Monster Energy Supercross : The Official Videogame – Recensione

Dalle parti di Milestone, questo è un fatto, sanno come programmare videogiochi. E sanno farlo da tempi non sospetti, ovvero ben prima che il vento filo italico recentemente spirato dalle parti di Ubisoft Milano traghettasse e sdoganasse il talento nostrano oltre i confini della notorietà mondiale. Ora, tutto questo per dire che no, Monster Energy Supercross non è certo il titolo dell’anno, eppure, al netto dei pregi e dei limiti di un prodotto su licenza, contiene tanti piccoli segnali su quello che sarà il futuro prossimo e – scommettiamo! – roseo di una software house pronta a fare il salto di qualità definitivo. Per ora, però, ci tocca accontentarci dei salti, e saranno davvero tanti, delle supercross oggetto di questa recensione.

Enduro Racer

Dalle parti di Milestone, soprattutto, sanno come programmare racing. Da Screamer ai giorni nostri, il numero di titoli dedicati ai motori è enorme, importante. Eppure, l’offerta della casa milanese rischiava di arenarsi davanti al progresso tecnologico inseguito senza fortuna dall’engine proprietario Jam incapace, oggettivamente, di competere con le produzioni tripla A di una concorrenza sempre più agguerrita. Un vero peccato, laddove giochi come Valentino Rossi The Videogame o Ride 2 meritavano una cornice tecnica sicuramente migliore. Quantomeno pari ad una mole di contenuti e gameplay, questo sì, che non temeva confronti. Un handicap particolarmente evidente proprio in Ride 2: una sorta di Gran Turismo su due ruote impossibilitato, però, a restituire un impatto visivo realmente moderno.  Ed è in questo contesto che si inserisce Monster Energy Supercross, titolo su licenza del campionato mondiale di Supercross americano capace, un po’ a sorpresa, di spazzare via molte di quelle criticità addotte nel noioso preambolo. La ricetta magica, in questo caso, passa dall’utilizzo dell’Unreal Engine 4. Ci arriveremo. Non prima, però, di aver snocciolato le qualità di un prodotto atipico, almeno per il mercato europeo dove la stessa disciplina non gode certo del seguito rivendicato dal campionato Motocross. Eppure, la base di tutto sono proprio i bolidi del campionato gemello, qualche mese fa oggetto del terzo capitolo di MXGP. Il primo titolo della casa milanese, per altro, a beneficiare del cambio di engine. Quel lavoro di adattamento non è stato fine a se stesso e, anzi, con Supercross segna un nuovo e importante step evolutivo visibile a schermo sin da subito. Da quando, cioè, superato un caricamento un po’ troppo lungo, ci si ritrova ad inforcare una motocicletta all’interno della prima arena.

Excite Bike

La Supercross, infatti, non è una disciplina “aperta”. Piuttosto, si tratta di una competizione da vivere nel recinto, invero spettacolare, di stadi ed arene chiamate ad incorniciare i tracciati e, idealmente, gli incredibili salti proposti dal disegno dei cricuiti. La prima gara, dimostrativa, serve a familiarizzare col sistema di controllo grazie alle abilità di Ryan Dungey, campione in carica della classe 450cc, costretto, in questo caso, a fare i conti con le capacità, tutt’altro che idonee, dell’incauto recensore. Il fatto è che domare una moto da Supercross richiede una tecnica ben diversa rispetto a quella “canonica” di una stradale o una sportiva. Lo è nella realtà, lo è anche nel videogioco. L’alternanza di whoops e salti doppi richiede un approccio più simile, per certi versi, ad uno snowboard. Intendiamoci, la mappatura dei controlli chiarisce subito che, nel gioco, non c’è spazio per mosse speciali o veri e propri trick. Piuttosto, la sfida è familiarizzare con una filosofia di fondo radicalmente diversa per chi, come il sottoscritto, ha sempre preferito l’asfalto al fango. La sfida, pure, è metabolizzare adeguatamente una fisica non sempre impeccabile, eppure estremamente caratterizzante. Piuttosto che chiedere al pilota di “piegare” il corpo fino a dipingere la curva con il ginocchio, Supercross ci pone davanti a salti e piroette in aria dove il corpo è umana bilancia da calibrare per affrontare al meglio il prossimo salto. E poi, un altro ancora. Fino al traguardo dove, questa la speranza, si salterà per primi, tra esplosioni, fiamme e fuochi d’artificio. Nei tre campionati disponibili, che fanno da ossatura anche alla modalità carriera, l’obiettivo principale sarà sempre quello di  lasciarsi alle spalle gli altri 21 piloti, per accumulare più punti possibile attraverso le varie arene sparse in lungo e largo sulla mappa degli Stati Uniti. Prima nei due campionati dedicati alla categoria 250, divisi tra le due coste, e poi la classe regina targata 450. La possibilità di accumulare crediti e prestigio apre poi le porte alle sponsorizzazioni e, quindi, allo “sblocco” di nuove moto e attrezzature, per una personalizzazione principalmente estetica, a suon di etichette ed aziende reali, del proprio alter ego. La sequenza di eventi, con trascurabili minisfide a fare da contorno, non basta, da sola, a spazzare via le ovvie critiche circa la monotonia propria dell’offerta. Trattandosi di un prodotto su licenza, per altro di un campionato lontano dall’Europa e dall’Italia, rischia di togliere un po’ di mordente all’esperienza ludica. Il track design, nella sua fedeltà ai percorsi ufficiali, non solo intacca la varietà del gameplay, ma soffoca anche le velleità visive di un motore grafico che, nella versione Xbox One X testata, fa comunque la sua figura. L’inclusione di grafiche, loghi e colori del campionata AMA è sicuramente un pregio per gli appassionati che, però, unita alla monotonia di gare da affrontare in persistente notturna, rischia di intaccare l’appeal per il grande pubblico. Si tratta, chiaramente, di vizi fisiologici di un qualsiasi prodotto su licenza, per altro parzialmente respinte dall’inclusione di un editor di tracciati ben strutturato e dalle scontate modalità legate al multiplayer.

Hang On

È un attimo, solo un attimo, quello che intercorre tra il primo impatto con il gioco e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un prodotto che, anche visivamente, ambisce a competere con titoli altisonanti nel genere dei racing. Non solo su due ruote. L’utilizzo dell’Unreal Engine, evidentemente assorbito dal team, mostra i muscoli nel sistema di illuminazione, nelle texture e negli shader. Proprio le superfici, in primis il fango onnipresente sui tracciati, danno la giusta misura delle capacità grafiche dei programmatori milanesi che superano anche il test della modellazione di moto e piloti. Le magagne, se mai, risiedono negli aspetti legati a fisica e collisioni. Anche preferendo un approccio più simulativo, opzione presente nel menu di gioco, gli elementi legati a routine più complesse cedono il passo ad un gameplay sempre e comunque legato ad una filosofia arcade riscontrabile, pure, nel particolare utilizzo dei colori, per una palette sgargiante adatta allo spettacolo offerto dalla disciplina. Pazienza, insomma, per contatti non sempre capaci di regalare quella fisicità propria di un campionato seguitissimo negli States e pure sugli spalti virtuali, dove la ripetizione degli elementi poligonali, comunque impossibile da cogliere in game, è un giusto compromesso per un frame rate quasi sempre solido. Anche in 4K.

The Past and The Future

Nella centrifuga di aspetti, pregi e difetti di Monster Energy Supercross emerge, ancora una volta, l’incredibile potenziale di Milestone. Superati, grazie all’Unreal Engine, i paletti imposti dall’obsoleto motore grafico proprietario, quel che resta non è solo un titolo pensato per aggredire il mercato d’oltreoceano, ma un vero e proprio passaporto per produzioni future. La ragionevole certezza di trovarci di fronte, in tempi relativamente brevi, ad un nuovo episodio di Ride piuttosto che a inedite IP motoristiche sorrette da una più potente piattaforma di sviluppo, rendono questo titolo una sorta di ponte tra quello che era e quello che sarà. Oppure, più banalmente, un titolo imperdibile per gli appassionati di un campionato affascinante, esotico nelle regole e nei concetti di base. Forse troppo esotico per chi, in fondo, non ha mai voluto fare l’americano. Non a bordo di una noto che non fosse guidata da Kenny Roberts, per lo meno. E questo, s’intende, è un limite mio. Non certo di Monster Energy Supercross.

 

Michele Iurlaro è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti e dei praticanti professionisti. Scrive molto. Scrive troppo. Da troppo tempo