Salve.
Torno al forum dopo anni di assenza. Ovviamente ciò non pare possibile dalla data di registrazione e messaggi, ma ne leggo i contenuti dal 2006 circa, nonostante non mi sia mai registrato. Non ho quasi mai avuto necessità di farlo, mi sentivo estraneo. Non è il momento di affrontare un discorso simile, ma credo fosse quantomeno corretto fornire una spiegazione riguardo la mia persona, seppur vaga ed incompleta e soprattutto sui motivi della discussione.
Ebbene questa sera m'è tornata in mente insieme alla vecchia daily, una sezione da me poco frequentata. Ovviamente Agorà.
Il motivo lo si legge nel titolo, chiaramente conseguenza delle ultime notizie riguardanti Battisti in Brasile. Questo evento non è di mio interesse. Mi sto dilungando eccessivamente, dunque allego un articolo pescato nell'archivio di panorama, credo del 2009. L'ho trovato ieri abbastanza rapidamente tramite qualche ricerca vaga.
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Latitanti italiani: Battisti e i suoi fratelliIn Nicaragua, in Giappone e in Svizzera, soprattutto in Francia: sono 66 i latitanti degli anni di piombo rifugiati all'estero. E, in molti casi, nessuno ha mai bussato alla loro porta. Lo ha fatto adesso il cronista di Panorama
In molti a Parigi hanno applaudito l’asilo politico concesso dal Brasile a Cesare Battisti, fuggito dalla Francia nel 2004 alla volta di Copacabana. Tomàs, 20 anni, studente in legge, è uno di loro. Ha gli occhi chiari della madre e vive in un palazzo liberty sulla Rive gauche. Scende di corsa lo scalone di marmo con in corrimano in ferro e raggiunge il cronista alla porta. Lo squadra come se fosse un fantasma: «È la prima volta da quando sono nato che qualcuno tira fuori il passato di mia madre. Quella pagina per noi è girata».
La madre è Paola Filippi, 56 anni, padovana, «emigrata» a Parigi nel 1982, ex compagna di lotta di Battisti, condannata in via definitiva dal tribunale di Milano a 23 anni per banda armata e concorso in omicidio. Oggi fa l’interprete e l’aiuto-psicologa negli ospedali (ha dato qualche esame ai tempi della lotta armata). Nella capitale francese gli ex terroristi sono una piccola comunità: in base agli elenchi più aggiornati (qui sotto quello del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri) i latitanti di estrema sinistra residenti in Francia e incolpati di reati legati all’eversione sono una quarantina. Per dieci di loro lo Stato italiano ha in corso una richiesta di estradizione.
Dunque non c’è solo il caso Battisti. Per esempio Oltralpe vivono alcuni suoi vecchi compagni dei Proletari armati per il comunismo che hanno preferito la fuga al carcere. Tra questi Luigi Bergamin, ideologo dei Pac, condannato a 26 anni di reclusione. La Francia ha rifiutato la sua estradizione e lui continua a fare il traduttore a Metz. Non rischia il rimpatrio neppure Filippi, naturalizzata francese grazie al matrimonio. Secondo la giustizia italiana, questa signora di mezza età, il 16 febbraio 1979 partecipò insieme con Battisti e con l’allora fidanzato Diego Giacomini all’omicidio di Lino Sabbadin, macellaio di Santa Maria di Sala (Venezia), condannato a morte per aver ucciso un rapinatore. Paola e Diego, autonomi duri, all’epoca erano soprannominati Bonnie e Clyde, a causa della passione per le rapine e per il tiro a segno con la pistola. Scrisse di lei Pietro Forno, giudice istruttore nel processo ai Pac: «La Filippi si comportava da capo e dimostrava una freddezza che non aveva nemmeno il Battisti».
Il figlio, vittima di anni che non ha mai vissuto, non crede ai magistrati: «Mia madre mi ha assicurato che le accuse sono false. Ora non intende più parlarne, ha cancellato tutto. Vive nel futuro». Difficile spiegarlo ai parenti delle vittime. «La sua pena è l’esilio» ribatte Tomàs. «Per non essere arrestata non ha potuto partecipare neppure ai funerali dei genitori». Era un bimbo di 7 anni quando ha chiesto per la prima volta alla madre perché non tornasse mai in Italia: «Da allora, ne abbiamo riparlato solo quando sono diventato maggiorenne, poi basta». Il ragazzo conosce le vicende dei Proletari armati per il comunismo attraverso i giornali francesi e dice con tono fermo: «Sono contento che il Brasile non abbia concesso l’estradizione per Battisti. Contro di lui ci sono solo le dichiarazioni dei pentiti». Probabilmente ripete la versione della madre, che al figlio non ha mai confidato il suo pentimento. Dice il ragazzo: «Quella è la sua storia, non la mia»
La stessa di altri latitanti, fuggiti a Parigi quando il presidente François Mitterrand concesse asilo ai protagonisti degli anni di piombo in cambio della buona condotta. Un patto che ha resistito sino al 2002, quando è stata concessa l’estradizione dell’ex Br Paolo Persichetti. In altri 15 casi è stata rifiutata: 4 richieste riguardavano latitanti condannati all’ergastolo. Nel 2008 Marina Petrella si è salvata dall’espulsione per «ragioni umanitarie», minacciando il suicidio dopo aver perso in prigione quasi 20 chili.
Nello stanzino al secondo piano del ministero della Giustizia francese, in place Vendôme, Teresa Angela Camelio, magistrato di collegamento italiano ed esperta di terrorismo (in Toscana ha combattuto nuove Brigate rosse e anarcoinsurrezionalisti), mette a punto le richieste. La sua scrivania, dopo il trasferimento del predecessore Stefano Mogini, era rimasta vuota per quasi due anni: ora ha ripreso a funzionare a pieno ritmo. Le posizioni dei latitanti italiani sono di nuovo sotto esame. Non è facile riportarli in patria: nonostante l’età, la dottrina Mitterand sopporta bene gli assalti dei magistrati italiani. Come la recente richiesta di fermo per Bergamin da parte della procura di Milano. Anche perché in Francia il mandato di arresto europeo è applicabile solo per i reati successivi all’agosto del 1993, ponendo di fatto gli anni di piombo sotto l’egida dell’istituto dell’estradizione e quindi del potere politico anziché di quello giudiziario.
E quando l’Italia bussa, la Rive gauche ribolle: nel caso Petrella si è mobilitata persino Valeria Bruni Tedeschi, cognata del presidente Nicolas Sarkozy. Ecco perché molti latitanti restano a invecchiare in Francia e, magari, ad attendere la prescrizione della pena: «Non sono più ricercata dal marzo scorso» esulta con Panorama, per esempio, l’ex brigatista torinese Olga Girotto. Non hanno la stessa fortuna i suoi dieci ex compagni per cui è in corso la richiesta d’estradizione.
Cinque di loro vivono a Parigi, tre nell’hinterland, gli altri due a Montpellier e Duisans. Hanno tutti cambiato vita. Giovanni Alimonti, 53 anni, fa l’insegnante di italiano; Massimo Carfora, 52, è titolare di una società che organizza fiere e saloni; Giorgio Pietrostefani, 65, accusato dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, fa l’editore; Vincenzo Spanò, cinquntaduenne reggino, ha un ristorante. In cima alla lista dei super ricercati ci sono Roberta Cappelli, 53 anni, commerciante, e l’ex marito Enrico Villimburgo, 54, tecnico informatico, condannati all’ergastolo ed ex componenti della sanguinaria colonna romana delle Br (rapimento e uccisione di Aldo Moro, omicidi Bachelet, Minervini, Galvaligi...). Villimburgo risulta domiciliato in una viuzza a pochi passi dalla chiesa di Notre-Dame-de Lorette. Sulle cassette della posta il nome non c’è e nel cortile del caseggiato nessuno lo ricorda. Nella vicina pizzeria «Cantina clandestina» non l’hanno mai visto. Il proprietario, un piccolo editore, informa che, in compenso, ha conosciuto il fondatore delle Br Renato Curcio.
Cappelli vive, invece a est, in rue Reulley, a pochi passi dalla Camera del lavoro. Il palazzo dove risiede sembra una prigione: è un parallelepipedo di cemento alto 11 piani con 330 finestre tutte uguali sulla facciata. Lei non si nasconde: il nome è sull’elenco telefonico da quando si è rifugiata Oltralpe, nel 1993. Se la Francia concedesse l’estradizione, tornerebbe in Italia a scontare la pena o scapperebbe all’estero come Battisti? Cappelli, con voce stanca, risponde: «Mi scusi signore, è talmente evidente: se sono rimasta qua con tutte queste bufere, che cosa vuol dire secondo lei?». Battisti nega di aver commesso quello di cui lo accusano, l’ex Br, sceglie un’altra linea: «Io mi assumo tutta responsabilità di quella storia». Quindi aggiunge con leggerezza un «voilà», quasi a significare: ecco, mi sono tolta un peso.
Nella lista dei dieci per cui l’Italia ha chiesto l’estradizione c’è anche chi la prende con allegria: «Sono temutissimo: non si sa mai che cosa potrei preparare tra un piatto di pasta e un tiramisù» scherza Maurizio Di Marzio, romano, ex terrorista e oggi ristoratore. Da maggio, dopo la nascita del figlio, ha aperto una piccola brasserie poco distante da piazza della Bastiglia: «Qui vengono a mangiare pure diversi amici poliziotti» assicura. Il suo locale è un punto di riferimento per alcuni latitanti. Di Marzio è fuggito in Francia nel 1994, prima di essere condannato definitivamente a 18 anni per due ferimenti, una rapina e un tentato sequestro. La sua richiesta di estradizione è pronta da 14 anni, ma la Francia non l’ha mai firmata. Lui si sente un perseguitato: «In Italia ho trascorso sei anni in prigione, me ne restano da scontare altri cinque: perché continuo a essere inserito nella lista dei super ricercati? Non ho mai ucciso, al contrario di pentiti come Savasta, Segio, Peci, che mettevano le tacche sulle pistole».
Di Marzio dice i non aver fiducia nella giustizia italiana: «Nei processi sono emerse un sacco di fandonie e se Cesare dice che è innocente gli credo». Parla di Battisti, di cui ricorda le serare passate insieme con Cappelli e Villimburgo a discutere di estradizione, ma anche di politica, «magari prima delle elezioni italiane». Cita Karl Marx, però giura di essere cambiato: «Qui lo siamo tutti. Io sono persino diventato un padrone» prova a sdrammatizzare. Al figlio non sa cosa racconterà della sua storia e si capisce che non ha ancora metabolizzato il passato: «Ho fatto un mare di sciocchezze e non ripeterei l’esperienza della lotta armata, ma prima di giudicare bisogna considerare il contesto, il clima degli anni ‘70». Vuole dire qualcosa ai parenti delle vittime? «Che li capisco, ma mi chiedo anche perché non intervistino mai quelli di chi è morto nelle stragi di Stato». Sembra di riascoltare un vecchio 45 giri: l’orologio di Parigi è fermo al 1993. Chissà se il ministero della Giustizia italiano riuscirà a sbloccarlo. Sarkozy e Lula permettendo.
http://archivio.panorama.it/italia/L...-suoi-fratelli
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Non avevo mai approfondito l'argomento nonostante ne conoscessi le dinamiche generali. Insomma non conoscevo nomi e numero di questi particolari italiani in francia.
Come mai scrivo qui? Ho bisogno di un confronto, di leggere qualche parere ''umano'' e non mi va di farlo altrove.
Ho provato un sentimento di odio e rabbia profondi nei confronti di queste persone. Non sono comunisti. Chi sono i comunisti? Sicuramente non chi ammazza un poliziotto, non queste persone. Io sono comunista? Probabilmente. Non ho un soldo, posso già permettermi di esprimermi a riguardo. Idea banale? Forse, ma non credo i ricchi possano essere comunisti. Sì, sotto il termine ricchi fateci passare più cose.
Basta così, vi chiedo di leggere e scrivere qualcosa se vi va.
Grazie