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Discussione: [1][Sito GrMusic] Articoli [IMG]

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  1. #1
    Godo L'avatar di Tenente_Pliskin
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  2. #2
    Kelvan
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    E questo lo....ehm..sverg...ehm no, inizio io.
    Marco hai aggiornato il sito?
    Se no, quando pensi di farlo?

  3. #3
    confratello della Loggia L'avatar di M@rco
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    Citazione Kelvan
    E questo lo....ehm..sverg...ehm no, inizio io.
    Marco hai aggiornato il sito?
    Se no, quando pensi di farlo?
    Kelvo, la scuola è praticamente finita, quindi tra pochi giorni riprendo ad aggiornare... sto anche preparando qualche sorpresina...
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  4. #4
    FVCG
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    dove sta il link al sito?

  5. #5

  6. #6
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    grazie

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  7. #7
    Squadrismo Hardcore L'avatar di Bzzo
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    Album:In the court of the crimson King
    Autore:King Crimson
    Genere:Progressive Rock
    Anno:1969
    Etichetta:Virgin
    Tracklist:
    21ST Century Schizoid Man
    2I Talk To the wind
    3EPitaph
    4Moonchild
    5In The Court Of The Crimson King

    Non pensavo fosse così difficile...è veramente molto complicato cominciare a scrivere una recensione di un album come questo,non sai come, non sai con che parole, non sai neanche da dove iniziare. Difficile non cadere nel banale quando si parla di questo album. Dire capolavoro è riduttivo. Ricordate la copertina di questo album....ricordatela bene. Perchè se per caso vi doveste trovare davanti a questo cd...bè,sappiate che avete di fronte a voi uno dei più grandi album musicali che la mente umana abbia mai concepito. Chissà se ci ricapiterà ai giorni nostri un album di questo calibro...In The Court Of The Crimson King non è un album qualunque,non è un capolavoro del Progressive Rock,bensì di tutta la musica. Solo dei geni come i King Crimson possono creare composizioni di questo calibro. Dalle prime note questo album ci colpisce,con un riff storico:è l'intro di 21st century schizoid man. Una canzone tecnica,entusiasmante ma non banale:forse è il brano più "orecchiabile"(anche se questo aggettivo è una bestemmia contro certi lavori),ma non per questo non è un brano stupendo.
    "Cat's foot,iron claw
    Neuro-surgeons scream for more
    At paranoia's poison door
    21ST CENTURY SCHIZOID MAN!"
    come non può essere apprezzato il drumming di Michael Giles,un vero e proprio metronomo? E inoltre si affianca a un ottimo lavoro del bassista Greg Lake,che si fa notare come non mai. E quel genio di Robert Fripp ci può emozionare con assolo non da poco.
    Ma attenzione...cosa sta succedendo? L'energia che fino a poco fa regnava sta scomparendo? Sento un qualcosa di misterioso...e dolce...è cominciata I Talk To The Wind! Delle tastiere dolci e atmosferiche accompagnano l'emozionante voce di Giles...
    "I Talk to the wind...
    My words are all carried away...
    I Talk to the wind
    The wind does not hear
    The wind cannot hear..."
    e fra dolci note di flauto la canzone finisce...e una breve rullata di batteria ci porta a epitaph...è un secondo...e delle calde note di chitarra ci abbracciano come se fossero un vento caldo di scirocco che accarezza la nostra pelle in una giornata di freddo pungente...una canzone che non può essere descritta,va ascoltata per capire la sua immensita,le emozioni che può dare...i brividi che ci può dare...inoltre contiene un un testo che è una poesia.
    "Confusion...will be my epitaph
    As i crawl...a cracked and broken path
    If we make it we can all sit back
    and laugh...
    But i fear tomorrow...i'll be cryng!
    But i fear tomorrow...i'll be crying!"
    Un capolavoro assoluto,il brano migliore dell'album,una canzone coinvolgente,calda,emozionante....anche la più complessa opera di mozart vi sembrerà un tormentone pop estivo quando sentirete questa canzone. Ma come ho già detto non può essere descritta a parole:le vostre orecchie vi faranno capire meglio la magnificenza di questa perla della musica.
    Ma il brano purtroppo finirà...e partirà Moonchild...un pezzo complesso ma molto dolce...
    "call her moonchild...
    dancing in the shallows of a river"
    ma anche inq uesto caso c'è poco da descrivere:a parte i primi 3 minuti,il pezzo è sperimentale al 100%,forse molto difficile da digerire...un pezzo veramente molto complesso. Questa perla si conclude con la title track "in the court of the crimson king"..una canzone molto epica,con dei cori che rendono un atmosfera magica a dir poco,a questa canzone che (purtroppo) chiude questo album. Ma come? Già finito? Non rimanete sorpresi. 5 brani possono sembrare pochi,ma vi assicuro che quando ascolterete questo capolavoro poco ve ne importerà...anzi,alla fine del cd vorreste anche mettere "repeat" alla radio,per non far finire la magia di un capolavoro.
    Ultima modifica di Bzzo; 1-07-2004 alle 23:00:13
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  8. #8
    Pirla.Cinico e Pirla. L'avatar di Mulder
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    Ecco una recensione di fighting the world


    Manowar
    Fighting the world
    1987
    Heavy metal

    Line Up:
    Eric Adams: Voce
    Joey De Maio: Basso
    Scott Colombus: Batteria
    Ross The boss: Chitarra


    “Fighting the world” si tratta del quinto lavoro dei Manowar, nonchè uno degli album meno apprezzati, forse per il progressivo abbandono delle loro atmosfere epic a favore di un ritmo più “heavy”, forse per via delle canzoni più “commerciali” .Effettivamente, una veloce ascoltata alle prime tre canzoni potrebbe confermare questa impressione: si parte con la title-track, una canzone decisa e rockeggiante, anche se non al livello dello standard dei Manowar. Le successive “Blow your speaker” e “Carry On” si rivelano canzoni abbastanza orecchiabili, e quindi non particolarmente belle, complice un suond abbastanza “leggero”. Ma è da “Violence and Bloodshed” che comincia il VERO cd, per niente commerciale; la canzone risulta graffiante, e la sua presenza lascia bene sperare per le canzoni successive; ecco che piano piano escono i veri Manowar!
    Subito dopo arriva “Defender”, pezzo molto amato dai fan, non così tanto da me, sebbene l’atmosfera quasi epica dell’inizio rende “Defender” un pezzo unico e quindi ben gradito, soprattutto grazie ai primi versi recitati da Orson Welles; alle parole:

    "Ride like the wind/Fight proud, my son/You're the defender/God has sent"

    gli strumenti irrompono nella canzone, e con particolare “sentimento”, i manowar ci conducono ala traccia “Drums of doom”, la quale non è una vera e propria canzone, ma un introduzione a quella successiva: un galoppare furioso e delle suggestive quanto imponenti percussioni ci portano dopo circa un minuto a uno dei pezzi migliori dell’album: “Holy war”! Un ottima esecuzione degli strumenti (degno di merito il bassista, non solo in questa canzone), un ritornello trascinante, riportano alla mente sensazioni simili a quelle di “Battle Hymns”.
    Siamo quasi alla fine, e “Master of revenge” introduce all’ultimo pezzo per mezzo di canti e risate malefiche: ecco “Black wind, fire and steel”, altra canzone lodata dai fan, per ovvi motivi: la canzone trascorre veloce grazie al ritmo martellante della batteria; in questa canzone in cantante eric adams raggiunge una buona prestazione vocale verso la fine dell’album, con un lungo acuto da far gelare il sangue.
    In conclusione, l’album si rivela la svolta del sound tipico dei Manowar verso un metal piu “heavy” rispetto ai precedenti, raggiungendo il picco della creatività con il successivo “Kings of metal”
    Ultima modifica di Mulder; 12-06-2004 alle 18:17:01
    "Quando ti vien voglia di criticare qualcuno" mi disse "ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu." (Il Grande Gatsby)

  9. #9
    Pirla.Cinico e Pirla. L'avatar di Mulder
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    Voilà, ecco la recensione di un disco che ascolto attualmente...forse è un po' lunga, ma dateci un' occhiata, mi sono impegnato...se nn altro leggete il discorso finale e dite che ne pensate...
    P.S: Ma è la mia presenza che ha fatto disertare sto topic?


    Dream Theater
    Awake
    1994

    Line Up:
    James La Brie: Voce
    Kevin Moore: Tastiere
    Mike Portnoy: Batteria
    John Myiung: Basso
    John Petrucci: Chitarra


    Awake, l’album forse più sottovalutato del gruppo prog più famoso, è il terzo e ultimo lavoro dei Dream Theater(DT d’ora in poi) insieme al tastierista Kevin Moore. La sua dipartita influirà profondamente nello sviluppo della band, ma di questo ne parlerò più avanti; concentriamoci invece su questo cupo quanto fantastico cd.

    Una batteria “solitaria” apre la prima traccia “6:00”, ma subito dopo entrano gli altri strumenti per formare un intreccio dinamico, rendendo cosi piacevole una canzone non particolarmente degna di nota, ma se non altro abbastanza orecchiabile e “movimentata”.
    Si procede con “Caught in a web”, altra virtuosa canzone dove subito risaltano le prestazioni vocali di La Brie, come in tutto il resto dell’album d’altronde. Da notare la parte strumentale in mezzo alla canzone, molto gradevole e scorrevole.
    Il ritmo cala in occasione dell’arrivo di “Innocent faded”, una canzone calma e poco interessante, a parte gli acuti spaccavetri di La Brie verso il secondo minuto
    Ma ecco che PROGRESSIVamente si abbandonano le atmosfere calde delle prime tre canzoni per entrare nella parte più intima di Awake, più fredda, più cupa, e ovviamente più emozionante e incantevole! “Erotomania”, una delle loro strumentali da me preferite, inizia e prosegue infatti con melodie piuttosto “gelide”, complice la tastiera di Moore che sostiene e dirige l’andamento della canzone, con atmosfere quasi “ipnotizzanti”. Non ho però scritto che questa canzone fa parte di una “trilogia” denominata “A mind beside itself”, e quindi la seconda parte è riservata a “Voices”, una canzone di circa 10 minuti, molto varia al suo interno, come i DT ci hanno abituato d’altronde: i primi minuti sono molto lenti e malinconici, mano a mano però si comincia a salire verso picchi di frustrazione e confusione (Thought disorder/Dream control/Now they read my mind on the radio/But where was the Garden of Eden?) , per finire poi col motivo principale della canzone, dolce e tranquillo.
    L’ottimo tris di canzoni però si conclude con una canzone abbastanza deludente, “The silent man”, una delle solite classiche( e noiose) ballad dei DT fatte per gli ascoltatori più “commerciali”, e quindi fatte anche per vendere più CD (ma d’altronde è un prezzo che si paga volentieri, visto la presenza di altre tracce di elevata qualità) .

    Finita la trilogia, ci si ritrova altre due canzoni abbastanza legate fra loro, “The mirror” e “Lie”, il punto più incazzato dell’album, sempre però cosparso di quella freddezza e malinconia che pervade l’album, quella confusione mentale che si trova nei testi…come quando sei appena sveglio (Awake). In entrambe le canzoni sono splendidi gli ultimi minuti: in “The mirror”, canzone con atmosfere quasi soffocanti, la fine è particolarmente evocativa; in “Lie” troviamo un assolo di chitarra tra i migliori di Petrucci : pulito, incantevole e soprattutto perfetto per immergerci nello spirito onirico della canzone. Non si tratta di un semplice e inutile fronzolo, come purtroppo spesso i DT “sfornano” per dimostrare la loro indubbia tecnica, fine a sé stesso, ma di una testimonianza del genio di Petrucci, sia a livello compositivo e tecnico.

    Siamo verso la fine del cd, e la tensione comincia a calare con “Lifting shadows off a dream”, una delle poche ballad dei DT che apprezzo, grazie forse a un inizio spettacolare (molto cupo e suggestivo, simile a quello di “Strange world” dei mitici Iron Maiden) e a un proseguimento non eccessivamente sdolcinato.
    Ma ecco che al decimo posto troviamo forse la canzone più bella dell’album: “Scarred”. Anche qua, troviamo un alternarsi di momenti infuriati ad altri più calmi, sempre caratterizzati in quest’album da testi “esistenziali”, seppur adatti ai temi dell’album.In questi undici minuti, saremo rapiti da un intro quasi jazz, al proseguimento rabbioso, e alla conclusione “liberatoria”, che sfoga tutte le ansie accumulate in questo cd.

    Eppure, manca ancora una canzone (e che canzone!): “SPACE DYE-VEST”, che ha ancora tanta tristezza da esprimere, in quest’album caratterizzato da questa freddezza “accogliente” (chi ha ascoltato l’album capisce il mio ossimoro). L’unica ballad che davvero mi piace, e non una delle altre solite noiose strappalacrime dei DT, fatte con l’unico scopo di fare $$$ (come scritto sopra). Quest’opera sopraffina dimostra come, nelle ballad, non serve una tecnica esasperata o dei ritornelli allegri e spensierati, ma una composizione semplice e suggestiva, quel qualcosa che ti fa volare all’interno della tua mente, guidata da banali accordi alla tastiera, ma immersi in sensazioni delicate e oniriche! I testi anche qua sono intrisi di sdolcinatezza, però si intrecciano bene con la melodia, rendendo la traccia un organico unico e straordinario. Bisogna sottolineare che questa canzone è frutto del grande tastierista Moore, e a questo punto mi piacerebbe fermarmi per una considerazione. Come anticipato all’inizio della recensione, da questo cd in poi Moore lascerà i nostri paladini per divergenze musicali. La storia dei Dream Theater, dopo un intermezzo con Derek Sherinian, tastierista fin troppo sottovalutato e odiato da fan, si incrocerà con Jordan Rudess, tastierista di certo tecnicamente superiore, ma non dotato di tutta quella dolcezza che Moore riversava nelle sue note. Questo paragone si può fare bene tra i rispettivi colossi dei DT: “Images & Words” e “Metropolis part 2” . Molti preferiscono quest’ultimo indubbio capolavoro, ma come avrete capito dalla mia recensione io preferisco il primo, e dopo di esso questo grandissimo “Awake”, perché mano a mano che i Dream Theater sono andati avanti, hanno prodotto una serie di cd stupendi…ma quello che li ha reso grandi, ciò che ha fatto la differenza tra un gruppo e UN GRUPPO è racchiuso nei cd da me citati, e cioè la capacità di imprimere emozioni e far sognare l’ascoltatore con un supporto di plastica, utilizzando la tecnica per i loro scopi. Più avanti, forse per la dipartita di Moore, questo verrà un po’ a mancare, e verrà solo ripreso in parte in Metropolis 2 appunto, album dove però c’è forse troppa tecnica “inutile”. Con questo lungo e massacrante discorso cosa voglio dirvi? Niente, se non: Ascoltatevi Awake, l’unico degno erede di “Images & words”, e benemerito progenitore di “Metropolis 2”.
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  10. #10
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    Bella rece Mulder,quoto tutto a parte "The silent man" che mi piace abbastanza.
    Ora vedo di postare anch'io qualcosina

  11. #11
    Squadrismo Hardcore L'avatar di Bzzo
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    Mmarco aggiorna sto sito....
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  12. #12
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    Autore: Domine
    Titolo:Emperor of the black runes
    Genere:Power/Epic metal
    Anno di uscita:2004
    Formazione:
    Morby-Vocals
    Enrico Paoli-Guitars
    Riccardo Paoli-Bass
    Riccardo Iacono-Keyboards
    Stefano Bonini-Drums



    Recensione:
    Dopo la lunghissima gavetta,i Domine sono finalmente riusciti a imporsi come una delle band di spicco del panorama metal italiano,arrivando a esibirsi al Wacken e al Gods of metal:sono una band capace di ispirarsi all'epic metal classico come Virgin Steele o Manowar,e di mantenere però un loro sound ben definito che non scade mai nel banale,forti di un cantante straordinario come Morby.
    Questo album rappresenta la maturità e l'evoluzione della band:lo capiamo già dalle prime note di Battle Gods.E' una canzone che presenta tutto ciò a cui la band nostrana ci ha abituato,ma si nota anche la maggiore importanza delle tastiere.Successivamente,un bell'acuto di Morby dà il via a Arioch,the chaos star,pezzo che promette una grande resa in sede live,con un eccellente lavoro del chitarrista Paoli.
    Vi avevo parlato dell'evoluzione della band,e infatti "The aquilonia suite" è il mezzo migliore per convincere anche i più scettici:qui si toccano livelli di intensità altissimi,grazie anche alle parti tratte dalla colonna sonora del film "Conan il barbaro" (al quale la suite è ispirata) che impreziosiscono lo splendido brano.
    Ancora una volte sono le tastiere a svolgere la parte del leone nella lenta The prince in the scarlet robe,ispirata alle opere di Moorcock.Proseguiamo nell'ascolto con gli accordi di chitarra acustica che danno il via a Icarus Ascending,che alterna momenti di questo tipo ad altri più veloci:ancora una volta una interpretazione molto sentita del grande Morby.The song of the swords,che ci narra del duello tra Elric di Melniboné e il cugino Yyrkoon, si attesta su canoni più classici,che richiamano i primi lavori della band.La lunga The sun of a new season è invece molto più innovativa,imperniata sui duetti tra Morby e Leanan Sidhe,voce dei Beholder,che contribuisce a creare un'atmosfera evocativa che si adatta bene al testo,che ci porta nell'animo tormentato di un uomo,ci svela la speranza dopo un nero periodo di disperazione.
    Due acuti scatenati,un riff trascinante ed ecco che arriva True Believer: perfetta per essere proposta in concerto,vanta un refrain fantastico,con cui Morby si mette ancora in mostra con la sua voce fuori dal comune.Dopo tanta velocità è una ballad a chiudere l'album:The forest of light vede nuovamente Leanan Sidhe come guest.
    Tirando le somme,quest'album segna l'affermazione della band nostrana:le canzoni sono forse meno veloci che in passato,ma anche più varie e ricche di cambi di tempo.E' ottimo anche l'uso degli inserti sinfonici che non risultano mai pomposi ed eccessivi.

    Ave Domine!
    Ultima modifica di The Archmage; 9-07-2004 alle 21:53:01

  13. #13
    confratello della Loggia L'avatar di M@rco
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    Ma qualcuno ha rivisto più funeral??? Non mi risponde agli emmepì...
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  14. #14
    Kelvan
    Ospite
    il Funkio non viene più praticamente sul foro.
    Dimmi cosa devi chiedergli che ci penso io che a volte lo sento....
    ah marco....un'aggiornatina?

  15. #15
    confratello della Loggia L'avatar di M@rco
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    20.066
    Citazione Kelvan
    il Funkio non viene più praticamente sul foro.
    Dimmi cosa devi chiedergli che ci penso io che a volte lo sento....
    ah marco....un'aggiornatina?
    gli chiesi un aguida al black, ma non mi rispose più...
    per questo ritardo nell'aggiornare... (che tra la'ltro, è di una palla mortale copiare e incollare 20000 volte, alla stessa maniera, recensioni...) 8|
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