Figli di un altro tempo, figli di un’altra epoca. Lo sono i singoli giochi, ma lo è, ancor di più, il genere di riferimento. I picchiaduro a scorrimento restano legati a doppio filo agli anni ’90, epoca d’oro delle sale giochi, ad un tempo passato e, per le nuove generazioni, pure sepolto. Se su quel cumulo di terra rossa manca ancora una croce in marmo, è solo grazie alla saggezza –aka: vecchiaia – di pochi, ma appassionati videogiocatori, alle prese con gli acciacchi, eppure ancora pronti a “rullare” cartoni come si deve nei giochi dei bei vecchi tempi andati. Parlando dei titoli di questo Capcom Beat ‘Em Up Bundle si tratta di gioconi, nessuno si azzardi a metterlo in dubbio.
Megadivertente!
Quel che scricchiola, se mai, è il processo di “conversione”, in realtà parliamo di emulazione, piuttosto sonnacchioso. Per usare un eufemismo. È vero, c’è la possibilità del multiplayer online fino a quattro giocatori, proprio come, a vario titolo, nelle versioni deluxe dei cabinati. È vero, è tutto sparato in alta definizione. Ed è vero, anche, che gli artwork inseriti tra gli extra rappresentano un plus tutto sommato gradevole. Peccato, però, che non vi siano modalità aggiuntive. Peccato, pure, che per quanto l’emulazione scorra fluida e senza intoppi, l’assenza di filtri applicabili all’immagine renda tutto un po’ schiacciato, esageratamente pixelloso. Peccato, infine, che la qualità del netcode non abbia permesso partite fluide nei giorni precedenti al lancio, lasciandoci dubbiosi circa le possibilità future. Peccato, insomma, che Capcom, dipartimento riservato al riciclo di opere passate, si sia limitata a svolgere il compitino facendo affidamento sulla qualità oggettiva dei 7 titoli inseriti nella raccolta. Parlando in termini assoluti, non la migliore possibile guardando lo sconfinato catalogo del genere “made in Osaka”, ma, probabilmente, la migliore realizzabile senza rinnovare costose licenze scadute qualche decennio fa. Insomma, niente The Punisher, niente Cadillacs and Dinosaurs e no, niente Alien vs. Predator. Assenze pesanti, ma in fondo quel che c’è è di indubbia fattura. Partendo in ordine rigorosamente cronologico, la collection ci sbatte in faccia quel capolavoro di Final Fight, uscito nel 1989 su scheda CP System e poi, a cascata, Captain Commando (1991, CPS-1), King of Dragons (1991. CPS-1), Knigts of the Round (1991, CPS-1), Warriors of Fate (1992, CPS-1), Armored Warriors (1994, CPS-2) e Battle Circuits (1997, CPS-2). L’arco temporale attraversato dal pacchetto segna, fondamentalmente, l’ascesa, l’apice e il declino del genere che, con rare eccezioni, morì insieme ai cabinati e, quindi, alle sale giochi. Estemporanei tentativi di picchiaduro a scorrimento, alle volte traslando il concept su un piano tridimensionale e altre restando ancorati alle due dimensioni, non sono bastati per salvare dall’oblio un modo piuttosto scanzonato, ma non per forza banale, di intendere le mazzate virtuali.
Supercosmico!
Insomma, non siamo al meglio del meglio, non in termini assoluto, ma poco ci manca. Fortunata la forbice temporale, fortunata, fu pure, la mano “santa” di Capcom di quel periodo. Final Fight doveva essere uno Street Fighter e, invece, ne fu la variante a scorrimento. Almeno nell’immaginario dei giocatori e, per certi versi, pure della stessa software house (basti pensare ai “recuperi” di Cody, Guy e Sodom, per dire). Per quanto iconico dello stesso genere d’appartenenza, Final Fight è, pure, la presenza meno importante della raccolta. Riproposto in tutte le salse e, se pur qualche illustre defezione (il mio Megadrive grida ancora vendetta, ndr) per tutte le console. Se siete interessati alla raccolta e conoscete il genere, insomma, avete già giocato a Final Fight in passato. Continuerete a farlo, state tranquilli. Non è così scontato che le sensazioni di dejà vu si ripresentino con i fantasy King of Dragons e Knights of the Round che, pur mantenendo la struttura tipica del genere, offrono, specie KoD, alcuni elementi ruolistici. Knights of the Round è la trasposizione videoludica dei Cavalieri della tavola rotonda, con tre personaggi selezionabili al servizio di un gameplay secco e immediato. Un po’ come Warriors Fate dove, però, il contesto storico è più marchiato. Liberamente ispirato ad un manga, il periodo storico abbracciato è quello della Cina e dei “tre Regni”. La musica, o meglio: il gameplay cambia con King of Dragons. Per quanto la struttura resti prettamente “Arcade”, il titolo, già all’epoca, stupì per la varietà delle situazioni e la profondità della struttura. Ai cinque personaggi selezionabili – guerriero, mago, elfo, nano e chierico – corrispondono, pure, cinque classi, ognuna con statistiche differenti e, pure, un modo di giocare diverso. Inoltre, è possibile livellare il proprio personaggio. Insomma, sembra di menare mazzate, o fendenti, si tratta. Ma KoD lo faceva, e lo fa anche oggi, in maniera tutta particolare. Una piccola perla, davvero, da riscoprire. Non avrà bisogno di presentazioni, almeno per gli over 30, quel gran bel pezzo di software chiamato Captain Commando, per una lunga serie di ragioni uno dei videogiochi più amati dal sottoscritto in età bambina. Risparmiandovi imbarazzanti aneddoti sull’infanzia e sui primi anni ’90, basti sapere che Captain Commando, lungi dall’essere perfetto, combina un concept piuttosto classico ad una convincente caratterizzazione di protagonisti, armi e nemici. Il ritmo serrato, ma con risultati meno entusiasmanti, sarà poi ripreso dal seguito spirituale Battle Circuit che, proprio come Armored Warriors, segna uno dei picchi più alti raggiunti dalla pixel art nello scorso secolo: mech enormi, esplosioni, colori sgargianti e animazioni fluide. Merito della scheda CPS-2 e, pure, di un po’ di sorpresa nel raccontare, dopo tutti questi anni, il debutto di questi ultimi due giochi su console.
Supermegapixel!
Finita la lezione di storia, resta un gameplay capace di resistere, nella sua semplicità, ai decenni trascorsi. Merito di una formula che, pur ritenuta superata già alla fine dello scorso secolo, permette di buttarsi nell’azione senza troppi fronzoli. Il divertimento, neanche a dirlo, è ampliato giocando con uno o più amici, vera chiave di volta per completare le campagne senza troppe difficoltà. Si tratta, chiaramente, di titoli pensati per il mercato arcade e, quindi, limitati nella longevità e con un livello di difficoltà mediamente alto. Il tuffo nel retrogaming, ad ogni modo, è sempre piacevole. Peccato che, nel caso di questo bundle, il tuffo nel passato sia parzialmente rovinato da una resa visiva non particolarmente adatta ai monitor attuali. L’aumento sensibile e dovuto di risoluzione potrebbe far storcere il naso ai puristi, anche a fronte dell’assenza totale di filtri applicabili all’immagine che, mannaggia, risulta un po’ troppo “schiacciata” e poco “profonda”. In aiuto, ci viene proprio il piccolo schermo di Switch – versione da noi testata – dove alcune lacune vengono nuclearizzate dalle dimensioni del pannello e, pure, da una resa dei colori particolarmente brillante. Nessun miracolo, chiariamo. I giochi inseriti nel pacchetto, per altro obbligati al ratio di 4:3, sono pensati per una fruizione da “tubo catodico”, ma il risultato, tanto per fare un paragone, è simile a quanto messo in mostra dalle console “mini” che tanto spopolano in questo periodo.
C’è poco da fare gli schizzinosi. Al netto dei difetti, il valore storico della raccolta Capcom Beat ‘Em Up Bundle è notevole. Per molti giocatori si tratterà, probabilmente, dell’unica occasione di mettere le mani su titoli storici e, idealmente, su un intero genere scomparso dai gusti del mercato moderno. In attesa, si spera non vana, di sistemare i server e con una benda sull’occhio allenato dalle scan line dei migliori emulatori, la compilation, che mette sul piatto le versioni occidentali ed europee dei 7 giochi, è una piccola scatola del tempo, dove rivivere emozioni passato o, perché no, crearne di nuove. Quei ragazzi giapponesi avevano i pugni nelle mani.