Un'indagine Istat presentata in occasione dell'8 marzo evidenzia come le signore siano discriminate per retribuzioni e qualifiche
Donne, lavorano di più
ma guadagnano di meno
E se decidono di mettere su famiglia molte sono costrette a rimanere tra le mura domestiche e abbandonare la carriera
ROMA - Sempre più occupate, e soddisfatte della vita pubblica. Però le donne, che studiano e puntano tempo e soldi sulla propria formazione molto più di "lui", non riescono ancora a raggiungere posizioni e retribuzioni pari a quelle dei maschi. E quando, e se, decidono di mettere su famiglia, fare un figlio, la strada sembra essere ancora la stessa, senza molte alternative: lasciare l'impiego, ritirarsi dentro le mura domestiche, annullare il tempo libero e sopportare tutti i costi della scelta.
Dopo il messaggio ieri del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, che ha lanciato un appello ad aiutare le donne perché possano conciliare maternità e lavoro e valorizzare il "loro impegno essenziale per il progresso dell'Italia", oggi, in occasione dell'8 marzo, l'Istat ha presentato l'indagine "come cambia la vita delle donne".
E la vita delle donne secondo l'Istituto di statistica è cambiata molto: negli ultimi dieci anni è cresciuta l'occupazione femminile (con ben 1.296.000 nuovi posti di lavoro contro 275 mila di quelli maschili) ma le donne continuano ad essere fortemente svantaggiate rispetto ai colleghi uomini: guadagnano di meno (le diplomate circa 125 euro in meno, le laureate 195 euro) ed entrano più tardi nel mondo del lavoro. Ad esempio, a tre anni dal diploma lavora il 52,7% delle donne contro il 58,7% degli uomini, mentre a tre anni dalla laurea il 69% contro il 79%.
Lo svantaggio femminile nell'entrata al lavoro, è più forte al Sud. Solo il 40% delle diplomate e il 53,7% delle laureate lavorano (contro il 54,8% e il 69,2% degli uomini) a tre anni dal conseguimento del titolo di studio
E quando entrano a lavorare, seppur forti di competenze, vengono discriminate nella retribuzione: i diplomati che svolgono un lavoro continuativo a tempo pieno guadagnano in media 889 euro; le donne circa 125 euro in meno. Se gli uomini che guadagnano al massimo 800 euro al mese sono circa il 37%, per le donne tale quota sale al 55,2%. Nella fascia retributiva più elevata (oltre mille euro) si concentrano quasi il 22% degli uomini ma appena il 10% delle donne.
Eppure le donne sono più istruite degli uomini e investono di più nella formazione. All'università nel 1950-51 si iscriveva il 2,1% delle donne e il 6% degli uomini. Oggi le studentesse universitarie sono 40 su 100 mentre i ragazzi solo 31; erano il 25,5% degli iscritti, sono diventate il 55,6% degli attuali iscritti. Nel 2002 le diplomate erano 77 su 100 contro i 67 dei diplomati; le laureate al 23% a fronte del 17% dei laureati.
Inoltre, ora il 28,7% degli iscritti ad ingegneria è donna, il 59% a medicina, il 45% ad agraria, il 46,9% ad economia. Le donne infine raggiungono più degli uomini la fine degli studi: per il diploma superiore su 100 iscritte 84 arrivano in fondo, gli uomini raggiunge i 73. Per l'università le donne rappresentano il 49,3%, gli uomini il 41,8%.
Oltre alla busta paga, la qualifica: le donne che si inseriscono nelle professioni più prestigiose sono il 42,9% contro il 49,3% degli uomini mentre ben il 15,9% delle laureate (a fronte del 9% maschile) è occupato in professioni esecutive di amministrazione o in altre mansioni non qualificate. In termini di carriera, il differenziale tra i due sessi è pari a 11 punti.
Il numero delle imprenditrici, nel decennio considerato, è quasi triplicato. Nel 1993 su 100 imprenditori le donne erano 15, oggi sono 22. Le libere professioniste sono più che raddoppiate, da 120 mila a 288 mila. Le dirigenti sono aumentate del 65% (da 48 mila a 79 mila). Le donne occupate tra i direttivi e quadri sono aumentate da 234 mila a 374 mila. Aumentano anche le impiegate, più 33%.
Resta comunque bassa la presenza femminile nei luoghi decisionali economici e politici. Tra i ministri economici, non è presente alcuna donna e tra i viceministri e sottosegretari solo 2 su 17. Nelle prime 50 imprese del paese, solo l'1,3% dei consiglieri di amministrazione è donna. Nelle organizzazioni imprenditoriali c'è appena il 3,2% di donne; nei sindacati confederali la metà al femminile raggiunge il 23,6%.
Rispetto alle professioni, l'Istat fa sapere che le magistrate hanno progredito notevolmente: tra i magistrati di tribunale le donne sono il 52%. Nei ministeri (dove le donne sono il 48%) tra i dirigenti di prima fascia le donne sono il 16,6% rispetto al 4,7% del 1993. Il comparto della ricerca è l'unico che ha registrato un decremento delle donne: nel 1993 i dirigenti donne erano il 16,5% nel 2002 è sceso al 14,6%.
Ma una delle "ferite" sottolineata dall'indagine Istat, quella che si crea quando le donne cercano di conciliare lavoro e famiglia. Considerando le donne di 35-44 anni, nel 2003 le single presentano tassi di occupazione più alti (86,5%), seguite da quelle che vivono in coppia senza figli (71,9%) e da quelle con figli (51,5%). Tra queste, le donne che hanno un figlio hanno un tasso di occupazione pari al 63,8%, chi ne ha tre o più del 35,5%. Inoltre il 20,1% delle madri occupate al momento della gravidanza non lavora più dopo la nascita del figlio.
Tra le occupate, 78,6 su cento riferiscono di essere molto o abbastanza soddisfatte del proprio lavoro, e comunque più soddisfatte delle casalinghe (solo il 60,2% di queste ultime è contento della propria condizione). E anche sul tempo libero, le madri che lavorano esprimono apprezzamento su come lo trascorrono (59,5%) più delle madri casalinghe: solo il 49,7% lo giudica soddisfacente
http://www.repubblica.it/2004/c/sezi...oroetempo.html