Sembrerò probabilmente l'ennesimo vecchietto che pronuncia la frase "I giochi non mi emozionano più come una volta", che ormai fa meno effetto di "Non ci sono più le mezze stagioni" ma ahimè, è così.
All'età di 10-11 anni qualsiasi vaccata di giochillo mi capitasse tra le mani era per me fonte di idilliaca evasione dalla routine scolastica.
Era in grado di trasportarmi altrove facendomi dimenticare tutto, anche della torta di mele delle cinque, che entro le cinque e mezza era già sistematicamente parte di quell'organismo che familiarmente chiamo Mio fratello, mentre io ero intento a completare l'ennesimo livello di Prince of Persia, nella speranza che, dopo ore di gioco (non esistevano punti di salvataggio... ) non dovessi ritrovarmi costretto a rifare... tutto.
E così, mentre l'epigrafica scritta Game Over si stagliava inesorabile dinanzi ai miei occhietti sbarrati, mio fratello aveva l'ardire di ruttarmi in faccia, come a dire "Bravo pirla, tu eri lì a giocare e io mi sono mangiato la torta!"
Ma poco m'importava.
Per lungo tempo, dalla mia infanzia sino ad oggi, avevo desiderato un gioco di guida adrenalinico e con una grafica iperrealistica, che mi tenesse inchiodato allo schermo.
Così, qualche giorno fa, in giro per Milano, dopo una funeraria giornata di lezioni insignificanti e una piacevole sosta in libreria, mi rintano in un pidocchioso negozio di videogiochi e scorgo uno dei Platinum che più avevo atteso ultimamente: Burnout 2.
Mi chiedo: "Cosa più aneli fare in un gioco di guida? Vincere una gara in piste deserte tenendo la prima posizione per una noiosissima mezzora? Naaaaaaa, nulla di tutto ciò, Gran Turismo non fa per me. In un gioco di guida voglio poter fare tutto ciò che mai potrò nella realtà: voglio potermi schiantare intenzionalmente contro una fila di macchine davanti al semaforo, voglio poter sfrecciare a velocità assurde in un folle slalom tra le macchine delle mamme appena uscite dal supermercato."
Burnout 2 può fare questo, lo compro.
Ma ecco che, mentre la mia mano si appropinqua ad afferrare l'oggetto tanto desiderato, quella frase che MAI avrei voluto sentire in quel momento, si materializza nell'aria e provoca l'oscillazione degli ossicini all'interno del mio apparato uditivo:
"cIaO, pOsSo aIuTaRtI?"
Il commesso, un ragazzo bassottello, tarchiato, sudato, dai capelli rossicci, la barba incolta e informe, la bavetta ai lati della bocca, gli occhi strabici, gli occhiali, le occhiaie e le occhiate da saputello che mi vomitava addosso.
In quell'istante mi chiedo di fatto come potesse un ragazzo di vent'anni ridursi in quello stato, ma in fondo è una sua scelta. Disgustibus.
Ha una parlantina peggio di mia sorella, e la voce stridula che emette si materializza anche sotto forma di sputazzi occasionali che fingo di non notare.
Colonie di germi volano felici nell'aria stantia di quel minuscolo negozietto, e le parole infette del commesso mi travolgono mentre cerco di trattenerle con degli sterilizzanti "si si, è vero, si si, hai ragione" che alterno ciclicamente con regolarità per non far notare troppo il mio assecondamento.
Ma in fondo dopo tanta attesa questo prezzo non è poi così alto da pagare, avrò avuto la mia copia di Burnout 2 e avrò fatto felice quell'uomo, che è me a 10 anni nel corpo di uno di 20 che ne dimostra 40.
Nella mia malignità comincio a convincermi di essere migliore, poi però penso... accidenti, lui probabilmente riesce a divertirsi ancora coi videogiochi.
Nei giorni seguenti, dato il tempo limitato, riesco a giocare a Burnout 2 alcune volte, e mi emoziona.
Ci gioco anche con gli amici, e tra un incidente e l'altro ci facciamo quattro risate.
Dopo due settimane mi ritrovo riverso sul divano, il controller a terra, i piedi dove capita, l'orologio che segna le otto e mezza di mattina, la PS2 ancora accesa, io in uno stato comatoso.
Mi ero addormentato la notte prima mentre facevo a zig zag tra i TIR a 250 km/h contromano in autostrada.
Perchè? Ditemelo voi, se volete.