Wolfenstein II: The New Colossus, Recensione dell’ucronia in salsa portatile

Wolfenstein II

Se il mondo della critica videoludica si potesse dividere, drasticamente e banalmente, tra giochi belli e giochi brutti, non vi è alcun dubbio che Wolfenstein II: The new Colossus rientrerebbe a pieno titolo nella prima categoria. Lo fa, anche, in questa attesa conversione su Switch che, al netto di obbligati tagli al comparto tecnico, mantiene inalterate le qualità ludiche della produzione Bethesda aggiungendo, al tutto, la solita dose di portabilità. Hai detto niente.

Inutile nascondersi dietro a 30 fotogrammi in più, su altri lidi, o in meno. Inutile, pure, impuntarsi sulla presunta scomodità della configurazione portatile. L’appetibilità del titolo in questa incarnazione sull’ibrida Nintendo  è tutta  in quella parolina magica chiamata “mobilità”, capace di rendere ancora più affascinanti le avventure di  William J. Blazkowicz, storico protagonista della serie, e di un roster di pard e villain splendidamente caratterizzati e, pure, interpretati. Perché sia chiaro: a dispetto di precise scelte di ludo design, i momenti più alti di The New Colossus risiedono proprio nelle splendide cinematiche. Alcune, tra le migliori mai viste in un FPS. Senza dubbio, le migliori mai apparse su una console portatile. Ed è proprio sulle peculiarità tecniche della conversione che si concentra questa recensione.

wolfenstein II

Un colosso in movimento

Come e anche più di Doom. The New Colossus su Switch è un miracolo di ottimizzazione. Un prodigio tecnologico che, pur mostrando il fianco ai limiti dell’hardware Nintendo in alcune occasione, dall’altro sarà capace di inorgoglire i possessori dell’ibrida. Come appare ovvio, Wolfenstein II non ha tutti i pixel delle versioni originali pubblicate, lo scorso autunno, su PC, Xbox One e PS4. Neppure, mai potrebbe. Il miracolo risiede, appunto, nel tentativo riuscito di replicare in maniera convincente un’esperienza di gioco di alto livello ottenendo risultati impensabili per la gran parte delle software house. Come a dire che l’opera di MachineGames, se pur compressa e “sporcata”, è riuscita comunque nella sua interezza a trovare spazio in una minuscola cartuccia o, se si preferisce, nei 22 giga che compongono l’intero pacchetto.

Come e anche più di Doom, perché The New Colossus è un titolo interamente incentrato sul single player e, quindi, sulla narrativa. Da qui, lo stupore di vedere inalterato il “succo” della produzione che, specie in versione “portatile”, si mostra come un piccolo portento. Neppure così piccolo. Ad occuparsi del progetto, il team indipendente Panic Button che, dopo gli ottimi risultati ottenuti tra Marte e l’inferno, si è cimentato, sempre su mandato di Bethesda, con il passato distopico che fa da sfondo alle avventure di Terror Billy.

Come e più di Doom, per l’appunto, perché le tecniche utilizzate in The New Colossus ripercorrono la filosofia di fondo ammirata nel precedente porting. Anche questa volta, il team fondato da Adam Creighton è partito dal taglio dei fotogrammi. L’aggiornamento dell’immagine, ancorato ai 60 fotogrammi al secondo nelle versioni Microsoft e Sony, scende fino a trenta. Eppure, sorpresa, la cosa non si nota più di tanto. Merito della costanza e, pure, di un gameplay “ripuntellato” in alcuni aspetti. Si ratta di ritocchi eseguiti con certosina attenzione, che restituiscono, joy-con in mano, un feeling inalterato. D’altro canto, con il supporto alle funzionalità di rumble in alta definizione, per dirla alla Nintendo, il sistema di controllo classico può essere affiancato, senza essere sostituito, dalla mira tramite sensori di movimento, sorprendentemente comoda e precisa per un FPS vecchia scuola come Wolfenstein. Impossibile, inoltre, ignorare la cura riposta nel dettaglio  degli ambienti, ad una prima occhiata inalterato, e ai modelli poligonali, anche in questo caso ottimamente animati e “plasmati”. Non è, ovviamente, tutto oro quello che luccica. E le “rinunce” tecniche  restano più o meno evidenti a seconda della configurazione utilizzata. Con la console adagiata nella sua dock collegata ad un pannello Full HD, l’abbassamento di risoluzione è, specie negli ambienti più scuri, particolarmente evidente, per quanto mitigato, immaginiamo, da una presenza costante di un filtro anti aliasing. La situazione migliora, comunque, quando la dock è collegata ad un pannello di qualità, e pixel, superiore. Su un monitor 4K, l’upscaling interno della TV sopperisce ulteriormente alle carenze dell’hardware Nintendo, proponendo un’immagine più nitida e meno sporca. La “sporcizia” dell’immagine, però, scompare quasi del tutto quando la piccola console giapponese viene gelosamente stretta tra le mani. In modalità portatile, Wolfenstein II, nonostante una probabile e ulteriore diminuzione della risoluzione, appare definito, colorato e fluido. Merito di quel già citato processo di ottimizzazione studiato a fondo dai ragazzi di Panic Button e, pure, della diagonale ridotta del piccolo schermo, mai così in forma come in questa occasione. La parziale e generale perdita di complessità, specie per quanto riguarda l’effettistica e il sistema di illuminazione, viene insomma compensata, e fondamentalmente persino “nuclearizzata”, da un’esperienza complessiva ottimale e, appunto, sorprendente per una console portatile.

Miracle Billy

Come e più di Doom perché, laddove il precedente porting doveva fare i conti con una infrastruttura multiplayer non sempre all’altezza, l’assenza di opzioni online in Wolfenstein, titolo interamente focalizzato sulla campagna single player, non può intaccare in alcun modo le qualità ludiche della produzione. La storia narrata da MachineGames non ha subito tagli o rinunce. Seguito diretto di The New order, questo secondo capitolo in odore di reboot profuma, pure, di cinema Pulp, con alcuni dei migliori dialoghi mai ascoltati in un FPS. Inutile addentrarsi nel campo degli spoiler per spiegare come alcune situazioni e sequenze siano realmente fuori di testa. Proprio come i personaggi che compongono il roster di amici e nemici. Un universo ucronico, già raccontato all’epoca della pubblicazione originale, che si sviluppa attorno all’iconica figura del Blazko e ai simboli, altrettanto riconoscibili, del nazismo e di un’epoca, in realtà, mai esistita davvero. L’apertura a scenari più ampi, alternati ai labirintici corridoi che compongono gli interni, si mescola così ad uno stealth forse non sempre convincente, ma ad un gunplay decisamente appagante, dove la diversità in dotazione all’arsenale è solida, tangibile. Insomma, Wolfenstein II: The New Colossus, già in autunno, si mostrava come uno shooter solido, bello da giocare e splendido da ascoltare. Ed è fantastico prendere atto di come il giudizio complessivo dell’opera resti inalterato anche stringendola, letteralmente, tra le mani. Come Doom. Più di Doom.

Una storia avvincente, dei personaggi carismatici, dei dialoghi ottimamente scritti e, al netto di un doppiaggio in italiano di eccellente fattura,  splendidamente recitati. E poi, un gameplay vecchia scuola unito a scelte di game design ben precise. A quello che già era, Wolfenstein II: The New Colossus aggiunge, in questo porting su Switch, i miracoli di un’ottimizzazione certosina che, davanti ad ovvie rinunce, è rispettosa  fedele dell’opera originale. Se i tagli di natura tecnica strappano a questa versione il titolo di “oggettivamente migliore sul mercato” e in attesa di conoscere le politiche Bethesda sui DLC, le possibilità offerte dalla portabilità restituiscono, persino agli utenti multipiattaforma, un valido motivo per l’acquisto.
Michele Iurlaro è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti e dei praticanti professionisti. Scrive molto. Scrive troppo. Da troppo tempo