Mothergunship Recensione, un frullato di alieni al tritolo

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Troppo spesso capita di chiedersi quando finirà l’epoca degli sparatutto in prima persona. Da Wolfenstein 3D a oggi il genere è stato ampiamente sdoganato in ogni modo, tanto da aver portato, poco meno di un decennio fa, a un periodo della storia del videogioco frastagliato di esponenti di questa o quell’altra serie, in comune l’arma sottobraccio e i denti stretti di chi ha solo il piombo nelle pupille. Poi, tra produttori con le mani legate e immensi budget che esigono ingenti rientri, capita alle volte di trovare chi fa del genere che lo stereotipa un mezzo per sperimentare e disgregarsi dalle tendenze. Molti dei titoli che cercano di forzare o peggio ancora divellere i dogmi più radicati finiscono spesso sul patibolo, al rogo o segregati. Quella che vi raccontiamo oggi non è la storia del Giordano Bruno degli FPS, né quella di un Van Gogh che venderà solo un pezzo. Mothergunship, il neonato di Grip Digital (The Impossible Game, Tower of Guns), è comunque uno shooter con elementi rogue-like in prima persona che ben si distanzia da gran parte dei suoi cugini, grazie a una formula vincente e innovativa e un’anima irriverente ma non di cattivo gusto. Ai posti di combattimento dunque!

L’astronave madre e la sua progenie

Il titolo polacco, dai primissimi minuti di giochi parla forte e chiaro, facendo capire in modo inequivocabile che ha in serbo per il giocatore tanti proiettili e pochi fronzoli. Dopo una stilizzata presentazione (non sarà l’unica), conosciamo Il Colonnello, nostro superiore (essendo delle semplici reclute) e colui che ci accompagnerà durante tutta la nostra avventura. Questi ci metterà al corrente del fatto che l’umanità è minacciata da un’invasione aliena alla quale la Resistenza si oppone ferocemente per annientarla attraverso l’eliminazione del cuore pulsante dei nemici robotici: la Mothergunship. Al fine di raggiungerla, neanche a dirlo, una sfilza infinita di navi minori da mettere a ferro e fuoco.  Il solito cliché penserete voi? Esattamente! Come d’altronde anche la stessa figura stereotipata all’inverosimile del Colonnello, la fredda e avvenente Wilkinson o l’emancipata intelligenza artificiale Jesper: tutti luoghi comuni pronti a favorire ispirate battute tra un’esilarante dialogo e i demenziali risvolti della narrazione. Ed è proprio l’ironia che permea l’opera ad alleggerire l’incessante pioggia di piombo che si riversa sul giocatore e sui nemici. Dialoghi e personaggi sono epici e ridicoli allo stesso tempo, con il merito tuttavia di riuscire a non risultare mai volgari. In definitiva Mothergunship vanta una narrativa che ben svolge il ruolo di accompagnamento all’azione, leggera e mai fiacca, nonostante sfoggi una struttura di gioco che per nulla si poggia su questa componente.

La scienza della distruzione

Più che una narrazione sopra le righe, la vera matrice di Mothergunship è il suo sistema di crafting, del quale perfino Mr. Torgue andrebbe fiero. Se in un The Binding of Isaac powerup e potenziamenti sono spesso casuali nel corso delle partite, l’FPS di Grip Digital lascia ben poco al caso, imponendo al giocatore di riuscire molto presto a imparare a ottimizzare i danni e la versatilità del nostro arsenale, al fine di portare a casa la pellaccia. Di fatti perfino l’arsenale da portare con noi in missione andrà scelto con oculatezza, dal momento che il game over corrisponde alla perdita di tutto ciò che porteremo e acquisiremo nel livello. Terminata la schermata di caricamento e giunti in loco, ci si troverà alla prima postazione di crafting nella quale equipaggiare su ambedue le braccia tutto il devastante ben di Dio che ci è stato permesso portare, che generalmente varia da una a sei componenti. Questi si dividono in tre categorie: connettori, canne e moduli. I primi permettono, tramite un’oculata disposizione, di aumentare a disposizione la quantità di bocche fumanti inseribili nell’arto del nostro mech. Le canne rappresentano proprio le armi a nostra disposizione, le quali si acquisiscono progredendo nel livello, e che occupano uno spazio variabile a seconda della loro tipologia: un gigantesco lanciarazzi avrà bisogno di un minuzioso lavoro ingegneristico per essere innestato in un’arma, mentre un lungo e affusolato fucile di precisione sarà inseribile quasi in tutti gli spazi forniti dai connettori purché tuttavia – regola numero uno – le canne puntino verso l’esterno. I moduli invece variano le proprietà e le statistiche di tutte le armi annesse, permettendo di aumentare la gravità dei colpi, farli rimbalzare, aggiungere danni elementali e quant’altro. Sono anche un ottimo modo per riempire gli spazi vuoti, specie quelli rivolti verso i lati o l’interno, occupando uno spazio generalmente esiguo. Le combinazioni sono infinite e la possibilità di sparare con un lanciagranate, un laser e sei fucili a pompa in contemporanea è quanto di più soddisfacente si possa provare. Non è però finita qui. Entrambi i nostri arti sono dotati di una barra di energia che si consuma facendo fuoco: maggiore il numero di armi annesse e maggiore è il costo di energia e, conseguentemente, la frequenza di pause tra una raffica e l’altra. Ciò significa che non sempre è consigliabile l’aggiunta di bocche da fuoco, e l’abilità nel craftare la combinazione vincente va acquisita con l’esperienza e le sconfitte.

Anima rogue-like, Cuore hardcore

Che siano missioni principali o secondarie, le sequenze di gioco in Mothergunship hanno una loro forma ben definita, resa tuttavia variabile e sfaccettata dalla generazione procedurale delle stanze nelle quali sono suddivisi i livelli. La maggior parte di queste sono delle semplici “battle rooms”, per dirla alla The Binding of Isaac, dove l’obbiettiva sarà eliminare tutte le orde di nemici. C’è da dire che in sostanza tutte le stanze, comprese le challenge room, che richiedono di sopravvivere per dato tempo o, ad esempio, di non usare l’arma destra, finanche le boss room, prevedono l’annientamento della minaccia aliena previo tempeste di proiettili e razzi. Alternate a queste zone di guerra ai trovano poi i market, vere e proprie oasi dove sognare, acquistare e assemblare nuovi armamenti. Ma è importante arrivarvi ben forniti di denaro: scegliere infatti un percorso con poche angustie renderà sì il livello più veloce, ma rischierà di farvi trovare impreparati e sguarniti nelle battaglie più impegnative. D’altronde la difficoltà del gioco non è certo tarata sul rilassante: il ritmo frenetico del gioco rende una mira salda tassativa, il saggio uso del triplo salto per schivare i missili nemici essenziale, e una buona conoscenza delle armi e delle loro combinazioni prioritaria. Portarsi in missione i migliori equipaggiamenti rimane allo stesso tempo un rischio, poiché per recuperarli in caso di sconfitta serviranno missioni secondarie spesso altrettanto rischiose. È giusto evidenziare che sebbene l’intelligenza artificiale non faccia ridare al miracolo, l’interazione con i nemici è sempre soddisfacente perché i colpi dei nemici, anche in situazioni estreme, possono sempre essere elusi da un giocatore particolarmente abile. In fin dei conti l’anima rogue-like e il cuore hardcore del titolo si uniscono in un sodalizio coerente e in grado di incalzare i giocatori meno indulgenti senza per questo evitare di appagare un pubblico meno avvezzo.

La nave madre messa a fuoco

Tecnicamente il lavoro di Grip Digital e Terrible Posture Games non spicca certo per il livello di dettaglio o per l’originalità. D’altronde non ci troviamo di fronte a un titolo tripla A, e il colpo d’occhio rimane comunque piacevole. Lo stile grafico rimane decisamente improntato sugli stilemi di Unreal Engine 4, tanto che poche volte come in questo caso è possibile avvisarne l’utilizzo dai primi istanti di gioco, ma poco male. Se le ambientazioni, per quanto non eccessivamente varie, sono riprodotte con un’estrema pulizia, ciò non si può dire degli effetti particellari, alle volte davvero grossolani. In ogni caso i cali di frame sono pressoché inesistenti anche nelle situazioni (quasi tutte) più concitate. Il sonoro invece è promosso a pieni voti con sound effects dignitosi e una colonna sonora non memorabile ma perfettamente calzante. È altresì vero che Mothergunship è stato pensato per essere giocato in co-op e, per quanto il multiplayer insieme a leaderbord e missioni giornaliere verranno aggiunti poco dopo l’uscita, l’esperienza in duo si preannuncia epica.

Mothergunship è una vera e propria ventata d’aria fresca nel genere: il suo incredibile sistema di crafting e il suo mutare elementi rogue-like lo rende un ottimo punto di partenza per una vera e propria killer application che, al netto di una grafica anonima e di una sola vera modalità di gioco, riesce a intrattenere e impegnare il giocatore in un vortice di irriverente azione frenetica, all’insegna del puro divertimento e dell’esagerazione. Il gioco è un acquisto quasi obbligato per gli amanti delle sfide e di titoli come Enter the Gungeon o The Binding of Isaac, o dell’ironia sboccata alla Borderlands.