acume strategico.
In pieno rispetto dei dogmi strutturali alla base della formula rail-shooter, i livelli sarebbero andati dipanandosi al ritmo di uno scrolling orizzontale costante ed autonomo, per poi confluire nella consueta videata fissa adibita ai boss fight: costituiti in prevalenza da mezzi corazzati e velivoli ad assetto offensivo, questi ultimi costituivano sfide alquanto impegnative, nell’ambito della quali si era puntualmente costretti a rimpinguare il proprio credito onde evitare prematuri game over.
Operation Wolf si impose ben presto come uno dei coin-op più gettonati del 1987, assurgendo altrettanto rapidamente al rango di cult-game per tutti i segugi da sala. Il suo retaggio non si è inoltre limitato alla produzione di svariati sequel ufficiali, né alle numerose conversioni che lo videro approdare nei salotti di mezzo mondo. E’ d’altronde innegabile che classici successivi quali Beast Busters, Virtua Cop e The House of the Dead gli siano concettualmente debitori. Più che rapportarci ad esso come ad un semplice caposaldo di genere, preferiamo in ogni caso definire Operation Wolf come uno dei titoli più incisivi della sua epoca rivendicandone, per estensione, un posto di primo piano nel gotha dell’universo Arcade.