Reagan, un grande presidente.
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Discussione: Reagan, un grande presidente.

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  1. #1
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    Reagan, un grande presidente.

    Tutti reganiani

    IL FOGLIO, 8 giugno 2004
    Cowboy, ignorante, poco attento ai dettagli, gaffeur, guidato dai falchi del suo Gabinetto, sdoganatore della destra religiosa, ideologo pericoloso, inutilmente ottimista, guerrafondaio, estremista della riduzione delle tasse a beneficio dei ricchi, fondamentalista che vede solo bianco o nero, ossessionato dal nemico, manicheo e fanatico della lotta contro il Male. Era Ronald Reagan, ora è George W. Bush. Come scrisse Bill Keller, direttore del New York Times, in un ritratto del gennaio 2003, politicamente Bush non è figlio di suo padre, ma di Reagan. Gli manca solo il carisma e la disinvoltura di Bill Clinton per essere tale e quale l'ex attore. Reagan affrontò di petto, tra lo scetticismo generale, l'impero del male, Bush l'asse del male. Entrambi si sono serviti dell'apporto ideologico dei neoconservatori per battersi contro i rispettivi totalitarismi, entrambi hanno creduto fideisticamente nella riduzione delle tasse per stimolare l'economia e nel supporto della destra cristiana per vincere le elezioni. Eppure questa lettura sui giornali italiani non c'è, fatta eccezione per l'attento Maurizio Molinari sulla Stampa (che ha pubblicato anche un'intervista di Paolo Mastrolilli a Milton Friedman). C'è anche l'eccezione del Giornale con due informatissimi articoli di Nicola Porro e Alberto Pasolini Zanelli.
    Ronald Reagan ha cambiato la storia del mondo eppure da noi è stato trattato quasi da morto qualunque. Reagan stava male da dieci anni, per i quotidiani era uno di quei personaggi dei quali si tengono nei cassetti i coccodrilli, gli articoli preconfezionati e pronti per essere pubblicati per onorare la vita di un personaggio nel giorno della sua morte. E' come se i giornali di domenica fossero stati presi di sorpresa. E' capitato anche al New York Times, la cui edizione di domenica era imbarazzante per la povertà di articoli e commenti sull'ex presidente. Una figuraccia, fatta notare dal Weekly Standard, se paragonata al tributo che il Washington Post ha offerto all'ex presidente. Il giornale di New York ha recuperato ieri, ma in generale ha confermato l'odio anti Reagan anche nel giorno della sua morte.
    Gianni Riotta sul Corriere ha elogiato Reagan tradendo qua e là antichi e ormai sopiti sentimenti antireaganiani. Scrive Riotta che i temi della sua rivoluzione, cioè i tagli fiscali, riarmo, lotta allo Stato assistenziale e al comunismo erano "più retorica che reale", "più nelle parole che nei fatti". L'Urss, però, è caduta davvero, nei fatti. Riotta ricorda come nei paesi comunisti Reagan divenne l'eroe dei dissidenti, cosa che all'epoca sarebbe stato sacrilego far notare, e aggiunge che "in America Latina la sua passione per la democrazia, costretta dalla Guerra fredda, langue e il suo sostegno alla sporca guerra in Argentina e alle operazioni paramilitari in Centro America sono le pagine più infelici della sua biografia". Vero, però quando Reagan arrivò alla Casa Bianca le democrazie latinoamericane erano soltanto due, mentre quando la lasciò erano solo due i paesi senza elezioni.

    titoletto
    Nei commenti sono scomparse le feroci critiche degli anni 80, più toste delle attuali a Bush, come quelle sull'installazione in Europa dei Cruise e dei Pershing. Nella penna dei giornalisti democratici improvvisamente Reagan diventa l'emblema di una destra normale, seria, tollerante, non ideologica, dimenticando che era la stessa di quella odierna sia negli uomini sia nelle idee. Repubblica ha affidato l'analisi della rivoluzione economica di Reagan a un ottimo articolo di Federico Rampini, il quale nelle ultime righe riconosce in Bush il continuatore della rivoluzione reaganiana. Repubblica ha avuto anche l'ideona di intervistare un politico italiano sull'eredità di Reagan, e tra un migliaio di parlamentari a disposizione ha scelto Armando Cossutta, il più sovietico dei leader comunisti. Cossutta loda Craxi che a Sigonella disse di no a Reagan, perché i veri amici devono saper dire di no, come da spot dell'Ulivo. Così Repubblica, anche in morte di Reagan, riesce a parlare male di Berlusconi. Eugenio Scalfari ai tempi definiva Reagan un volgare, ignorante e incapace politicante di secondo livello che avrebbe condotto gli Usa al declino definitivo, giudizio a poco a poco modificato, specie sugli euromissili, e culminato in un'intervista molto benevola al presidente. Vittorio Zucconi sembra un reaganiano della prima ora, pur sminuendo i suoi meriti nella Guerra fredda, ha tratteggiato un elogio postumo della "destra col sorriso" in contrapposizione con l'attuale, orribile, destra bushiana. Zucconi filoreaganiano fa molto ridere, in effetti. Mai quanto l'Unità, che ai tempi di Reagan stava in curva sud con l'Urss. Siegmund Ginzberg ("Perché Reagan non è Bush") ha fatto un ritratto di Reagan che dimostra, involontariamente, perché Bush al contrario sia il suo unico erede. Reagan, scrive, "al momento giusto seppe anche licenziare i suoi Rumsfeld e Cheney e dare ascolto ai suoi Powell". E' vero il contrario, come dimostra il no a Gorbaciov ad Helsinki raccontato qui a fianco da Richard Perle. Il Dipartimento di Stato, poi, si era opposto a un paio di frasi minacciose contenute in un discorso del 1987 che il presidente avrebbe dovuto pronunciare a Berlino. Reagan non ascoltò i riformisti di allora e, da rivoluzionario liberale, disse: "Mr. Gorbaciov apra questo cancello! Butti giù questo muro". (ch.ro)

  2. #2
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    Ripensando al cowboy
    Non era un riformista, ma un rivoluzionario. Per questo cambiò il mondo



    La prima cosa che viene in mente, ripensando a Ronald Reagan, è che non era un riformista. Era un rivoluzionario, e per questo ha introdotto nel suo paese e nel mondo riforme possenti, che si sono accompagnate a formidabili risultati. Come la signora Thatcher, altro caso di liberale decisionista al quale non si attaglia l’etichetta ormai smorta di riformista, Reagan era un outsider: lei la figlia del droghiere, lui l’attore mancato. Reagan ha conquistato l’establishment mondiale, che adesso gli tributa omaggi ed encomi strabilianti dopo averlo linciato per una quindicina d’anni, passando per il popolo e offrendo al sovrano politico della democrazia il decisionismo, il gusto del rischio calcolato, la piena aderenza al mandato imperativo che per due volte aveva chiesto e ottenuto. Ma non era un populista o, se lo era, era un populista democratico. Non si è mai discostato dalla lectio costituzionale dei padri fondatori americani, come dimostra la sua formidabile retorica intorno al matrimonio di libertà & responsabilità combinata con la vittoriosa tendenza, tipicamente neoconservatrice, ad armare l’America e a proiettarla nel mondo per esportare la democrazia oltre il limes sovietico del muro di Berlino. Ha guidato la società che rappresentava, dal popolino al ceto medio al big business alle grandi lobby pro mercato, dentro le istituzioni, riscattando la particolare debolezza che la società politica americana aveva ereditato nei vent’anni che procedono dall’elezione leggendaria di John Kennedy alla prova rovinosa di Jimmy Carter. Vent’anni di grandi cambiamenti, dalla desegregazione razziale alla “grande società” di Lyndon Johnson, dalla tragedia del Vietnam al free speech movement al Watergate. Via il senso di colpa occidentale Prima di Reagan l’America si sentiva in colpa, si era fatta pervadere dall’egemonia della adversary culture individuata dal sottile critico Lionel Trilling, credeva di essere l’Impero del Male e subiva, sia con le presidenze democratiche sia con quelle repubblicane, l’assalto antagonista di quel modello sociale che pretendeva di curare con i miti dell’egualitarismo e del pacifismo i mali del mondo. Lo stesso realismo dei Nixon e dei Kissinger, che produsse la visionaria apertura alla Cina di Mao e ripiegò dalla trappola vietnamita in cui erano finiti i predecessori della nuova frontiera, fu una variante difensiva intelligente di questa inclinazione a dimenticare il ruolo storico della democrazia costituzionale più antica della terra. Un ruolo riscoperto tanto da Bill Clinton, che ne diede una versione apparentemente bonaria e riformista, e infatti combinò poco al di là della sua fortuna, e da Bush numero 43, il George W. che, al contrario di suo padre diretto successore di Reagan, nell’epoca del reaganismo si era fatto le ossa ed era cresciuto in quella cultura, diventando anche lui, in quanto texano e traditore della East Coast, un “cowboy”. “Tear down this wall, Mr Gorbaciov”: con l’invocazione a tirare giù il muro di Berlino finì il lungo inverno degli Stati Uniti come potenza imperiale, per quanto riluttante, che negava se stessa. La vittoria nella guerra fredda, che fu ottenuta con il concorso decisivo della predicazione di Giovanni Paolo II e della lotta nazionale e di classe degli operai di Lech Walesa, aveva radici solide e antiche. Nell’impostazione manichea di Reagan, già sindacalista e fervente anticomunista nella Hollywood degli anni duri, c’era anche un po’ di Joe McCarthy, il solitario cacciatore di streghe della metà degli anni Cinquanta che fu isolato, battuto, emarginato e anche personalmente calunniato e dannato oltre le sue colpe dall’America liberal e dai suoi poteri diffusi, principalmente quello dell’esercito. Nessuno riabiliterà mai quel focoso ubriacone, e i suoi collaboratori in sospetto di sodomia nella pubblicistica poco liberal dei liberal; nessuno lo riabiliterà a causa della sua spietata retorica populista e della sua demagogia di americano del Grande Sud: ma quel disperato cold warrior che fece vergognare di sé l’America rispettabile, il delatore Joe che di comunisti pro sovietici nel Dipartimento di Stato e altrove ne aveva pizzicati a derrate, fu tra gli esemplari precursori della durezza sorridente, con i denti d’acciaio, con cui Reagan si sbarazzò più tardi dei filosofi della coesistenza tra regimi sociali diversi, per dare poi l’assalto vittorioso all’impero sovietico, esportando a est con missili e scudi stellari la democrazia di cui ora un meschino Romano Prodi si fa ridicolo e usurpato vanto. Economia, ideologia, geopolitica La forza di Reagan, anche in economia e non solo nella geopolitica, è che si comportava da quell’uomo semplice che era. Disponeva di un’ideologia pragmatica, rozza e persuasiva. Quando Berlusconi entrò in politica, fu Gad Lerner sulla Stampa a capire in fretta che aveva toni “da Reagan della Brianza”. Con una differenza, purtroppo. Reagan nel privato professionale aveva dato risultati minori, era un attore mancato, e da outsider imparò ad amare la politica, costruì formidabili staff che ancora durano e si perpetuano nelle diverse amministrazioni, fece un apprendistato decisivo nel governo della California, non rinnegò la tradizione politica americana, non ne trascurava l’impatto e la solidità, piuttosto la interpretò; Berlusconi invece le sue vere, grandi soddisfazioni le ha avute come imprenditore privato, e da quella matrice non è riuscito fino ad ora a staccarsi, rendendo più tortuoso e difficile un credibile profilo politico e istituzionale, nonostante risultati indiretti di colossale portata. Anche Reagan se ne infischiava della cultura come ornamento, ed era uomo di grandi gaffe, gaffe da condottiero impavido, da uomo laser focalizzato sui risultati e non sugli effetti delle sue azioni nel circuito washingtoniano: disse perfino che Cipro era in Italia, raccontava barzellette senza impaccio, sfidava perbenismi e consuetudini delle corporazioni “riformiste”, quelle che non vogliono mai cambiare alcunché. Ma diede spazio alla formidabile macchina di governo degli Stati Uniti, scelse la scuola economica di Chicago e al monetarismo restò fedele a scorno dell’impopolarità presso i riccastri liberal così preoccupati in apparenza del destino dei poveri di fronte alle insidie del mercato. Sua una battuta che brilla ancora della luce dell’individualismo responsabile del conservatorismo americano: “Ho un solo modo di aiutare i poveri, ridurne il numero diventando ricco”. Quello era il genio del cowboy che menti raffinate e sciocche hanno sempre disprezzato. Era il genio dell’America come motore dell’occidente e del suo modello di democrazia costituzionale. Tu puoi farti dominare dal big government, dalle oligarchie che ti pagano il welfare con la concertazione e l’opacità dello Stato universale, e ti promettono un destino di servo tranquillo, di impiegato globale; oppure no, puoi darti una mano senza aspettare il soccorso pubblico, puoi ridurre il potere dello Stato e aumentare il tuo, quello della società, affrontando certe durezze della vita e della politica con spirito ottimista, credendo nella competizione come tecnica e nella libertà come soccorso privato, come cooperazione e sfida nel mercato del lavoro, dei beni, della finanza e delle tecnologie. Il cowboy dalla voce vellutata e dal pugno di ferro diede agli americani quello che agli europei continentali continua a mancare: il riconoscimento di sé in un orgoglio temperato dalla civiltà della tolleranza, ma irriducibile. Per questo adesso lo piangono quasi tutti, e a Washington venerdì gli saranno tributati gli onori del mondo, tra il vero rimpianto americano e le lacrime di coccodrillo degli europei.

  3. #3
    Don't be scared homie! L'avatar di Makaveli
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    Apprezzo molto la figura di Reagan, e mi è dispiaciuto molto per la sua dipartita.

  4. #4
    Bannato L'avatar di Zahk
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    non lo conoscevo, non ne hgo mai sentito parlare, sapevo giusto che era stato presidente d'america, mi è dispiaciuto di piu per Pantani

  5. #5
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    insieme alla tacher quello che si è battuto di più per la cancellazione dei diritti e delle conquiste dei lavoratori. il modello da combattere

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

  6. #6
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  7. #7
    Già è tanto se mi vedi.. L'avatar di Apo Destroys World
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    è morto a 93, di vecchiaia, senza soffrire..non mi è dispiaciuto piu di tanto, infondo ha vissuto la sua vita..
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  8. #8
    Jedi Master L'avatar di U JIN
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    Citazione Wiald
    insieme alla tacher quello che si è battuto di più per la cancellazione dei diritti e delle conquiste dei lavoratori. il modello da combattere
    Già!

    Si è fatto i sui interessi sulle spalle degli Americani........
    "Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce."
    (Blaise Pascal)

    Ci sono i geni e coloro che dicono di esserlo.
    Io sono un genio.

  9. #9
    Bannato L'avatar di Zahk
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    Citazione U JIN
    Già!

    Si è fatto i sui interessi sulle spalle degli Americani........
    mi ricorda qualcuno che in un'intervista al tg5 lo ha addirittura strumentalizzato... ma chi sarà? mah...

  10. #10
    Youll'never walk alone L'avatar di I.R.ish
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    ne ho sentito parlare sempre male.
    chi lotta contro i diritti non merita rispetto,ma un se ne poteva andà via un pò prima?
    ANNARELLA UNA DI NOI

  11. #11
    Don't be scared homie! L'avatar di Makaveli
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    Citazione Wiald
    insieme alla tacher quello che si è battuto di più per la cancellazione dei diritti e delle conquiste dei lavoratori. il modello da combattere
    Grazie a Reagan l'economia mondiale ha conosciuto un periodo di grande sviluppo, del quale hanno beneficiato tutti.
    Reagan è stato votato dal popolo americano, ed è stato pure rieletto ad ampia maggioranza, non era un dittatore.
    Grazie al programma di "riarmo" di Reagan è stata "sconfitta" l'unione sovietica, che non ha più potuto stare al passo né militarmente né economicamente degli Stati Uniti d'America.
    Inoltre, in un periodo di crisi del welfare state, le soluzioni applicate da Reagan e dalla lady di ferro furono coraggiose, ma anche essenziali.

  12. #12
    Inno alla gioia L'avatar di IL CONTE
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    Citazione Makaveli
    Grazie a Reagan l'economia mondiale ha conosciuto un periodo di grande sviluppo, del quale hanno beneficiato tutti.
    Reagan è stato votato dal popolo americano, ed è stato pure rieletto ad ampia maggioranza, non era un dittatore.
    Grazie al programma di "riarmo" di Reagan è stata "sconfitta" l'unione sovietica, che non ha più potuto stare al passo né militarmente né economicamente degli Stati Uniti d'America.
    Inoltre, in un periodo di crisi del welfare state, le soluzioni applicate da Reagan e dalla lady di ferro furono coraggiose, ma anche essenziali.
    Ne parlavano tutti male perche era anticomunista convinto e perche ha sconfitto la madre Russia

    Ha preso decisioni impopolari ma che si sono rivelate geniali.

    Dall'articolo postato:
    Eugenio Scalfari ai tempi definiva Reagan un volgare, ignorante e incapace politicante di secondo livello che avrebbe condotto gli Usa al declino definitivo, giudizio a poco a poco modificato, specie sugli euromissili, e culminato in un'intervista molto benevola al presidente


    Già, Scalfari cambia idea molto spesso e dice dei grossi sfondoni.
    Ultima modifica di IL CONTE; 10-06-2004 alle 20:21:38

  13. #13
    rifondista L'avatar di grullo
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    Citazione Makaveli
    Grazie a Reagan l'economia mondiale ha conosciuto un periodo di grande sviluppo, del quale hanno beneficiato tutti.
    Reagan è stato votato dal popolo americano, ed è stato pure rieletto ad ampia maggioranza, non era un dittatore.
    Grazie al programma di "riarmo" di Reagan è stata "sconfitta" l'unione sovietica, che non ha più potuto stare al passo né militarmente né economicamente degli Stati Uniti d'America.
    Inoltre, in un periodo di crisi del welfare state, le soluzioni applicate da Reagan e dalla lady di ferro furono coraggiose, ma anche essenziali.
    e infatti non è un bene che abbia sconfitto l'unione sovietica, e il fatto che sia stato rieletto conta poco, il punto è che grazie a lui i ricchi sono diventati ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri, ma non sta bene sparlare di un morto quindi chiudo

  14. #14
    Inno alla gioia L'avatar di IL CONTE
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    Citazione grullo
    e infatti non è un bene che abbia sconfitto l'unione sovietica, e il fatto che sia stato rieletto conta poco, il punto è che grazie a lui i ricchi sono diventati ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri, ma non sta bene sparlare di un morto quindi chiudo

    Oddio l'infarto

  15. #15
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    Citazione Wiald
    insieme alla tacher quello che si è battuto di più per la cancellazione dei diritti e delle conquiste dei lavoratori. il modello da combattere
    Lavoratori che probabilmente in Inghilterra sarebbero una razza in via d'estinizione se non vi fosse stata la Tacher...
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