L'ascesa del reboot de Il Pianeta delle scimmie spettò a Rupert Wyatt alla regia, compito non facile ma gestito in maniera pragmatica senza eccedere nel genere. Ottimo inizio. La vera nuova alba del franchise, di casa 20th Century Fox, spetta tuttavia a Matt Reeves al quale è chiesto di immaginare il mondo nel quale gestire il resto dei capitoli della saga. Reeves sa dove mettere le mani in pasta e con felice sfacciataggine inscena un mondo sull'orlo della distopia post-apocalittica, visto dagli occhi di uno scimpanzé perfettamente digitalizzato (sullo scheletro della motion capture di Andy Serkis); il dettaglio in apertura e in chiusura del secondo capitolo sono gli occhi di Cesare, lo sguardo ammaliante della CGI sul pubblico.
Nel 2017 il dettaglio tecnologico digitale continua a stupire con forza, nonostante si sia abituati a questo tipo di effetto speciale tanto da rigettarlo alle volte. Ma gli sconcertanti muscoli in CGI della Weta Digital (Il Signore degli Anelli, Prometheus) non bastano a fare un buon prodotto d'intrattenimento, e Reeves lo sa bene, ecco perché ci mette la sua mano, anche in fase di sceneggiatura questa volta, per plasmare un prodotto con i piedi nelle due staffe spesso contrapposte di autorialità e blockbuster movie d'azienda. Ci riesce? Lo aveva fatto con maestria nel film precedente, e la prima parte "muta" spesa a descrivere le scimmie e la loro cultura nascente incontrava perfettamente il punto di incontro dei due estremi. Poi, il tono da fantascienza matura e il finale tragico erano lì a dirci che la saga voleva essere qualcosa di più. The War ci riprova, però fa un passo indietro.
Un racconto ad edificazione di un mito tragico: Cesare, come uno Spartaco (anche quello di Kirk Douglas, volendo), deve liberare il suo popolo dal supplizio degli esseri umani, evitando la guerra. Proprio la guerra fa da campo tematico per innervare The War di componenti storiche e infatti la segregazione delle scimmie è a metà tra i campi di sterminio europei e i ghetti dei nativi americani, mentre il colonnello McCullough si imbeve dei ritratti di passati condottieri in conflitto tra loro (paragona la lotta tra lui e Cesare a Custer contro Lee, Napoleone contro Wellington). Il volto ambizioso di McCullough è già noto (Apocalypse Now), trasformato dai trascorsi post-virus in una maschera paranoica dalle smanie talmente grandi da volersi ergere contro le scimmie e anche contro gli uomini. Serviva un personaggio che andasse a sostituire la nemesi Koba del precedente capitolo ma non riesce ad avere lo stesso impatto, rimanendo una figurina, per quanto interessante.
La scena se la prende la CGI grazie alla quale Reeves e soci montano una giostra avventurosa niente male. Si passa con semplicità da esterni luminosissimi a interni cupi, eppure l'amalgama è perfetto mentre si passano in rassegna il film di guerra, le atmosfere western, il road movie e c'è anche spazio per il film d'evasione. Di tutto un po', perfettamente confezionato e incollato in una storia che fa di tutto per scorrere senza impantanarsi. Senza perdersi troppo in elogi, The War si innalza rispetto alla media di altre saghe recenti e completa un ottimo trittico di genere (per quanto faccia da contenitore di svariati di essi).
Eppure la sua "maturità" si svilisce in noti giochetti da blockbuster grossolano, più pigro che veramente velleitario. La verità è che in The War si parla troppo, laddove basterebbe far parlare la messa in scena, e lo spiegone a tre quarti di film ne è il segnale più chiaro. Passabile, sia chiaro, ma non si scosta dalla media di altri prodotti in questo. Bisogna anche trovare una mascotte che scateni risa basate su comiche slapstick, così il pubblico è contento tutto. The War punta in alto per sbalordire un pubblico grande (sia nell'età che nella numerosità), ma inciampa proprio laddove non riesce a superare la media. Un plauso particolare alla fotografia di Michael Seresin, cangiante come il film, incupisce le atmosfere senza nascondere la luce delle splendide panoramiche.