Kingdom Come: Deliverance – Recensione

Introduzione

Non saprei dire se sia stato il sole che penetra dalle finestre, il clangore del martello di mio padre al lavoro nella bottega, la voce dolce ma apprensiva di mia madre o quella pinta di troppo che iersera Matthew e Fritz mi hanno convinto a buttare giù, e che oggi picchia incessante contro le pareti del cranio, ma sono sveglio e sto già marciando di gran carriera verso la città, desideroso di sbrigare al più presto un paio di faccende prima dell’arrivo di ser Radzig, signore del castello di Skalica e fidato servitore di re Venceslao.

Skalica, già, la terra che mi ha dato i natali: un piccolo paese nel cuore della Boemia che prospera grazie alle sue ricche miniere d’argento. La vita qui scorre senza grossi intoppi, tutti conoscono le facce, la condotta e i segreti di tutti, la prigione è sempre vuota e i boccali sempre pieni. Nessuno potrebbe mai desiderare qualcosa di meglio, se il suo sogno fosse quello di nascere, crescere e morire qui senza mai vedere quello che il mondo potrebbe offrirgli.

Mentre fantastico su quanto si cela oltre le palizzate di legno raggiungo, ancora mezzo addormentato, la casa di Kunesh, l’ubriacone del villaggio dal quale dovrei cercare di riscuotere almeno parte dei groschen che deve a papà. Provo a ragionarci ma, come previsto, i pugni sono l’unica cosa che riesce a comprendere: me ne molla un paio a tradimento, che tuttavia hanno l’unico effetto di destarmi dal torpore, e così gli spiego a suon di lividi l’importanza di ripagare i debiti contratti da lunga data, tenendo sempre un occhio verso la strada principale per controllare che non sopraggiungano le guardie cittadine.

Alla fine, il vecchio Kunesh capitola e mi lascia frugare nei suoi averi per raccattare qualcosa da rivendere al carbonaio, dal quale prendo i sacchi necessari per completare la forgiatura. Passo a salutare la mia amata Bianca presso la taverna, e resto ad ascoltare le farneticazioni politiche del tedesco che ogni giorno sbraita contro Venceslao, lodando invece il tirannico operato del fratello Sigismondo. Declino il pur allettante invito di Matthew e degli altri, decisi ad abbellire la facciata di casa del nostro teutonico amico con una bella passata di letame, e mi dirigo alla fucina. Ma prima, decido di fermarmi a scambiare quattro chiacchiere con Vanyek, uno straniero giunto pochi giorni fa a Skalica, il quale mi invita a mostrargli i progressi che ho fatto con la spada sul campo di addestramento. Lo so che i miei sono contrari, d’altra parte nessun genitore sarebbe felice di vedere il proprio figlio che brandisce un’arma; nondimeno, se qualche ramanzina è il prezzo pattuito per essere in grado di difendermi una volta che sarò in viaggio, allora sono ben felice di pagarlo.

I complimenti di ser Radzig mi rimbombano ancora piacevolmente nelle orecchie e nello stomaco al termine della sua visita: l’espressione compiaciuta che ostentava esaminando la spada forgiata da noi due è la lusinga migliore che un fabbro possa mai ricevere, e riescono a farmi comprendere appieno la soddisfazione derivante da questo tipo di mestiere. L’inebetita soddisfazione quasi non mi fa accorgere di Theresa, la figlia del mugnaio, alla quale dovevo consegnare un martello ed un sacchetto di chiodi. La guardo allontanarsi con malcelato interesse mentre papà mi rivolge un’occhiata eloquente, prima di tornare ad aiutarlo con le ultime rifiniture.

Prima di vederlo sorridere per l’ultima volta.

Prima che tutto cambi, per sempre.

Kingdom Come: Deliverance
Tutte le ambientazioni sono riprodotte con assoluta fedeltà, basandosi sulle ricostruzioni degli insediamenti dell’epoca effettuate dagli storici contemporanei.

D’un tratto, una fiumana scura incornicia l’orizzonte. Il suono di un corno riecheggia in cielo e decine di corde vibrano all’unisono, facendo cadere sul villaggio una pioggia mortale fatta di strali infuocati. L’odore di fumo e sangue mi riempie i polmoni. Con una strana luce negli occhi, il babbo mi affida la lama ancora calda e si precipita in piazza alla ricerca della mamma, gridandomi di raggiungere a tutti i costi il castello. Lo vedo allontanarsi a grandi falcate, corro nella direzione opposta ma, alfine, la realtà mi colpisce come uno schiaffo e scelgo di disubbidirgli. Arranco in direzione delle porte di Skalica, e quando le raggiungo le gambe mi tradiscono. Pietrificato, osservo i miei genitori che sfuggono alla carica di un’orda di combattenti dalle armature bizzarre, che strillano parole rabbiose in una lingua mai sentita. Papà combatte come un leone, protegge sua moglie con l’impeto furioso della disperazione, entrambi mi rivolgono uno sguardo a metà fra lo stupito e l’angosciato.

Poi sopraggiunge lui. L’uomo che ha ordinato alle truppe di assaltare il borgo sventolando il vessillo di Sigismondo, dalla testa glabra, i folti baffi ed i lineamenti scolpiti come quelli del tedesco che ora scorgo riverso in una pozza formata dal suo stesso sangue. Con un singolo fendente abbatte mio padre, e lascia che i suoi nefandi compari facciano scempio del corpo di mia madre. Avverto una morsa gelida che mi serra lo stomaco, nella testa si scatena un tripudio di lampi biancastri e l’istinto di sopravvivenza ha la meglio su di me, portandomi via di corsa da quel luogo. Il ponte levatoio del castello è stato già issato, ma le sentinelle mi urlano di montare in groppa al primo cavallo e raggiungere Talmberg, dove le mura della roccaforte di ser Divish mi proteggeranno dagli invasori.

Durante la fuga mi imbatto in Theresa, bloccata contro un muro da tre soldati nemici. Non posso nulla contro di loro, ne sono ben consapevole, ma il solo pensiero di quel che potrebbero farle unito a quanto ho visto poc’anzi mi annebbia la mente. Con una spallata ne spingo via uno, gli altri si voltano verso di me ed estraggono le sciabole, mentre Theresa riesce a divincolarsi e fuggire in casa, sbarrando la porta dietro di lei. Non ho tempo di compiacermi del gesto, perché una stoccata che non sono abbastanza lesto da schivare mi apre uno squarcio sopra l’inguine. Arretrando, sbatto contro una giumenta sellata e le salgo in groppa più in fretta che posso, lanciandola lungo il sentiero che conduce verso Rovná e Talmberg. Un’altra fitta esplode lungo la coscia quando un arciere a cavallo mi colpisce con una freccia, che resta piantata lì a sanguinare. Il dolore lancinante preme affinché arresti quella corsa sconsiderata ed implori pietà ma, di nuovo, il corpo sa bene che da quei mostri in armatura non otterrei alcuna clemenza e picchia con i talloni sui fianchi dell’animale, pregandolo di resistere ancora.

Giunto nei pressi del fortilizio, le frecce scoccate dagli arcieri sulle mura fischiano alte sopra di me, arrestando gli inseguitori e permettendomi di accedere alla corte interna. Mi trascinano giù dal quadrupede di peso, riesco ad accennare loro dell’assedio di Skalica ma la perdita di sangue confonde le mie parole, finché un uomo dall’espressione burbera ma rassicurante mi fa cenno di restare in silenzio e di stringere i denti. Con uno strattone deciso estrae il dardo, lasciandomi scivolare in un oblìo nero ed ovattato.

Perdo i sensi nella speranza che, di lì a poco, sarebbe arrivata mia madre a svegliarmi da quell’incubo. Mi sarei alzato, avrei aiutato papà alla forgia, per poi raggiungere gli amici dopo il lavoro ed incontrare Bianca. E sì, forse quella sera le avrei finalmente strappato un bacio.

Kingdom Come: Deliverance
Il dettaglio di vestiti e corazze rispecchia lo stile del XV secolo, facendo risaltare magnificamente lo studio approfondito svolto dagli sviluppatori

Dio sia con te

Titolo fortissimamente voluto da Daniel Vávra, già autore dei primi due capitoli di Mafia, affermare che questo suo Kingdom Come: Deliverance abbia avuto uno sviluppo travagliato significherebbe minimizzare le molteplici vicissitudini che ha dovuto affrontare prima di raggiungere gli scaffali fisici e digitali: respinto a più riprese dalla precedente compagnia per la quale lavorava, la 2K Czech, quando era soltanto un prototipo embrionale, nel 2011 Vávra decide di farsi personalmente carico della sua realizzazione fondando la Prague Game Studios assieme al socio Martin Klíma, ex produttore per Codemasters e Bohemia Interactive, con cui porta avanti per i successivi tre anni il complesso ed ambizioso progetto di un gioco di ruolo open world che fa della meticolosa ricostruzione storica il suo punto di forza. Ma il piccolo team si rende dolorosamente conto che passione e buoni propositi non sono sufficienti a dare forma concreta all’idea, e così nel gennaio del 2014 viene lanciato un Kickstarter che mira a raccogliere una piccola percentuale dei fondi ritenuti necessari per il completamento dell’opera, in modo da dimostrare agli eventuali investitori l’esistenza di un bacino d’utenza attivo e volenteroso: l’operazione è un successo e viene portata avanti anche sul sito ufficiale dopo la fortunata chiusura del finanziamento collettivo, fino a racimolare più della metà della cifra ipotizzata, della cui parte restante si occupa Koch Media la quale, tramite la sua divisione distributiva Deep Silver, offre a Vávra, Klíma e soci l’opportunità di far approdare Kingdom Come: Deliverance anche sulle console dell’attuale generazione.

Oltre a modificare la ragione sociale in Warhorse Studios, gli sviluppatori hanno introdotto numerosi cambiamenti alla struttura di base del titolo nel corso dei mesi anteriori alla pubblicazione, che da RPG totalmente affrancato da qualsivoglia vincolo narrativo si è trasformato in un’esperienza molto più guidata, calandoci nelle braghe del figlio del fabbro di Skalica, Henry, sopravvissuto al massacro del suo villaggio e di tutti i suoi cari per mano di Markvart von Auliz, un emissario di Sigismondo di Lussemburgo a capo di un esercito di nomadi cumani. Purtroppo, la saltuaria copertura mediatica ha fornito a molti la percezione errata dell’avventura, ma bisogna sottolineare l’estrema correttezza della casa di software che è rimasta regolarmente in contatto con la propria comunità di appassionati, aggiornandoli di frequente attraverso il forum e la pagina Kickstarter circa tutte le modifiche fondamentali ed integrative apportate: quello che abbiamo tra le mani, quindi, non è un gioco di ruolo completamente libero nel quale potremo forgiare da soli il nostro personaggio da zero, il destino al quale andremo incontro e quello del mondo in cui ci muoveremo, ma innanzitutto la storia di Henry e del suo personale cammino di crescita che lo porterà a infliggere il giusto castigo sui responsabili della morte dei genitori, le cui circostanze varieranno a seconda del modo in cui decideremo di affinare le sue capacità. In tal senso, più che ad un titolo qualsiasi della serie The Elder Scrolls, come d’altronde l’interfaccia grafica potrebbe suggerire, Kingdom Come: Deliverance somiglia proprio ai precedenti lavori di Daniel Vávra, ossia Mafia: The City of Lost Heaven e Mafia II, dove tutte le missioni e le attività secondarie intraprese erano comunque al servizio di una componente story driven ben definita.

Kingdom Come: Deliverance
La mappa del gioco, come la sequenza introduttiva, è realizzata nel medesimo stile delle illustrazioni medievali.

Sono venuta a portarvi conforto

Il tutorial che precede l’invasione del villaggio di Skalica fornisce un’idea generale dei comandi, che in effetti non si discostano più di tanto da quelli di un qualsiasi RPG in prima persona, oltre ad elargire tutti i ragguagli necessari per comprendere la tormentata situazione politica in cui versava il Regno di Boemia agli albori del 1400: tanto gli eventi storici quanto le informazioni relative agli incarichi, ai personaggi ed ai controlli sono riepilogate nel codex inserito all’interno dell’inventario, una prassi che fa sempre piacere trovare come pratico riferimento, tramite cui possiamo anche constatare l’elevatissima qualità dell’adattamento italiano che ha tradotto i dialoghi e le definizioni originali utilizzando una terminologia appropriata per il periodo, come ad esempio “balivo” per “bailiff” anziché un generico “ufficiale giudiziario” oppure “flebotomo” per “bloodletter” (colui che cura le malattie mediante salasso). La storia, in realtà, non presenta colpi di scena particolari né si discosta più di tanto dall’obiettivo che si prefigge Henry dopo il tragico accaduto, ma viene sviluppata con la cadenza necessaria per darci modo di entrare in simbiosi con un mondo pulsante e verosimile, permettendoci di fare la conoscenza di usi e costumi ormai desueti con l’approccio e il ritmo che più ci aggrada una volta superata la fase iniziale, oltre a fornirci il giusto stimolo per accompagnare il protagonista lungo la sua odissea. Le caratteristiche che hanno segnato il trionfo per molti dei giochi di ruolo occidentali più blasonati, come i suddetti The Elder Scrolls o l’eccezionale saga di The Witcher, vengono affiancate da una serie di meccaniche supplementari che rivestono un’importanza fondamentale perché, oltre a gestire il nostro stato di salute e di resistenza fisica, dovremo stare attenti anche a mangiare (senza esagerare, peraltro!) ed a riposare con una certa regolarità, pena l’insorgere di un nutrito assortimento di svantaggi che si ripercuotono tanto sulle nostre statistiche quanto sull’azione di gioco: la mancanza di sonno rende infatti vista e movimenti confusi, mentre uno stomaco che brontola all’improvviso non è proprio il massimo quando stiamo cercando di passare inosservati da qualche parte!

Oltre a ciò, il livello di igiene personale incide anche sulle relazioni con i personaggi non giocanti, che potrebbero mostrarsi insofferenti e poco propensi al dialogo di fronte al tanfo di vestiti che non vengono lavati da giorni… di contro, qualche macchia di sangue qua e là fornisce utili bonus qualora stessimo tentando di intimorire qualcuno. In quest’ottica, Kingdom Come: Deliverance somiglia quasi ad un simulatore di sopravvivenza in un contesto medievale e farà la gioia di quanti adorano tenere sotto controllo tutti gli aspetti del proprio personaggio, soprattutto considerato che una fine prematura potrebbe sopraggiungere anche a causa dell’ingestione di cibo avariato, di un colpo di calore o di una ferita aperta che non viene trattata a dovere. Le conversazioni vengono regolate da un sistema a scelte multiple tipico del genere, con la possibilità di intavolare discussioni che facciano leva su una certa caratteristica il cui valore ci viene sempre mostrato a video e, nel caso in cui si conosca bene il proprio interlocutore, messo a paragone con la sua per darci un’idea della probabilità che le nostre parole colpiscano nel segno. Anche la reputazione e le gesta nobili, o meschine, per le quali ci siamo fatti riconoscere sul territorio incidono sull’atteggiamento di chi prende parte alla chiacchierata, ma in genere una condotta brusca o sgarbata ha effetto solo sulla persona alla quale ci stiamo rivolgendo, perciò possiamo sentirci liberi di dare sfogo alle antipatie individuali senza timore che si diffondano fra gli altri membri della medesima comunità.

Kingdom Come: Deliverance
Come accade per gli esterni, anche gli interni sono riprodotti con una cura incredibile per i particolari.

Persone del genere nascono una volta ogni mille anni

Il sistema di combattimento è lento, ponderato e metodico, e tenta di riprodurre con estrema scrupolosità la sensazione di stringere in pugno l’armamentario dei soldati dell’epoca: ciascuna arma, pugni e calci compresi, possiede una fisicità e una pesantezza differente che influisce sui movimenti, a loro volta potenzialmente ostacolati anche dalle protezioni e dalla corazza che portiamo indosso. Il puntamento e l’esecuzione dei colpi è un misto fra quanto è possibile fare in Mount & Blade e Chivalry: Medieval Warfare, con un reticolo a stella che consente di impostare la direzione degli attacchi con il mouse o la levetta analogica destra mentre ci spostiamo grazie alla tastiera o la levetta sinistra. L’agganciamento automatico del nemico, che è comunque possibile disabilitare in qualsiasi momento, fornisce sia un grosso vantaggio quando stiamo duellando uno contro uno che un enorme svantaggio quando invece ci troviamo in inferiorità numerica, data l’assenza di qualsivoglia indicatore che ci segnali l’arrivo di un colpo al di fuori dell’inquadratura: benché molto realistica, è una scelta che costringe ad arretrare costantemente in tali situazioni, onde avere la visuale più ampia possibile e scansare eventuali attacchi alle spalle. I controlli sono piuttosto macchinosi e necessitano di molta pratica per essere padroneggiati, ma anche in questo caso potrebbero intervenire svariati fattori avversi come un’eccessiva stanchezza, l’arma che decide di rompersi proprio in quel momento o un colpo fortunato che blocca parte del nostro campo visivo a causa del sangue. In ogni caso, vincere anche solo una singola sfida regala grosse soddisfazioni, e capita spesso che gli avversari sconfitti decidano di arrendersi lasciandoci scegliere se concedere loro una poco dignitosa ma pur sempre munifica fuga oppure una morte rapida alla nostra totale mercé: un consiglio utile soprattutto all’inizio, sempre che le nostre intenzioni non siano quelle di interpretare uno spietato assassino feudale, è quello di lasciar andare i nemici sbaragliati previo deposizione delle armi, perché queste ultime si usurano rapidamente e, a meno di non voler cercare subito qualcuno che possa perfezionare le nostre abilità di fabbro, appropriarsi delle lame raccolte sul campo di battaglia è un ottimo modo per trovarne di ottime a costo zero, posto di riuscire a sopravvivere. Certo, il pensiero che un sistema simile a quello delle Nemesi ne La Terra di Mezzo: L’Ombra di Mordor avrebbe fatto faville con la quantità di soldati nemici che ho lasciato fuggire ha continuato ad ossessionarmi durante lo svolgimento dell’avventura, ma pazienza.

La crescita numerica delle caratteristiche dipende dalla percentuale di utilizzo delle stesse, così l’impiego costante di spade o asce in combattimento farà aumentare la competenza relativa mentre le capacità dialettiche aumenteranno quanto più converseremo con gli abitanti dei vari insediamenti, anche in caso di fiaschi clamorosi. Analogamente, scassinare lucchetti, affilare armi e borseggiare gli incauti passanti sono tutte azioni che favoriscono l’esperienza nei rispettivi campi, la quale di conseguenza facilita lo svolgimento dei minigiochi richiesti per tali manovre. Molte abilità richiedono la guida di personaggi che siano già avvezzi nel praticarle, in primis l’alfabetizzazione di Henry che, se non viene acquisita, ci impedisce di leggere i numerosi libri sparsi per il mondo di gioco: si tratta di un’altra scelta deliberata allo scopo di mantenere la storia quanto più fedele possibile al periodo, dato che non era affatto comune per i fabbri ferrai (o per la maggior parte della gente comune) essere anche eruditi nell’arte della lettura e della scrittura. Le missioni, accorpate in un pratico sotto menu sempre all’interno dell’inventario, vengono indicate sulla mappa con degli appositi contrassegni, che le dispongono persino in ordine di importanza: purtroppo quest’ultima, pur essendo bellissima da guardare, non fornisce una traccia sufficiente a farci comprendere dove dobbiamo recarci o con chi è necessario parlare per portare avanti un incarico, soprattutto se l’obiettivo si trova all’interno di un edificio, e la totale assenza di una mini mappa oltre alla generica direzione da imboccare sulla bussola in cima allo schermo rappresenta spesso un ostacolo piuttosto frustrante. Molte contingenze richiedono soluzioni tali da poter essere raggiunte con diversi approcci, nel tentativo di valorizzare lo stile adottato dal giocatore, e non è consigliabile farsi carico di troppe quest secondarie perché, pur se non evidenziato in alcun modo, la maggior parte di esse viene risolta automaticamente dopo un certo lasso di tempo, impedendoci di ottenere le agognate ricompense e invogliando al contempo nuove partite che ci mostrino quanto non siamo riusciti a vedere nelle precedenti.

Kingdom Come: Deliverance
L’inventario è pratico e ben organizzato: Henry può indossare fino a venti pezzi di equipaggiamento differenti, incluse armi, protezioni, faretre, collane, anelli e quant’altro.

Il cibo allevia le sofferenze

Kingdom Come: Deliverance si affida ad un sistema di salvataggi automatici che vengono attivati dopo alcuni passaggi chiave della storia oppure, semplicemente, con una notte di riposo: considerato che i livelli di fame e di condizioni igieniche vengono comunque “erosi” dal trascorrere delle ore, concedersi una bella giornata di riposo dopo il completamento di ogni singola missione è fuori discussione, dato che rimpinguare le riserve di cibo toglie tempo prezioso ad altre occupazioni più redditizie. In alternativa, è possibile ingurgitare un liquore speciale chiamato Grappa del Salvatore, sulla cui etichetta è riportato un inequivocabile floppy disk, che consente il salvataggio in qualunque momento: di contro, il suo costo non indifferente, la scarsa disponibilità e il tasso alcolico elevato, che rischia di indurre una dipendenza da alcolici dalle conseguenze devastanti, ne impedisce (almeno in teoria) l’abuso. Meglio, molto meglio affidarsi all’autosave e tentare di non fare troppe stupidaggini.

Il motore grafico è una versione personalizzata dell’acclamato CryEngine di Crytek che conferisce al titolo un’eccellente presentazione visiva a livello di ambientazioni, strutture e volti dei personaggi principali, benché i modelli tridimensionali utilizzati per i boemi ostentino spesso una certa legnosità e una tendenza a intersecare in maniera sgradevole i vari strati di vestiti che portano indosso. I tempi di caricamento, che nella prima versione distribuita via Steam erano al limite della tolleranza, sono stati migliorati in maniera sensibile con la patch del day one, anche se permane la fastidiosa dissolvenza in nero che introduce ogni conversazione e che spezza il coinvolgimento. I dialoghi sono interamente parlati con una varietà di accenti perlopiù britannici, che si mescolano a qualche intonazione tedesca e, naturalmente, alle esclamazioni turco-ungheresi dei cumani. Kingdom Come: Deliverance è l’autentica incarnazione digitale di un diamante grezzo, un prodotto dalle potenzialità esorbitanti nel quale è stata riversata una passione tangibile da assaporare passo dopo passo, tenuto parzialmente a freno sia dal comparto tecnico che da scelte ben precise ma alquanto opinabili di design: tralasciando un attimo le necessarie ottimizzazioni che verranno sicuramente introdotte tramite patch future o il supporto già previsto alle mod (un’azzeccata total conversion a tema Il Trono di Spade è già in lavorazione), lo sviluppo “rettilineo” della storia di Henry e la sua relativa trascurabilità nel quadro storico complessivo potrebbe rappresentare un deterrente per quanti invece si aspettavano un gioco che consentisse loro di “fare la differenza” in un medioevo europeo realistico e credibile. E’ vero, assisteremo alla sua crescita come uomo e come soldato, ma non potremo fare nulla che esuli dal compimento della sua rivincita, come magari scegliere con quale fazione schierarci o comprare un castello tutto nostro. Premesso ciò, è chiaro il pubblico al quale si rivolge il titolo d’esordio di Warhorse Studio, e in tal senso la sua riuscita è imperfetta ma incontestabile: chiunque voglia assaporare un pezzo di Sacro Romano Impero in chiave videoludica, confezionato con dosi straordinarie di impegno, ricerca e devozione dai suoi responsabili, si troverà perfettamente a casa con Kingdom Come: Deliverance. Un meritato plauso va quindi a Daniel Vávra, che mi auguro non ci faccia aspettare troppo a lungo per il suo prossimo lavoro: ad ogni modo, fino a quel giorno, di pane da mettere sotto i denti ce ne ha dato parecchio.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.