Siamo in pullman. Seduti nella parte posteriore. Ci sono quattro ragazze, una è una Vanda (una bionda molto carina del mio liceo, un anno più grande di me, sempre ben truccata, veste firmato, spende molto in moda). Parliamo di non so che cosa, io sono vestito con una felpa nera, un pantalone largo con i tasconi, verde, e scarpe adidas (questi sono vestiti che ho davvero), ed ho uno strano orologio Rosa con un quadrante a forma di parallelepipedo (qualche settimana fa un'amica [Sabrina, di cui parlerò in seguito] mi ha regalato un braccialetto, con le borchie, rosa). Vanda mi osserva e critica il mio orologio Rosa considerandolo da omosessuale, e mi fa notare come anche la collana che porto accentui la presunta omosessualità (ieri sera rovistavo nel cassetto del comodino e ho trovato collane e bracciali che mi hanno regalato ma che non ho mai usato e mai userò). Per la cronaca, la collana fa qui l'unica apparizione. Chiedo a Vanda se lei, da esperta, possa dare un'opinione sul mio abbigliamento. Apprezza tutto ciò che porto addosso, poi si guarda attorno nel pulman e, con le altre ragazze, inizia a guidicare tutti i passeggeri. D'un tratto il viaggio in pulman si trasforma in un viaggio in Jeep, i passeggeri diventano quattro. Davanti ci sono Maurizio (un mio amico che ha una Jeep) e Sabrina (una ragazza punkettara, di quindici anni, di cui sono "amico"). Dietro ci siamo io e Vanda. Non ricordo cosa accade a questo punto, su che cosa discutiamo, ricordo che ad un certo punto l'autista diventa Antonello (un amico del liceo, quinto anno). Durante il viaggio in Jeep, mi alzo le maniche della felpa, e riguardo quell'orologio rosa, prima disprezzato. Chiamo Sabrina, le chiedo "Vieni dietro, devo dirti una cosa importante", lei mi dice "Puoi dirmela anche da qui", io ribatto "Volevo chiederti se ti vuoi mettere con me", poi rido e istantanemente replico "Scherzo, dai, vieni dietro che ti devo dire una cosa". Viene dietro, io le regalo l'orologio rosa, lei lo appende ad una cinghia del pantalone. Le chiedo perché l'abbia messo lì, lei mi risponde "Perché è alternativo..", io le dico che se vuol esser davvero alternativa, lo deve mettere alla caviglia. Lei lo fa. Il viaggio parlato finisce qui. Eravamo diretti verso una remota città, ma sulla stra incontriamo i carabinieri. Un uomo in una macchina americana (uscito sicuramente da qualche telefilm..) ci fa uno strano segnale, che Antonello interpreta in un modo strambo, alludendo ad un segnale che voleva farci capire che i carabinieri avevano intenzione di fermare un gruppo di ragazzi, -quindi-, noi. Deviamo la strada per non passare per il blocco, e qui finisce la parte in viaggio del mio viaggio onirico.
(E' sempre lo stesso sogno). Ci troviamo in una stanza d'albergo. E' molto grande, anche se la seconda parte della stanza la scoprirò in seguito. Siamo sei adesso. Io, Antonello, Sabrina (che, da adesso in poi, non vedrò più, nel sogno), Vanda, Luigia (un'amica del liceo. Compagna di classe di Vanda, carina, formosa.. attenta al trucco e all'abbigliamento di marca), e una bionda con gli occhiali, professoressa di inglese, anche questa molto gnocca (che io ricollego alla bionda che finge di insegnare inglese nella trasmissione di Rai 1 "Casa Raiuno", che guardo mentre mangio di ritorno da scuola). Nella casa ci sono pochi avvenimenti di rilievo. Il primo è la mia scoperta di uno specchio.. uno specchio strano. Dapprima mi guardo allo specchio, sono di spalle, in costume, ed ho il corpo pieno di lardo (sembro un obeso, riflesso nello specchio, in realtà peso 60 kg..). Dopo un po' di stupore, scopro che quello nello specchio non sono io, ma qualcun altro, e da questo ammasso di grasso, con una metamorfosi, si delinea il mio corpo, e ciò mi appaga. Uso questo specchio per guardare gli oggetti della stanza d'albergo (meglio chiamarla villa, per quanto é grande). Scopro che questo specchio mi permette di guardare attraverso le cose, e subito mi precipito verso il bagno per provarlo. Beato fra le gnocche, fortunatamente, trovo Luigia che fa la doccia, e guardo con interesse. Adesso Luigia esce dal bagno, il bagno si occupa (non so chi entra). Lei è in pigiama, mi chiede se conoscessi la struttura della casa, se ci fosse un altro bagno. Io dico di ricordare di esser già stato in quella casa. E' adesso che la casa si ingrandisce ulteriormente: vago in cerca di un bagno per la ragazza, come se conoscessi già l'edificio, e lo trovo immediatamente, situato in una camera da letto (quella casa che ho immaginato nel sogno è un mix di tante stanze d'albergo in cui sono stato negli ultimi anni). La ragazza mi ringrazia con un bacio, ma non usufruisce del bagno subito, va a cercare delle pillole (del giorno dopo?), e mi chiede di controllare che nessuno entri nel bagno. Aspettando nella zona del secondo bagno, inizio a vedere che la casa è popolosa, ci sono anche persone anziane, e riconosco fra questi un attore italiano, Alessandro Haber. Con un rapido calcolo, che non so ricollegare a nulla, posso ricordare di aver contato dieci persone (ho creduto che la stanza si pagasse 620€ e che ognuno di noi dovesse pagarne 62). Tutte le persone della casa spariscono immediatamente. La casa, ancora nella veste di casa, si trasforma in una scuola, sembra ci sia un'assemblea d'istituto a cui partecipano prime e seconde classi. Una marea di bambini fluisce nei corridoi, io adesso mi trovo con un compagno di classe e amico d'infanzia, Vincenzo (questo è un tipo alto, biondo, occhi verdi, aspirante modello). Ci diciamo "Ma chi ***** sono questi deficienti", e prendiamo di mira due ragazzini. Dò uno schiaffo ad uno di questi (bassino, grassottello, coi capelli rasati a zero) e il mio amico fa altrettanto con l'altro che gli andava di fianco. I due si ribellano e noi li invitiamo a venire nell'altra parte della casa, per una "lotta libera" (avrò visto troppo Wrestling? Di solito lo vedo per farmi due risate..). Mentre noi facciamo strada, loro rimangono indietro (ho detto che la casa è grande!); io raggiungo un grande salone, con un grande tappeto che, spogliato di tavolo, poltrone e divano (sì, stava tutto lì sopra), diventa l'imitazione di un ring. Mi riscaldo con qualche mossa di kick boxing (che faccio da due anni), ma i ragazzini non vengono. Io e l'amico andiamo nella stanza adiacente, una camera da letto, non li vediamo e ci stendiamo sul letto. Scopriamo che i ragazzini si sono nascosti sotto di questo, li prendiamo e li picchiamo, molto duramente (in realtà adesso sono tre, io ne picchio due e l'amico uno, il primo, quello rasato). I tre ora sono a terra per i colpi ricevuti. Io e Vincenzo, consci di ciò che abbiamo appena fatto, scappiamo (io da una parte, lui dall'altra). Io raccolgo un bottino di guerra, rubando al bambino rasato due mazzi di carte, napoletane e da poker (non gioco a carte, né virtualmente, né realmente, da parecchi mesi). Scappo solo per la casa e trovo un'altra stanza, mai vista prima, cerco di chiudermi a chiave e, -come nei film in cui la macchina non ne vuole sapere di accendersi nel momento del pericolo-, non riesco a chiudere. La chiusura della porta è medievale, la porta è in legno ed ha tre ante. Dopo molteplici sforzi, riesco finalmente a chiudere. Con quest'azione mi accorgo che la casa è a pianterreno. Scopro un grande balcone che si affaccia su una città. Città, anch'essa, ambigua. Ci sono grattacieli e ruscelli. Caos urbano e tranquillità di campagna. Ancora in preda al panico per la "lotta libera", ricordo di aver addosso una prova della mia colpevolezza, le carte, e cerco di sbarazzarmene. Scavalco il balcone e corro per le vie della città, alla ricerca di un posto dove gettarle. Allontanatomi quanto basta dalla casa, trovo un ruscello. Noto che questo ha due portate d'acqua. La prima va verso il basso, verso l'albergo-casa-villa, la seconda, violando le regole della gravità, va verso l'alto, in salita, verso il centro della città. Strappo le carte e, assicurandomi di non esser visto, le getto verso il corso del ruscello che va verso l'alto. Ce la faccio, e vedo le carte napoletane andar via beatamente. Osservo immobile la salubrità dell'acqua del ruscello. Poi ricordo di aver ancora qualcosa di cui devo sbarazzarmi. C'è un sole incredibile, sudo. Mi guardo attorno, scopro che la città è piena di gente. Nel panico assoluto, corro senza meta e non trovo posto dove poter buttare le carte -da poker- che mantengo nella mano sinistra. Arrivo ad un incrocio e, sempre afflitto da gran paura, getto per aria i due mazzi (era uno solo, inizialmente). Corro ancor più velocemente, in direzione della stanza d'albergo e, durante la corsa, incontro un altro fuggitivo, Carlo (un ennesimo amico del liceo). Corriamo insieme, guardandoci senza sospetto, e raggiungiamo la stanza. Il sogno finisce qui.