METAL MAX Xeno Recensione, il nuovo eroe delle Terre Perdute

Metal Max Xeno

Benché relativamente sconosciuti in occidente, i titoli della serie METAL MAX hanno da sempre raccolto numerosi consensi in Giappone grazie alla struttura estremamente libera della storia, alla moltitudine di personaggi e situazioni che mescolano il drammatico al faceto con abbondanti dosi di surrealismo, all’enfasi posta sul combattimento a turni con armamentario e tecnologie provenienti da un mondo ormai scomparso e all’intrigante ambientazione da sabbioso western post-apocalittico. Se tutto ciò vi ricorda un certo gioco di ruolo open world che ha fatto del retro futurismo figlio di una devastante guerra nucleare il proprio emblema non posso darvi torto, ma sappiate che il capolavoro firmato Brian Fargo è stato anticipato dal piccolo ma audace progetto di Hiroshi Miyaoka e della sua Crea-Tech di ben sei anni, dato che il primo METAL MAX ha visto la luce sul prolifico Famicom nel 1991. Purtroppo, le alterne fortune delle case editrici responsabili della distribuzione (Data East, Success ed Enterbrain, fino all’odierna Kadokawa Games) non gli hanno mai permesso di debuttare oltreoceano in maniera adeguata, e così la cerchia di estimatori ha sempre avuto un respiro piuttosto ridotto almeno fino allo scorso anno, ossia quando NIS America ha deciso di collaborare alla diffusione internazionale del capitolo più recente intitolato METAL MAX Xeno che, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe rappresentare un nuovo punto di partenza piuttosto che un ennesimo spin-off dopo lo scarso successo ottenuto con il precedente episodio numerato per Nintendo 3DS: la fresca ripartenza è infatti un’occasione per Miyaoka, la cui carriera lo lega a doppio filo anche agli esordi di Dragon Quest sul quale ha lavorato assieme all’amico Yuji Horii, di riesaminare i punti di forza e le debolezze della sua creatura, e di fare tesoro di tutti gli elementi migliori raccolti nel corso degli anni, in particolar modo degli aspetti più apprezzati di METAL MAX: Fireworks e METAL MAX: Kouya no Hakobune (L’Arca delle Terre Selvagge), i due adattamenti realizzati per dispositivi mobili, collaborando con i medesimi sviluppatori per riaffacciarsi di nuovo sul mercato delle console casalinghe. Nonostante sia nato su PlayStation Vita, l’unica versione di METAL MAX Xeno tradotta è il porting per PlayStation 4, a causa del progressivo disinteresse della stessa Sony nei confronti della sua bistrattata macchinetta portatile, una piccola riduzione del potenziale bacino d’utenza ritenuta necessaria per consentire anche ai non nippofoni di assaporare di nuovo il desolato microcosmo radioattivo della saga, dopo il singolo excursus su PlayStation 2 che Atlus adattò per la platea americana oltre dieci anni fa. Prendete dunque posto nell’abitacolo e andiamo a scoprire se questi cingoli saranno abbastanza robusti da percorrere una Tokyo desertificata oppure affonderanno mestamente tra le sue sabbie.

METAL MAX Xeno
La ricostruzione del territorio urbano di Tokyo è piuttosto fedele e permette di visitare i resti di molte location celebri, come la torre del Tokyo Big Sight.

Tuttavia, la razza umana era sopravvissuta

Come i titoli che l’hanno anticipato, anche METAL MAX Xeno è ambientato su una Terra ormai allo stremo, deturpata dalle ripercussioni di uno spaventoso conflitto tra uomini e macchine che ha trasformato i continenti in distese aride e disabitate. Tutto accadde quasi un secolo addietro, quando gli scienziati dell’epoca costruirono il supercomputer NOA con lo scopo di salvare il pianeta dalle catastrofi ambientali che lo affliggevano: dopo aver passato al vaglio miliardi di opzioni possibili e predetto la conclusione di altrettanti scenari virtuali, la decisione ultima dell’intelligenza artificiale, che pian piano aveva assunto coscienza di sé, fu quella di estirpare alla radice la causa percepita di tali cataclismi… ovvero l’umanità stessa. Il disastro passò alla storia come la Grande Distruzione, e i dettagli a tutt’oggi sono ancora incerti, ma in conseguenza di ciò gli esseri umani si sono quasi estinti e hanno ricominciato a costruire una parvenza di civiltà solo parecchi decenni più tardi, aggregandosi in piccoli e sparuti insediamenti persi fra le rovine di un mondo che ha cessato di esistere così come lo conoscevano. Sebbene NOA sia stato sconfitto, in questa smisurata terra di frontiera si muovono ancora i suoi figli, macchine senzienti la cui unica direttiva è rimasta quella di estinguere qualunque forma vivente capiti loro a tiro, perciò una delle professioni tornata in auge nella società odierna è quella del cacciatore di taglie, un individuo che mette a repentaglio la propria vita per sconfiggere le mostruosità artificiali ancora in attività: per loro fortuna, una delle eredità del vecchio mondo è un vasto assortimento di tecnologia bellica che è possibile acquisire, potenziare e rimodellare per non essere costretti ad affrontare giganti di metallo alti come un palazzo di dieci piani armati di un semplice coltellino svizzero. In particolar modo, i vari METAL MAX hanno sempre fatto della possibilità di utilizzare veicoli di ogni tipo, in particolar modo carri armati, autoblindo, semoventi e quant’altro, da poter equipaggiare e personalizzare a piacimento e Xeno non fa certo eccezione: il protagonista, Talis, inizia il gioco a bordo dell’iconico Red Wolf (ribattezzato Red Rev), il caratteristico cingolato scarlatto presente fin dall’originale, ma avrà l’occasione di imbattersi in un nutrito assortimento di macchine abbandonate fra le dune oppure infestate dagli scampoli residui della mente alveare di NOA, delle quali potrà dunque prendere possesso.

Per tutti coloro che hanno già familiarità con la serie, la cosa che balza subito all’occhio di questo capitolo sono i toni estremamente seri della storia, che non manca di sottolineare quanto le condizioni dei pochi superstiti siano disperate: lo stesso Talis è scampato per un soffio alla distruzione della sua città natale a opera di una gargantuesca macchina da guerra, e sfoggia una protesi meccanica al posto del braccio sinistro che è andato perduto in circostanze inizialmente poco chiare. Divenuto un cacciatore per vendetta, il suo peregrinare lo conduce alla Base di Ferro, un costrutto futuristico popolato da un piccolo manipolo di umani che, sprovvisti di mezzi per muoversi in autonomia, chiedono il suo aiuto in cambio di rifugio e ospitalità. Ha inizio così una sequela di eventi che toccano a più riprese temi piuttosto intimi e personali, come il rimorso di quanti vengono travolti dai sensi di colpa per essere scampati all’eccidio dei propri simili, la paradossale lotta intestina per l’autoconservazione che porta allo scontro fazioni differenti di superstiti o le questioni morali legate al ripopolamento del pianeta quando la “disponibilità” di esseri umani fertili di sesso femminile è estremamente ridotta. Beninteso, non mancano le classiche eccentricità di Miyaoka, che si riflettono perlopiù nel bizzarro monster design e nel generoso fan service (non a caso, la caratterizzazione artistica dei personaggi è stata affidata a Oda Non, artista molto attivo nel circuito dei fumetti per adulti), ma la sorprendente profondità degli argomenti trattati è un’integrazione positiva che lascia ben sperare per la crescita intrinseca della serie.

METAL MAX Xeno
La storia viene portata avanti anche mediante intermezzi non interattivi, dove i trascorsi di Oda Non affiorano in tutta la loro procacità…

METAL (Mad) MAX

In termini pratici, METAL MAX Xeno si sviluppa come un tipico JRPG a turni, con una piccola ma fondamentale differenza: come già anticipato, i mostri che vagano per le terre riarse sono in genere talmente grandi da richiedere l’utilizzo di armi non convenzionali per essere abbattuti, che nella fattispecie si traducono nei suddetti mezzi blindati. Le dotazioni spaziano da cannoni e mitraglie tradizionali ai lanciamissili fino ad armamenti un po’ più esotici che sparano proiettili elementali, i cui colpi limitati vanno scelti con cura a seconda delle resistenze dei nemici che ci aspettiamo di trovare in una determinata zona. I veicoli possiedono slot diversi per ospitare diverse combinazioni di equipaggiamento, in modo da essere sempre pronti a scegliere la risorsa giusta da sfruttare nel momento più opportuno, posto che il motore riesca a erogare sufficiente potenza, mentre tutti gli oggetti recuperati nel corso delle fasi di esplorazione (e posso assicurarvi che la ricerca di nuove parti da utilizzare per la creazione di attrezzatura sempre migliore, legata al livello di competenza scientifica che aumenta con il ritrovamento di svariati manufatti appartenuti alle generazioni passate, occuperà gran parte del vostro tempo) vengono trasferiti in automatico nel deposito della Base di Ferro, eliminando così in un sol colpo la necessità degli andirivieni forzati che affliggevano i predecessori. È anche possibile abbandonare i nostri possenti vettori per proseguire a piedi, alternativa che si rivela ben presto essenziale per intrufolarsi negli occasionali dungeon sotterranei o per raggiungere zone altrimenti inaccessibili: in tal senso, il gioco diventa molto più simile a un canonico JRPG, ed è un bene che sia stata preservata la facoltà di armare i personaggi con tre strumenti offensivi differenti poiché, senza la protezione degli scudi e dell’armatura dei mezzi di trasporto, sfruttare le vulnerabilità degli avversari diventa ancora più importante. Purtroppo, suddetta canonicità mentre perlustriamo gli angusti cunicoli delle vestigia della capitale giapponese si ripercuote anche nella gestione degli incontri casuali, che ci colgono alla sprovvista ogni manciata di passi: un peccato, perché la mini mappa che ci guida all’esterno è anche in grado di segnalare la presenza ravvicinata di creature ostili (con una piccola e non invasiva percentuale di effetto sorpresa) e consentirci di evitarle, attaccarle preventivamente per danneggiarle o addirittura eliminarle, ottenendo tutti i benefici del caso (esperienza e oggetti) senza combattere. I protagonisti sono anche identificati per classe, la cui progressione è slegata dal livello vero e proprio di questi ultimi, che permette loro di impiegare determinate capacità speciali in battaglia, alcune delle quali estremamente efficaci contro gli avversari meccanizzati ma utilizzabili soltanto a piedi: il rapporto tra rischi e benefici è sempre elevato, dato che spesso basta un singolo colpo dei mostri di superficie per annientare un pilota fuori dal suo veicolo, ma di contro una scarica elettrica paralizzante o una riparazione tempestiva possono ribaltare facilmente le sorti di uno scontro.

La qualità della conversione di Xeno è pedissequa, e mostra senza mezzi termini le sue origini di gioco pensato per console portatili: bassa densità poligonale, texture poco definite, interfaccia ingombrante (ma, almeno, con la possibilità di arrangiare i pulsanti come meglio crediamo) e un senso generale di porting diretto senza alcun tipo di ottimizzazione, a parte qualche vantaggio marginale derivante dalla maggiore risoluzione. Lo stile comunque si sposa bene con le atmosfere cupe e apocalittiche che fanno da sfondo alle vicende, e l’inaspettata assuefazione che si sviluppa mentre svolgiamo le attività basilari richieste dal gioco viene gradevolmente accompagnata dalle note sintetizzate di Satoshi Kadokura, che rimescola con sapienza brani già noti ai fanatici della serie con qualche inedito di ottima qualità, conferendo all’intera colonna sonora un tocco synthwave capace di rievocare alla perfezione le distese australiane di George Miller alle quali, chiaramente, l’intero titolo (e tutta la saga cui appartiene) fa ben più di un rimando.

METAL MAX Xeno
I combattimenti fanno agire di default entrambe le fazioni in contemporanea, velocizzando non poco il ritmo.

Le evidenti limitazioni tecniche e l’impostazione complessiva che richiama un certo tipo di gameplay proprio delle precedenti generazioni di console, nel quale l’estrema ripetitività della formula stimolava l’accanimento dei più tenaci che cercavano quindi ogni modo possibile per sfruttare a proprio vantaggio le meccaniche di gioco, non rende METAL MAX Xeno un gioco raccomandabile a tutti, per quanto la scelta di non ripiegare su impostazioni troppo punitive (non c’è permadeath, ad esempio, e la sconfitta sul campo si traduce in un “ritorno d’emergenza” alla Base di Ferro senza perdite di esperienza o denaro) possa stuzzicare anche la curiosità dei neofiti che non si lasciano spaventare dalla scarsa qualità della presentazione. La perseveranza è, di conseguenza, una dote fondamentale per approcciare l’ultima opera di Miyaoka, e la considerevole maturità della storia riesce a fare da ottimo collante tra una spedizione nel deserto e l’altra, mantenendo viva l’attenzione in attesa di scoprire come si evolveranno le traversie degli ultimi superstiti di questo mondo inospitale. La sua ulteriore sfortuna è quella di essersi affacciato sul mercato occidentale nel momento in cui altri due titoli del genere molto attesi, ossia Dragon Quest e Valkyria Chronicles, hanno calamitato l’attenzione di tutti ma, se siete disposti a scendere a patti con la scarsa qualità della produzione, potreste scoprire che il vento di scirocco ha un sapore insolitamente gradevole.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.