[2] Un topoc un po' Blues & Surreale
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Discussione: [2] Un topoc un po' Blues & Surreale

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  1. #1

    [2] Un topoc un po' Blues & Surreale

    Per vedere la parte precedente di questo thread clicca qui: [1]Un topoc un po' Blues & Surreale

    Questo topiz conteneva un sacco di racconti, dal 2003 che sono andati persi (li trovate nello spoiler, ma solo i titoli. Pazienza.
    Vi metto invece la lista di quelli presenti in questa riapertura, fermo restando che non solo collegati fra loro, quindi potete leggerne uno a caso.
    In data 2015, è l'ultima cosa che mi lega a questo forum. Spero di non subire altre censure.


    L'esame di storia di lingua italiana: http://www.gamesvillage.it/forum/sho...1#post29988539

    Storia di un uomo che si trasforma in aereo e si schianta contro la Statua della Libertà: http://www.gamesvillage.it/forum/sho...1#post30280916

    Samba dell'operaio: http://www.gamesvillage.it/forum/sho...1#post31060667

    Partita di promozione: http://www.gamesvillage.it/forum/sho...1#post31990297 (sonetto)

    L'ostello: http://www.gamesvillage.it/forum/sho...1#post32702218



    Spoiler:

    Usate la catalogazione presente (ringrazio DiavoloStrego e Quacking per questo), che si divide in:
    Storie Vecchie. Storielle no-sense di anni fa: parodie, assurdità, no-sense, brevi brani che documentano la Dailyrando di qualche secolo fa.
    Surrealismi Esasperati. Allucinazioni, introspezioni, viaggi in microcosmi irreali e perdutamente onirici. Possono essere scritti seri o demenziali.
    Storie dietro al separè. Scritti surreali. Si affrontano svariati temi; i più importanti sono l'onirismo, la disillusione, il misticismo, il pessimismo. Questi racconti non sono legati tra loro; ogni testo è una storia ed un mondo a sé stante.
    Janus ha visto la disperazione. Una lunga storia, divisa per capitoli (originariamente compatta e molto emozionante).
    Brevi Testi, Poesie, Canzoni. Poesie e brevi testi non classificabili come racconti, generalmente deliranti
    Altro.Tutto ciò che non rientra nelle precedenti classificazioni. Un immondezzaio profumante di merda silvestre.


    Storie presenti nel topiz (Dio e tutti i Santi benedicano DiavoloStrego e Quacking)


    Storie Vecchie
    -Geronimo Stilton + Lettera
    -Mvesim il rusticano
    -QuelPazzoMattoMestoDisinibito DiavoloStrego [e poco ortodosso ma molto cattolico]
    -Ethan Hunt, sciroppo balsamico.
    -Fedaykin, marinaretto prodigio.
    -GFSan e l’inquinatissima negropoli della Terra di Mezzo
    -Orzoro
    -Favola di Natale: Darth Elwood e Darth Jake + Bipolarismo di carboidrati Denny [Tratta dall'album14,9 grammi di Carboidrati]
    -Claudiac, il cyborg del pianterreno + Le astruse gesta di Claudiac + As tears go by[Rollin Stones]
    -Mopoli-o di Mvesim [con la partecipazione di claudiac]
    -PsicoEroe, un dramma-turco turchese + ... E Psicoz sbagliò binario.
    -Davide, nato da un Ovetto Kinder®
    -Armanno d’Etalia, l’Etalia se desta; Armanno d’Etalia, le talia la testa!
    -Il villaggio dei cicisbei (dailyrando)
    -In the jungle, the mighty jungle
    -meteor, un'ombra nel fango
    -In the jungle, the quiet jungle
    -Jungle: Whinahwee
    -Flusso catalizzatore di no-sense Inclassificabile
    -Fiffo, tropicali e ancestrali novelle
    -La perigliosa via dell’Omino del biliardino
    -Jungle: The lion sleeps tonight
    -Slikkina, Blues e deserto
    -Don Kin
    -Visita al castello: L'uomo che sapeva troppo vomita per la morte di Ezio Greggio
    -Visita al castello: Messa
    -Visita al castello: Jurambalchi
    -Visita al castello: La statua che ognuno di noi conosce
    -Visita al castello: Un ripostiglio come tanti, posto al centro della Terra
    -Visita al castello: Fumetti Fumanti
    -Visita al castello: inglobazione dei globuli negri
    -Visita al castello: L’uomo che sapeva troppo salva tutti, non salva nessuno
    -Eclisse(episodio 1)
    -Eclisse, seconda venuta. Silenzio e inverno.
    -Eclisse, terzo respiro
    -Futuro
    -Ken, la felice vittoria
    -La 125345esima battaglia di Ken
    -Ken s'è sbronzato
    -Il sogno di Gioppino Parte Prima: Il Pianeta Fruntz
    -Il sogno di Gioppino Parte Seconda: Soggiorno a Fruntz
    -Il sogno di Gioppino Parte Terza: La Magia di Bianca + Chiusura
    -Le patatine nel deserto
    -Iakom l'ippopotamo
    -L'incredibile leggerezza dell'essere... idiota
    -Don Kin, la vita di un bastardo e Mosca Tze Tzer di Parte Prima
    -L'imperatore Mosca Tze Tzerdi
    -Don Kin, la vita di un bastardo e Mosca Tze Tzerdi Parte Seconda
    -Don Kin, la vita di un bastardo e Mosca Tze Tzerdi Parte Terza


    Surrealismi Esasperati
    -Surrealismo Esasperato; Autospecchio
    -Surrealismo Esasperato; Incuboteca
    -Surrealismo Esasperato; BrucoMela
    -Surrealismo Esasperato; Dadaverso
    -Surrealism oEsasperato; Kangaroo
    -Surrealismo Esasperato; Annullamento dell'esistenza
    -Surrealismo Esasperato; Wolfpack
    -Surrealismo Esasperato; The end
    -Surrealismo Esasperato; Nulla fa più male di una storia vera
    -Surrealismo Esasperato; Vagamente Psichedelica
    -Surrealismo Esasperato; Opel
    -Surrealismo Esasperato; La foto
    -Surrealismo Esasperato; Late Night
    -Surrealismo Esasperato; Baby Lemonade
    -Surrealismo Esasperato; Long Gone


    Storie dietro al separè
    -Una storia come un’altra, dietro il separé
    -Una storia dietro il separé: la vecchia e il puzzle
    -Una storia dietro il separé: pioggia
    -Una storia dietro il separé: festa
    -Una storia dietro il separé: il pittore
    -Una storia dietro il separé: Terribile Viaggio
    -Una storia dietro il separé: L’isola del tutto
    -Una storia dietro il separé: Mistica esperienza
    -Una storia dietro il separé: L’Uccellino Muto/Morale
    -Una storia dietro il separé: Sempay Sampey


    Janus ha visto la disperazione
    -Prologo: Disperazione /Cap. I: il mondo in cui nessuno può
    -Cap.II: Scarecrow
    -Cap.III: Conciliabolo. Aspetteremo, infine, di svanire.
    -Cap.IV: Samanta
    -Cap.V: Paglie e topino
    -Cap.VI: Bivio e considerazioni
    -Cap.VII: Blues e scelta
    -Cap.VIII: Mustang & Nash
    -Cap.IX: La Città di Perla
    -Cap.X: Bosco
    -Cap.XI: La Casetta posta sul sentiero, la casetta posta in fondo alla radura
    -Cap.XII: Scarecrow, tra orrore e delirio
    -Cap.XIII: Il Re della Disperazione/Intermezzo
    -Cap.XIV: Armonica
    -Cap.XV: Istantanee di morte e fuga/Considerazione
    -Cap.XVI: Socialmente Robotici/Conclusione, preludio e coda
    -La versione originaria del racconto divenuto poi a puntate d iJanus. E' stato scritto di getto, e nelle sua interezza risultaessere una sorta di -o blues paleolitico -o brano confuso, angosciato e disperato.


    Brevi Testi, Poesie, Canzoni:
    -Il Gatto ammalato
    -Aspettiamo di svanire (poesia)
    -Ilsempay sampey/Maggio
    -Incubo
    -Pagliaccio inabile
    -Sorridente il cadavere giace (I Versione)
    -Sorridente il cadavere giace (II Versione)
    -Estemporanea di miseria - Luglio


    Altro:
    -Recensione del film SOS Fantasmi + Approfondimento: Bill Murray
    -Il dadaismo del dado Knorr + Spiegazione basata su interpretazione personale di Dadaismo e Avanguardia
    -Cronache di Sfiga: il Co-Lione e la pioggia
    -Aspettando di svanire (testo)
    -Time Tema
    -Intro/conclusionedel topic, ringraziamenti e crediti
    -Pensiero reale ma irreale, Commento a Ucronìa, Amenità Varie
    -Sono triste
    -Inseguimento
    -Jeff
    -Aliguetou
    -(Somiglianze)
    -Sogno Ghiacciato
    -Vagare
    -Una giornata che non vuol dire proprio un cazzo
    -L'opera delle falene (saranno state le falene)
    -L'ultimo Warrah
    -Ode a Montagna Gioioso
    -Storia
    -Testamento
    -L'angelo
    -Grasso
    -Tema: il sacrestano della mia università
    -Chi sono i miseri?
    -L'automobilista giustiziereParte1,Parte2,Parte3
    -M. il poeta
    -La morte





    Qui di seguito sono riportati tre dei migliori contribuiti dati dagli utenti al topic; il primo è una poesia di Mvesim, il secondo un racconto di Psicoeroe, e infine un lungo commento di Norman.
    Poesia di Mvesim
    Racconto di PsicoEroe
    Commento di Norman
    Ultima modifica di Lord Skop's; 8-01-2015 alle 22:49:15

  2. #2

    L’esame di storia della lingua italiana

    L’esame di storia della lingua italiana (estemporanea di miseria)
    «Mi può elencare i quattro polisillabi piani in cui si riscontra il fenomeno del raddoppiamento sintattico?»; tutto era iniziato da qui.
    Maurizio Galbiati si trovava nell’aula Agnesi per l’esame di storia della lingua italiana del professor Michele Colombo. Stava facendo un buonissimo esame fino a quella domanda.
    Per qualche secondo si fece silenzio, come se tutto si fosse fermato. Il docente scrutava da sotto gli occhiali rotondi quel ragazzo, soppesando la difficoltà della domanda: se non l’avesse saputa, non gli avrebbe comunque precluso un voto superiore al 28 ma inferiore al 30 e lode.
    Maurizio, fattosi bianco in volto, iniziò a muovere lentamente le labbra, ma Colombo non sentiva alcun suono: “Eccone un altro che si lascia prendere dal panico – pensava – mi toccherà abbassargli il voto a 26”.
    Il ragazzo pareva balbettare. Poi, a un certo punto, iniziò a parlare con voce flebile: «Te l’avevo detto che te l’avrebbe chiesto». Questo parve capire il docente, che cercava di captare quei suoni appena percettibili.
    Il ragazzo proseguì: «Sì, lo so, ma l’avevo letto». Altro silenzio.
    Michele Colombo scrutò con aria turbata quel ragazzo, che ora parlava un po’ più ad alta voce guardando fisso un punto indistinto del banco dove si stava svolgendo l’esame, tutto bianco in viso.
    «Beh, ma non dovevi leggerlo, dovevi studiarlo», riprese a dirsi il ragazzo. «Ma sono due settimane che sto studiando come un pazzo, non ho neanche trovato il tempo per andare a rinnovare la carta d’identità». «Sei tu che hai voluto fare l’università, invece che stare in negozio, di cosa ti lamenti? Te l’avevo detto».
    Il docente era ormai spazientito: era sicuro che lo studente stesse facendo scena, cosa che si poteva fare in un qualsiasi esame di museologia o di storia del teatro greco e latino, ma non certo all’esame del suo corso, dove la serietà era un requisito addirittura più importante della conoscenza delle caratteristiche linguistiche del genere macaronico. Si schiarì la gola con uno stizzito colpo di tosse.
    «Ecco! Adesso lo stai facendo anche arrabbiare. Complimenti!»; «Io? Ma sei te che non sai le cose, non scaricare la colpa sugli altri!».
    Colombo stava perdendo la calma. Con un gesto nervoso si mise a posto gli occhiali e disse: «Ne abbiamo ancora per molto?».
    Pronta la risposta: «Glielo dica! Glielo dica, che continua a disturbarmi!»; «Ma sentilo! Tu devi sempre farti difendere dagli altri». Maurizio aveva aumentato il tono di voce e iniziava a gesticolare come un ossesso.
    Lo scherzo era durato abbastanza: «Ascolti, non sono qui a perdere tempo, si ripresenti la prossima volta quando sarà men-»; «Guarda cos’hai combinato! Adesso mi sta cacciando via per colpa TUA!». Maurizio stava ormai gridando, proseguendo nel suo folle dialogo: «Colpa MIA? Ma cosa stai dicendo?, non sono mica io che non ho studiato»; «Vedi di smetterla, ho studiato due settimane, coglione!».
    Michele Colombo non poteva tollerare anche le volgarità. Si alzò in piedi e disse: «Ma insomma, non siamo al circo qua, vada a fare il pagliaccio da un’altra parte! Mi consegni lo statino!».
    Maurizio fece un balzo verso il banco, picchiò i pugni e urlò «Mi faccia continuare l’esame, LY BRULLINO[1].
    Il professore diventò rosso dall’ira. Uscì immediatamente dall’aula e andò a chiamare i bidelli passando fra la calca di studenti allibiti che si erano radunati fuori dalla porta per vedere cosa stesse accadendo. Alcuni erano davvero turbati per la bestemmia, che ho dovuto cancellare: seguendo il consiglio del forum di GamesVillage, sarebbero andati subito dopo l’esame nella cappella universitaria a dire il rosario e Dio avrebbe scacciato il male che albergava nelle loro orecchie.
    In meno di un minuto arrivarono i bidelli che presero sotto le braccia il ragazzo, lo sollevarono di peso e lo portarono fuori dall’aula. Appoggiato con la schiena al muro, proprio fuori dalla porta, un iracondo Colombo teneva la testa bassa e le braccia conserte. Maurizio scalciava, si divincolava e proseguiva il delirante alterco fra le sue due personalità. I bidelli erano come degli angeli con la casacca blu, che si trasformarono in angeli bianchi quando il ragazzo venne portato all’istituto di ricovero S. Giovanni di Dio – Fatebenefratelli di Brescia.
    Nel suo stanzino Maurizio Galbiati, che si è saputo non essere nemmeno iscritto all’università, ha proseguito i suoi variegati studi autonomamente e ad agosto del 2012 ha ultimato le bozze di un trattato sul cannibalismo in Micronesia. Spera di consegnarlo all’Editrice Morcelliana entro novembre. In questi giorni passa le giornate a dipingere nature morte e a scrivere lettere che ripone in bottiglie di vetro per calarle nel pozzo del parchetto durante l’ora ricreativa. Proprio qui, io che sono il giardiniere, ho trovato la lettera che racconta la storia che avete appena letto.

    31/08/2012

    Note:
    [1]
    : Indicazione di lettura: nella redazione ufficiale è una bestemmia. Non vi dico di leggerla mentalmente come tale, se no vengono a casa a farvi il lavaggio del cervello.
    Ultima modifica di Lord Skop's; 16-09-2012 alle 13:06:50
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  3. #3
    Storia di un uomo che si trasforma in aereo e si schianta contro la Statua della Libertà
    Maurizio Bertelli era una persona che non credeva a niente di quello che i media sono soliti propinare alla gente. Lui si informava su internet o su riviste apposite. Sapeva smascherare ogni complotto ed era fiducioso che la verità sarebbe presto venuta a galla, su ogni cosa. Gli alieni tenuti in Antartide e nell’Area 51, ad esempio; oppure l’inesistenza dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001.
    Un pomeriggio era in bicicletta sulla strada provinciale 29 e stava tornando a casa da lavoro. Faceva il responsabile delle poste a Cappella de’ Picenardi, ma lui abitava nella piccola frazione di Cansero, quindi ogni giorno doveva tornare a casa in bicicletta, anche d’inverno quando la nebbia era una cortina invalicabile.
    Ma adesso si era in estate e il sole era ancora alto e il cielo limpido. Stava proprio guardando il cielo – infatti – quando vide una scia chimica. Lui non era come gli altri paesani, sapeva cosa erano le scie chimiche, sapeva facevano parte di un progetto delle multinazionali massoniche per alterare il clima creando siccità, per poi ricattare la gente a comprare coca-cola e a farsi impiantare un chip sottocutaneo in modo da essere controllati. Si era informato bene.
    Il terrore più nero si impadronì del suo cervello. “Quindi – pensava – le scie chimiche sono arrivate anche qui a Cappella, e magari persino a Cicognolo! I nostri campi si trasformeranno in un deserto!”. Incapace di controllarsi, cadde dalla bicicletta e si gettò correndo in un campo alla sua sinistra, sbracciandosi. Dentro sé sentiva una forza aliena, qualcosa indotto certamente dagli agenti chimici di quelle scie.
    Non riusciva più a controllare le sue braccia, che si bloccarono aperte, fisse. Nel mentre sentiva le gambe accorciarsi e il suo campo visivo – cosa terribile! – si andava modificando, allargandosi ma abbassandosi. Di colpo sentì che i piedi stavano sparendo, ma lui continuava sicuramente a correre, perché scorgeva il terreno continuare a muoversi sotto di lui, a una velocità sempre meno umana.
    Spiccò il volo. Si era trasformato in un aeromobile. Volava nel cielo.
    Senza aver neanche il tempo di concepire questa assurdità, sentì uscire dai piedi (o almeno da quello che per anni erano stati i suoi piedi) una scia chimica. Era diventato uno di loro, uno delle multinazionali! Era stato trasformato.
    Stava volando da alcuni minuti dirigendosi verso le Alpi; stava sorvolando il lago di Garda. Una cosa lo turbò parecchio: sentiva la testa farsi sempre più leggera. “Ciò vuol dire che i miei ricordi stanno evaporando, trasformandosi in scia chimica”, concluse. Secondo questa teoria, sarebbe presto diventato un automa.
    Ma lui non voleva morire così, servendo gli oscuri poteri massonici che aveva sempre osteggiato. Allora, mentre le sue facoltà mentali si facevano sempre più labili, decise di far rotta a nord e poi a ovest, per poi scendere a sud, in direzione di New York.
    Il suo piano funzionò: andò a schiantarsi sul braccio destro della statua della libertà, della Liberty enlightening the world, trovando un suicidio eroico contro i poteri che l’avevano mutato in quel modo orribile.
    L’indomani, gli Stati Uniti d’America dichiararono guerra alla Siria.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  4. #4

    Samba dell'operaio

    Samba dell’operaio

    Giampietro Bonetti, tornato dalla vacanza in Brasile, si era trovato come un pesce fuor d’acqua. Per ottenere un mese di vacanza aveva lavorato per due anni, festività incluse, dieci ore al giorno. Non aveva fatto quasi nient’altro, se non qualche partita a calcetto, dove comunque era il più scarso. Questi sacrifici per un fine: scoparsi una brasiliana.
    In quei trenta giorni però non si era scopato nessuna brasiliana, nemmeno minorenne. Detto così parrebbe un insuccesso colossale. Invece Giampietro, dopo due anni continui di fabbrica, che si ripercuotevano anche nei suoi sogni notturni (meglio dire incubi), aveva trovato un altro mondo. Persone povere ma inspiegabilmente felici. All’inizio non li capiva ma ne era meravigliato. Solo due giorni dopo, mentre ballava per le strade di Rio durante il carnevale, capì tutto.
    Non aveva mai viaggiato e quindi aveva l’ingenuità del turista: non poteva vedere i lati negativi del Brasile, era completamente ignorante riguardo alle favelas, lui sapeva solo che lì ci si divertiva con poco e la gente in un giorno viveva più di quanto lui potesse vivere in un anno, calcetto compreso.
    Naturale che, al termine della vacanza, si sentiva quasi dovesse andare ad un funerale. Anzi, in realtà andava a un funerale: il suo. Quattro pareti come bara, la sega circolare mezza finita come le preghiere del prete, gli operai alienati come gli altri tumulati e il salario mensile come i fiori sulla lapide.
    No, non poteva vivere così. Dopo due giorni di lavoro era andato nell’ufficio del “padrone” e gli aveva detto, chiaro e tondo, che si sarebbe licenziato.
    «Ma come? Ma lo sai quanto mi sei costato tra corsi per l’Autocad e corsi per la programmazione della CN? E io quei soldi come li recupero?»
    «Non me ne frega niente, trattienimeli dal TFR, io qua a marcire non ci sto».
    «Pensa a tua mamma, quanto era contenta quando ti sei diplomato con 63 all’ITIS, adesso cosa vuoi fare, il drogato comunista in giro per la strada? Il “letterato”? Ah ah ah, ma fammi il piacere».
    E così Giampietro Bonetti era tornato ad attrezzare la fresa a Controllo Numerico numero tre, quella che certe volte gli piaceva pensare che fosse una donna e le parlava o la accarezzava, forse per rallentare il processo di alienazione che ormai – a ventisette anni – per molti era già compiuto.
    No, però non può finire così questa storia, anche perché non spiegherebbe per quale motivo solo dieci giorni dopo la sua fotografia era impressa come una maligna coccarda sul “Giornale di Brescia” del 15 aprile.
    Dovete sapere che quella stessa notte, mentre sognava di attrezzare il vecchio e pericoloso tornio a CN numero cinque, iniziò a sentire il samba delle strade di Rio. Ad un certo punto l’ambiente dell’officina si dissolse e si ritrovò in mezzo ai coriandoli. Questi dapprima gli svolazzarono attorno, poi si unirono a formare una figura androgina tipicamente brasiliana.
    «Sciau belu, tu mi piaji!»
    «Chi sei? Dove sono?»
    «Eu sou o Spiridu do samba!»
    «Lo spirito della samba?»
    «Sim belu, do samba o da samba, maschil o feminil nao emporta! Tu hai dimostradu de adorare nossa cultura, quindi tu véni com noi nel Paradisu do samba».
    «Sì! Sì, vengo subito!»
    «No louco! Ah ah, em verdaji esso è soamenci um sonho».
    «Ah! Ma allora come posso fare per raggiungervi nel Paradiso del samba?»
    «Fica bem! Quando parla il Grilu, tu agisci como tu vuoi, meu amigu!»
    «Come? Puoi spiegar-», ma la sveglia interruppe il sogno. Una nuova – nera – giornata di lavoro doveva iniziare.
    Come ogni mattina accese il telegiornale di Canale Cinque. Tra meteo infausto, oroscopo inutile e notizie inette, vide un’intervista che lo fece trasalire. Era Beppe Grillo che ai microfoni sbraitava che bisognava prendere a calci nel culo la classe politica e rivoltare il Parlamento.
    “Grillo! Eccolo lì il Grilu! È questo il segno!”.
    Non andò a lavoro quella mattina, ma scese a Brescia e da lì prese il regionale per Milano. Aveva visto un servizio di Luigi Pelazza de Le Iene dove spiegava per filo e per segno come fare per procurarsi un’arma nel mercato nero di Milano.
    In poco tempo si trovò in una baracca con degli zingari, che non fecero troppe obiezioni alle sue richieste d’armi, sia per via della sua espressione da psicolabile esaltato, sia perché pagava con denaro buono, senza fare troppe storie.
    Quando tornò a casa trovò sul cellulare molte chiamate con il numero dell’azienda, ma anche un messaggio da parte del numero personale del “padrone”: <Cosa ti salta in mente? Se non ti presenti domani scordati la tredicesima>. Saggiamente l’aveva minacciato con un numero diverso per evitare di incappare in sanzioni penali.
    Beh, l’indomani si presentò con cinque minuti di ritardo, in modo di essere sicuro che il “padrone”, il direttore, i due caporeparti e persino i dieci operai fossero presenti. Poveri, poveri operai: non c’entravano niente, però li avrebbe sollevati da quella vita di merda, di umiliazioni e di alienazione a cui erano destinati. Come avrete senz’altro capito, si presentò armato fino ai denti.
    Appena entrato constatò un altro miracolo, che lo spinse nei suoi gesti. Dalla fresa a Controllo Numerico numero tre, quella con cui parlava, stava uscendo una musica, un samba. Forse era solo la sua immaginazione, o forse era davvero un segno dello “Spiridu do samba”.
    In primo luogo, appena scorse gli sguardi minacciosi dei suoi superiori tolse la sicura a una granata e la gettò nel reparto torneria, che stava in fondo, facendo una strage di operai. Poi si rivolse proprio ai suoi aguzzini: estraendo una UZI semiautomatica fece fuoco su tutti loro.
    In quel caos, tra grida, spari, fumo, crolli, olio che fuoriusciva dalle macchine e musica samba, lui cantava piangendo.
    «Tristeza, por favor vá embora»,
    TRATTATATATA.
    «Minha alma que chora, está vendo meu fim».
    E qua falciò il caporeparto rumeno, quello che lo aveva minacciato con la chiave inglese perché l’aveva scoperto a mangiare un Duplo alle dieci e mezza, al posto di velocizzarsi ad attrezzare la numero due.
    «Fez du meu coração a sua moradia, já é demais o meu penar».
    Qua falciò il direttore, quel vecchio bastardo puttaniere che vietava gli aumenti che non fossero gli obbligatori sindacali e poi spendeva migliaia di euro in escort di lusso.
    «Quero voltar aquela vida de alegria».
    Faccia a faccia con il “padrone”, che aveva aperto il suo portafoglio offrendogli il lauto e laido contenuto, fece fuoco urlando: «QUERO DE NOVO CANTAR
    Fu così che si guadagnò il Paradiso del samba, ma anche la prima pagina del “Giornale di Brescia” del 15 aprile.

    La pazzia dilagherà... un giorno...

  5. #5
    Partita di Promozione

    Quanti insulti devo ancora sopportare
    per aver alzato la bandierina?
    Il pubblico non cessa di gridare,
    non riesco a gestir l’adrenalina!

    Calma, tranquillo, fammi ragionare:
    il Concesio non è la Fiorentina,
    inoltre il gol non era regolare,
    non a me, a loro serve l’aspirina!

    Segnalo l’ennesimo fuorigioco
    e i tifosi non la prendono bene.
    Sfondan le reti: mi salvo per poco,

    come sul campo dell’Alzano Cene,
    quando tornai a casa fioco fioco
    con il sangue gelato nelle vene.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  6. #6

    L'ostello

    L'ostello
    Una camera del "Blue Coast Hostel" di Setùbal (Portogallo)
    Mi trovavo da tre giorni al Generator Berlin Mitte, un ostello di Berlino, erano ormai i giorni finali del mio lungo viaggio alla scoperta del continente europeo. Essendo islandese, non mi consideravo propriamente europeo e prima di quel viaggio non conoscevo molto i paesi della vecchia Europa. Da Berlino sarei andato a Copenhagen e lì, dopo tre giorni, avrei preso l’aereo per l’Islanda.
    L’ostello era semivuoto; era un giovedì, forse si sarebbe riempito nel fine settimana. Quella notte nella camerata da sei persone dormii soltanto io, un clima surreale per un ostello.
    Venerdì mattina uscii e andai a visitare la parte orientale della città. Mi fermai a mangiare in un ristorante indiano e tornai in ostello soltanto nel tardo pomeriggio. Mi fece piacere vedere che nella mia stanza c’era una valigia nuova e alcuni vestiti buttati alla rinfusa sul letto: un nuovo ospite, una persona ancora senza faccia e senza un nome.
    Amo molto gli ostelli, mi permettono di conoscere gente di ogni luogo, che viaggiano per motivi diversissimi: dalla semplice vacanza, al road trip, a viaggi d’amore o di lavoro (o entrambi), addirittura gente fuggita di casa alla ricerca di una estemporanea libertà, che finirà qualche giorno dopo, quando torneranno a casa al verde. La persona che mi aveva più colpito, prima di conoscere il protagonista di questo racconto, era una ragazza belga ventenne conosciuta all’Alfama Patio Hostel di Lisbona, che girava l’Europa rigorosamente a piedi, con uno zaino verde, un cappello e un bastone; da sola. Stava facendo il cammino di Santiago a ritroso, voleva andare in Algarve, poi in Andalusia e poi non si sa.
    Dopo la doccia era già sera. Mi trovavo nel salone davanti al portatile e alle mappe per pianificare al meglio il viaggio per Copenhagen. Meglio il treno o l’autobus? Dell’aereo neanche a parlarne, volevo vedere le strade, passare per le cittadine e per le campagne. Impiegai due ore per organizzare il tutto al meglio, mi dimenticai persino di cenare. Quando tornai in stanza conobbi il nuovo ospite: uno spagnolo, capelli e occhi neri, pelle olivastra, piccolo di statura e magro, simpatico e di bell’aspetto. Tutto il contrario di me, un vichingo nordico biondo, alto, grosso e timidissimo. Infatti parlai poco, mi limitai a rispondere alle sue domande e ad augurargli un buon soggiorno e una buona notte.
    L’indomani parlai un po’ di più con lui. Nel pomeriggio arrivarono molti altri ospiti, che soggiornarono nelle camere vicine alla nostra. Tra essi vi era un gruppo di ragazze francesi, che lui invitò a cena in un ristorante spagnolo lì vicino. Invitò altre persone, tra cui me. Lui diede spettacolo: con il suo carisma attirava l’attenzione di tutti, le ragazze lo adoravano e i ragazzi lo trovavano molto simpatico. Bevve molto, ma non tanto da diventare ubriaco. Alla fine della serata, su idea delle francesi, quasi tutti decisero di andare in discoteca, tranne lui e me: lui perché l’indomani sarebbe partito presto, io perché non avevo quasi mai parlato e mi sentivo un pesce fuor d’acqua, asociale e fuori luogo. Tornando all’ostello si lamentò di non aver potuto “follar” la Jacqueline e mi disse che avrei dovuto parlare di più con quelle ragazze e andare in discoteca, almeno io che potevo.
    Dopo aver fatto la doccia lui andò a dormire, mentre io rimasi in sala a chattare con i miei amici di Reykjavik. Tornai in camera verso mezzanotte, lui si stava rigirando nel letto, ancora non era riuscito ad addormentarsi ma non era nemmeno totalmente sveglio. Mugolava e borbottava in modo strano, come se non stesse molto bene.
    Mi misi il pigiama e mi coricai. Dopo pochi istanti sentii una scoreggia potentissima. Il mio primo istinto fu di ridere, ma forse così l’avrei offeso. Lui si svegliò del tutto e mi porse più volte le sue scuse, mortificato. Io gli dissi che non era niente, trattenendo a stento un sorriso.
    Lui si rivoltò tra le coperte e iniziò a dormire, mentre io stavo semplicemente riposando, pensando alle occasioni perse durante questo viaggio europeo a causa della mia eccessiva timidezza. Dopo qualche minuto iniziai a sentire di nuovo delle scoregge, all’inizio abbastanza rumorose, poi un po’ più contenute, segno che si era svegliato e cercava di controllarsi. A un certo punto tossì per coprirne una, invano.
    Io non sapevo proprio cosa fare; non che mi disturbasse, ma la situazione era davvero insolita e non volevo metterlo in imbarazzo facendogli commenti. Intanto le scoregge continuarono per almeno un’ora. Alle tante mi addormentai.
    L’indomani mi svegliai piuttosto tardi, alle nove. Lo spagnolo non c’era; non c’erano neanche le sue valigie. Mi dispiaceva non averlo salutato, ma d’altronde penso che si sarebbe sentito in imbarazzo per via di ciò che era successo qualche ora prima.
    Ero affamato, quindi decisi di scendere nella sala della colazione e rimandare la doccia in un secondo momento. Stavo scendendo le scale quando lo vidi al banco, stava aspettando l’impiegata per fare il check-out.
    Scesi altri tre scalini e lui si accorse della mia presenza, quindi levò gli occhi dai documenti che stava compilando. Mi vide; sorrise timidamente. Non era il suo solito sorriso, era molto mortificato.
    Io gli sorrisi cercando di essere più naturale possibile. Volevo dirgli di non preoccuparsi, che non mi aveva certo offeso e che ero riuscito comunque a dormire, ma la mia timidezza e la paura di essere troppo indiscreto mi frenò. Allora alzai semplicemente la mano destra e lo salutai bonariamente, senza dire niente.
    A quel punto successe qualcosa che amo pensare soprannaturale. Sentii un certo stimolo… feci per girarmi, ma poi capii che era un segno del destino: alzai la gamba sinistra e tirai la scoreggia più potente che abbia mai tirato nella mia vita. Lo guardai con la coda dell’occhio, sorridendo, poi mi girai completamente e tornai indietro salendo le scale; era meglio dare prima la doccia.
    Lui stava ancora sorridendo bonariamente: aveva apprezzato il mio saluto d’addio.


    Scritta quasi interamente il 7/05/2014 a Lisbona, ultimata il 22/07/2014 in Italia.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  7. #7
    sfaciola cojioni L'avatar di vittorio86
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  8. #8
    W L'avatar di Benza
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    io invece vorrei tanto che esistesse una storia analizzata in chiave realistica de: L'uomo a cui tremavano gli alluci troppo forte.

    poveretto...

  9. #9
    Il concerto e la fine
    Alessio era riuscito a superare un esame di latino, peraltro integrazione curriculare. Per “festeggiare” questo misero risultato (ormai si accontentava di poco, infatti aveva preso 24) si era concesso il permesso di andare ad un concerto.
    “Quest’esperienza mi mancava dall’epoca di Cicerone”, pensò, compiacendosi di questo collegamento evitabilissimo. Come peraltro è evitabile riportarne il pensiero, ma tant’è, non ho limiti di cartelle.
    Il concerto faceva parte di un festival che si svolgeva a Curtarolo, in provincia di Padova. Paesotto industriale orrendo tagliato dall’inquinatissimo fiume Brenta. Si era portato un sacco a pelo perché di notte, alla fine del concerto, sarebbero mancati i mezzi per raggiungere la stazione di Padova, quindi avrebbe dovuto dormire lì.
    Arrivò nel primo pomeriggio e andò ad esplorare la zona. Tutto orribile. Un parchetto pieno di zanzare, una tangenziale, officine ovunque, case fatiscenti, rottami, un cimitero con un guardiano pazzo che insultò il nostro Alessio in dialetto, senza un motivo. Cielo grigio e un po’ di pioggia (quella non manca mai) rendevano l’atmosfera lugubre.
    Il pomeriggio passò nella solitudine più bieca, pensando a quella ragazza brasiliana che prima l’aveva tenuto sul filo del rasoio per mesi, poi l’aveva scaricato con un messaggio su Facebook dicendo che a Milano aveva conosciuto un ragazzo e pensava d’essersi innamorata. Scaricato come una merda, come un dente marcio. Non ci aveva cavato un ragno dal buco, se non qualche bacio (misero “contentino”) e tanto stress psicologico.
    Cominciò il concerto. Finì. Abbastanza interessante.
    Rimase qualche altro tempo nell’area del festival, il più piccolo festival che avesse mai visto, dal nome Curtarock. Andò a comprarsi due carissimi panini e due birre altrettanto care. Galvanizzato dal concerto, cercò di attaccare bottone con la popolazione locale. Al tavolo c’era un gruppo formato da un ragazzo e tre ragazze. Tutti belli, ben vestiti, alti e biondi. Lui era brutto, aveva viaggiato tutto il giorno sotto una leggera pioggerellina ed era basso e scuro, ma con la pelle chiara da persona carente di salute.
    Cercò di parlare con loro, ma loro risposero a monosillabi, lasciando trasparire irritazione. Lui pensò di aver sottrato tempo ingiustamente a degli sconosciuti, si sentì a disagio, capì di non poter rimediare e, imbarazzato, andò a fare un giro per le povere bancarelle che vendevano collanine e le solite cose new age da hippy del fine settimana.
    Tentò di attaccare bottone prima con una mora poco più alta di lui, poi con una bionda alta ma non molto bella. Nel primo caso non ottenne neanche una risposta: ignorato del tutto; nel secondo caso la ragazza rispose alla domanda se le fosse piaciuto il concerto con «Eh sì, anche il mio fidanzato l’ha gradito», poi tornò intenta a far passare gonnelline a fiori dal prezzo esagerato (ma “etnico”): niente da fare, rimbalzato.
    A mezzanotte erano rimasti in pochi. Anche i ragazzi padovani biondi se ne stavano andando, lanciandogli fugaci occhiate di compassione. «Ma da dove viene questo?», «Ti gha visto come xe bruto», «Quando me gha vardà con quei oci tutti fuori mi go ciapà paura», «Poareto che bruto, però magari voleva solo parlare un po’, sembrava tuto solo e spaurito», «Proprio con noi? Non poteva parlare con altri, magari gli zingari o quel mato del Zuan». Il tutto condito con qualche risolino e un vago senso di malessere proveniente dalla coscienza, subito lenito. Tutti si dimenticarono di quel ragazzo quando il capogruppo chiese: «Demo a la cà del Fede? La sua sorea la compie gli ani». «Ma adesso? Xè tardi, domani devo andare al congresso della Boldrini», «Ma dai Sandra, demo a bere qualche birra, saranno rimaste, tanto il congresso xe ae due», «Va bene dai, demo, ma solo mezz’ora». E andarono.
    Anche adesso che rimanevano pochissime persone ed era quasi l’una, nessuno faceva caso a lui. Era solo come un cane, fantasma tra gli stranieri. Non che il Veneto fosse tanto lontano, ma d’altronde lui si sentiva straniero anche nella valle industriale dove era nato, cresciuto e risiedeva. Però lì almeno qualcuno lo salutava e scambiava due parole, se non altro per educazione.
    Stanco e umiliato, uscì a capo chino dal cortile dove avevano organizzato il festival. Andò a cercarsi un posto dove dormire. Escluse la zona industriale perché orrenda e priva di posti dove mettere il sacco a pelo. Trovò un edificio in costruzione, forse una casa o un capannone; appena s’avvicinò sentì rumori rapidi ma non riuscì a scorgere nulla nell’ombra, neanche illuminando con una pila.
    “No, con i topi eviterei di dormire”.
    Allora puntò in direzione del parco, che in realtà era lontano, almeno mezz’ora di cammino, da farsi gran parte sul ciglio della statale, buia e inquietante. Ma la pazienza e il coraggio non gli mancavano, d’altronde non credeva d’avere nulla da perdere.
    All’una e ventuno minuti stava camminando sul ciglio della tangenziale quando passarono loro, i ragazzi biondi. Avevano bevuto più di una birra, soprattutto il ragazzo che stava guidando, dato che la “sorea del Fede” era sì maggiorenne, ma i suoi amici quasi tutti minorenni e non bevevano poi molto rispetto alla media veneta.
    «Varda chi xè! Dai che gli fasemo uno scherzo!», disse il ragazzo, che aveva riconosciuto lo zaino rosso di Alessio e il suo sacchetto blu con dentro il sacco a pelo.
    «Suona il clacson», disse una ragazza.
    «No no urlamoghe “merda”!», disse un’altra.
    La terza non riuscì a dire niente (d’altronde non aveva nemmeno idee) perché la Golf nera gli piombò addosso, lo prese all’altezza della coscia sinistra e gli fece fare un volo di sette metri. Rotolò ancora qualche metro nel prato e si arrestò quanto picchiò la testa contro un pezzo di cemento, all’altezza del cimitero, lontano venti metri. Era tutto fratturato, incosciente. Alcuni organi interni erano lesionati.
    «Ma cosa ti gha fato?!», urlò una delle bionde!
    «Ma io volevo solo spaventarlo!», disse il ragazzo, stranito e stordito. L’aveva tradito l’asfalto umido e il livello etilico nel sangue, che gli impediva di prendere le giuste misure.
    «Dobbiamo fermarci, chiamiamo l’ambulanza», suggerì l’amica.
    «Ma sei matta? Ho bevuto, mi ritirano le patenti! Non voglio finire in prigione».
    Ancora qualche obiezione, qualche risposta decisa del ragazzo, che in futuro avrebbe sposato una delle tre ragazze, ma si sarebbe “passato” anche le altre due, poi ognuno per la sua strada, con questo piccolo sassolino sulla coscienza. Per fortuna non avevano parlato con lui, non gli avevano chiesto chi fosse né la sua storia. In questo modo, rimanendo un vago rigordo senz’anima, il rimorso pesava meno.
    Quanto ad Alessio, riprese e riperdette coscienza più volte, mentre moriva. Pensò di non meritare di morire lì, di fronte ad un cimitero anonimo, al buio, al freddo, al silenzio, sotto una leggera e anonima pioggerellina. Non lo meritava proprio, era una cattiveria gratuita del destino, era una morte orribile e inutile.
    L’ultimo suo pensiero fu: “Non credo riuscirò più ad andare in Brasile”. Poi si spense, compiacendosi della battuta, con il più mesto dei sorrisi stampato sulle labbra sporche di fango.
    La pazzia dilagherà... un giorno...

  10. #10
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    bravo Skop, bei racconti però cambia la firma che la rana gialla non si può vedere



  11. #11
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    visto l'up dell'altro thread, mi è tornato in mente questo, e la storia di Alessio, che tanto mi era piaciuta 7 anni fa. La storia resta d'impatto, purtroppo però ad una rilettura ho storto il naso per via dello stile di scrittura, c' qualcosa che non mi convince...oltre al fatto che la scena clou è funestata da quel cambio di persona secondo me sbagliato ("La terza non riuscì a dire niente (d’altronde non aveva nemmeno idee) perché la Golf nera gli piombò addosso, lo prese all’altezza della coscia sinistra e gli fece fare un volo di sette metri." -> il soggetto passa dalla ragazza ad Alessio). Comunque ti rinnovo i complimenti Skop per tutto quello che hai scritto negli anni



  12. #12
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    Estemporanea di miseria - Luglio
    «Puoi uccidermi, se vuoi».
    La solita frase. Giacomo, accarezzato dal tiepido sole del tramonto, stava sulla roccia; sotto di lui un burrone, circa centocinquanta metri di vuoto, gli alberi di sotto. Dritto con le braccia aperte, in equilibrio su una sola gamba, pareva una statua dimenticata.
    Dava le spalle a Carla, la sua ragazza, che non riusciva a capire questo comportamento; d’altronde Giacomo non glielo spiegava. Per quale motivo, tutte le volte che arrivavano lassù, lui si comportava così? Cosa voleva dimostrare? Carla si sentiva angosciata e in questi brevi istanti capiva di non amarlo, o almeno non del tutto.
    Lei non avrebbe mai pensato di gettarlo giù dalla rupe, approfittando malignamente della sua fiducia. Per fargli capire che non l’avrebbe mai spinto di sotto se ne stava ad osservarlo con le braccia conserte e con l’espressione mesta e lievemente sconcertata (quasi vuota) che le provocava questo comportamento inspiegabile, mantenendo una distanza di due metri e quarantacinque centimetri.
    Proprio questa distanza le impedì di afferrargli il braccio quando – per errore – scivolò via per sempre.
    Ban per aver incitato i ragazzi a non rispettare le norme sul distanziamento!

    Comunque sto leggendo delle storie grandiose qui. Hai scritto tutta sta roba in soli 4-5 anni?

  13. #13
    Citazione titan2010 Visualizza Messaggio
    visto l'up dell'altro thread, mi è tornato in mente questo, e la storia di Alessio, che tanto mi era piaciuta 7 anni fa. La storia resta d'impatto, purtroppo però ad una rilettura ho storto il naso per via dello stile di scrittura, c' qualcosa che non mi convince...oltre al fatto che la scena clou è funestata da quel cambio di persona secondo me sbagliato ("La terza non riuscì a dire niente (d’altronde non aveva nemmeno idee) perché la Golf nera gli piombò addosso, lo prese all’altezza della coscia sinistra e gli fece fare un volo di sette metri." -> il soggetto passa dalla ragazza ad Alessio). Comunque ti rinnovo i complimenti Skop per tutto quello che hai scritto negli anni
    Ti ringrazio, in effetti hai ragione. Un tempo scrivevo in modo molto concitato, con frequenti cambi di soggetti, molte cose che accadevano in poco tempo. Poi quando ho rivisto alcune cose scritte in passato, mi è stata fatta la critica che rendevo tutto molto didascalico, quasi come se reputassi il lettore uno stupido e quindi gli spiegassi tutto per filo e per segno... praticamente non ho trovato un giusto mezzo

    Citazione Mister Y Visualizza Messaggio

    Comunque sto leggendo delle storie grandiose qui. Hai scritto tutta sta roba in soli 4-5 anni?
    Beh, "grandiose" è un po' troppo.
    All'epoca, specialmente quando lavoravo in officina, scrivevo molto. Poi quando ho mollato tutto per andare all'università ho iniziato a scrivere di meno e da quando ho finito l'università e ho preso a lavorare non scrivo quasi più un cazzo

    Una delle ultime storie che ho scritto, nel marzo 2020, era di un tizio paranoico sul covid, che guidava da solo in macchina con la mascherina, che tirava sotto chi faceva passeggiate coi cani e che finiva per impazzire completamente e imboccare in contromano l'autostrada. Se no ho scritto alcuni articoli per un blog cinematografico, facendomi chiamare "El Mimo Gabarria", tutti davvero da pazzo psicotico, pseudobiografici, che hanno l'unico pregio di essere molto allegri e vivaci. Provo a vedere se li recupero.
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  14. #14

    Bambole meccaniche, il Casanova di Fellini e Guido Gozzano

    Ho recuperato il primo (almeno credo) di quegli articoli pseudocinematografici. Era stato leggermente epurato dalla redazione, l'originale non saprei recuperarlo, però non è stato stravolto. Le immagini sono state inserite dalla redazione, specialmente dal caporedattore, che è un mio compagno di sbronze e abbuffate folli.

    Bambole meccaniche, il Casanova di Fellini e Guido Gozzano
    Mi trovavo a Barcellona e mi sono imbattuto in un annuncio erotico che, tradotto in italiano, diceva: «Sono arrivate le bambole sessuali! Da noi potrai provare, affittare o comprare la bambola sessuale che più si adatta alle tue fantasie». Seguivano i nomi delle bambole e un rimando su Internet, con fotografie e una sorta di presentazione di ciascuna. La mia prima reazione è stata ricordarmi la scena finale de Il Casanova di Federico Fellini (sì, il titolo è proprio questo), film del 1976 dell’indimenticabile regista romagnolo. Un vecchio Casanova, morente, ha una specie di allucinazione (o forse è già morto e l’allucinazione è il suo Paradiso personale?): si ritrova, giovane, sulla laguna veneta ghiacciata, a ballare con una donna meccanica, una bambola appunto. Una scena onirica, tetra, piena di buio e di freddo, tipicamente felliniana.

    E proprio con questa scena, tatuata nella mia memoria, inauguro questa nuova rubrica, parlando di questo film, uno dei meno riconosciuti del consistente repertorio di Fellini. Il regista romagnolo coltivava un rapporto odio/amore con l’avventuriero veneziano e questo lo si capisce benissimo da alcuni indizi. Innanzitutto, per rappresentare il ruolo di Giacomo Casanova, Fellini ha scelto l’attore canadese Donald Sutherland: faccia lunghissima, occhi sporgenti e pulsanti da pazzo, stempiatura fino a metà testa, andatura sgraziata; una sorta di grottesca parodia del veneziano. Poi il Casanova dipinto da Fellini è una sorta di ridicolo sbruffone piagnucolone che va in giro senza meta e con il solo pensiero fisso di fare sesso, sempre e comunque, peraltro in modo ridicolo, tra esercizi ginnici allucinanti e al suono terrificante di un assurdo uccello meccanico. Infine, in ogni sua (dis)avventura, Casanova esce in parte sconfitto o malconcio.

    Non è possibile parlare del Casanova felliniano come un film biografico; piuttosto, è una specie di caricatura di ciò che chi non ha mai letto l’autobiografia casanoviana Storia della mia vita pensa che Casanova fosse: una sorta di Don Giovanni, collezionista di donne. Invece Casanova è molto di più: un libero pensatore, precursore dell’Illuminismo, viaggiatore, filosofo, diplomatico, spia, letterato, un artista della vita e infine – ma soltanto infine – un donnaiolo, perlomeno nella prima parte della sua vita, perché nella seconda non è così.

    Ma i film non si giudicano per la loro attendibilità storica, a meno che abbiano dichiarato questo obiettivo. Com’è quindi la versione felliniana? È in primo luogo un film “strano”, da un lato permeato dalla tipica atmosfera quasi onirica e vagamente inquietante, dall’altro è un film dove traspare l’odio del regista verso il protagonista. E io credo che sia una cosa geniale. Tempo fa ho letto un libro di Guido Gozzano, poco conosciuto: non le sue poesie, ma il resoconto di un viaggio in India. Titolo: Verso la cuna del mondo. La cosa migliore di questo libro è l’introduzione di Gianni Guadalupi, che al posto di lodare l’opera, la sputtana, trattando con disprezzo l’autore, dicendo che ha scritto cose false e ha copiato certi passaggi da altre opere. La conclusione è magistrale: dice che quel libro è da far leggere ai giovani affinché imparino a non viaggiare.
    Tutto geniale. Sono convinto che ogni introduzione debba essere scritta da chi odia l’autore dell’opera. In questo modo le introduzioni acquisirebbero senso. Credo poi che sia interessante vedere film biografici realizzati da registi che odiano il protagonista. Perché? Perché sono più sinceri. Non vogliono dimostrare niente di grandioso e proprio per questo dimostrano sinceramente i difetti dei personaggi rappresentati. Così avviene nel Casanova felliniano: alla fine, al momento del ballo con la bambola meccanica, non è possibile non avere compassione di questo povero, triste e solo Casanova/Fellini. Ovviamente la bambola rappresenta il fatto che, per Casanova e per Fellini, la donna ideale meritoria di amore imperituro non esiste – al massimo può essere una bambola meccanica.

    Chiudo qua il discorso, aggiungendo soltanto che i punti di forza del film sono anche la pregevole colonna sonora di Nino Rota, a tratti anche inquietante, la meravigliosa scenografia, i costumi e certe trovate veramente geniali, come la pantomima assurda della mantide recitata dal gobbo Dubois e da due castrati a un pubblico composto da divertiti francesi, allibiti spagnoli (tutti vestiti di nero) e un incuriosito Casanova: «Batte batte il cuore in petto anche ad un insetto, dell’amor l’effetto, nelle pene, nelle pene, provo! Oh l’amor, l’amor ch’io sento m’è d’eccitamento, quale godimento, nell’amore, nell’amore, provo!». Nel caso vi siate chiesti se, alla fine, mi sia scopato la bambola, la risposta è ovviamente affermativa: ho pagato per farmi una bambola meccanica e mi sono anche divertito un casino. Anche io, quando il mio cervello non riceverà più ossigeno e starà per spegnersi, voglio avere un’allucinazione e danzare con una bambola meccanica per le ramblas di Barcellona!
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  15. #15
    Mister Y L'avatar di Mister Y
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    Non conoscevo questo film, ma non credo sia tanto sottovalutato se ha persino vinto un oscar. In ogni caso preferisco rimanere con l'idea di Casanova assieme alla splendida Stacy Martin dell'ultimo film, piuttosto che con una bambola meccanica!



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