martiiuscia
STUDENTESSA: Professore, abbiamo visto nella scheda come la follia possa essere un concetto astratto, relativo. Secondo Lei è possibile trovare una definizione più scientifica della follia?
JERVIS: Guardi il termine "follia" è un termine tutto sommato generico e un po' impreciso. Quando si dice "follia", si allude a quelli che sono chiamati "comportamenti psicotici", cioè le psicosi, ovvero i disturbi mentali più gravi. Quando si parla di follia, quindi, ci si riferisce solo a una parte della patologia mentale o delle problematiche di sofferenza mentale. La follia è in qualche modo anche però un paradigma, è uno stereotipo. "Quello è pazzo", ecco. Da un punto di vista scientifico, queste distinzioni - pazzo o non pazzo, folle o non folle - spesso sfumano, perché sono distinzioni basate sul linguaggio comune, che, non di rado, è un po' grossolano e taglia un po' le cose con l'accetta.
STUDENTESSA: Spesso noi associamo al concetto di normalità quello di aspettativa, cioè la convinzione che gli altri si debbano comportare in un determinato modo che per lui è normale. Si potrebbe definire follia il non aderire a questa aspettativa?
JERVIS: No, nel senso che, quando noi parliamo di "comportamento normale", noi di solito contrapponiamo al comportamento normale quei comportamenti che chiamiamo "anormali", o più precisamente "comportamenti devianti". Ora i "comportamenti devianti", non sono sempre folli. Possono essere comportamenti, per esempio, di tipo criminale. Anche le criminalità hanno forme di devianza. Oppure possono essere comportamenti, diciamo strambi, originali. Ci sono persone, di solito una piccola minoranza, che, senza essere né folli né criminali, hanno dei comportamenti originali, dei comportamenti fuori, dall'ordinario. Ora la cosa interessante è che noi tutti, fin da bambini, impariamo a comportarci secondo certe regole. Cioè il bambino, fin da molto piccolo, cerca di capire cos'è che si fa e cos'è che non si fa. Ma per capire cos'è che si fa, cioè quello che è, fra virgolette, "giusto", il bambino ha anche bisogno di avere un'idea di quello che non si fa, cioè di quello che non è, fra virgolette, "normale" di quello che è deviante. Quindi l'immagine della devianza, l'immagine di ciò che è fuori dalla norma, di ciò che è per certi lati sbagliato o folle oppure contro le regole ci serve per capire dov'è il confine fra ciò che ci si aspetta che noi facciamo e ciò che invece non dovremmo fare. Perciò, in qualche modo, l'immagine della devianza è un'immagine di cui abbiamo bisogno.
STUDENTE: Ogni epoca ha avuto diversi tipi di follia. Quindi possiamo dire che ogni società ha prodotto follie diverse. Che rapporto potrebbe esserci tra follia e società?
JERVIS: E' un rapporto meno relativo di quello che si pensa. L'esempio che Lei ha fatto, quello dell'isteria, è un esempio molto particolare, perché effettivamente l'isteria, che non è una vera follia, è un disturbo psichico, ma di solito non viene catalogato fra i disturbi psichici gravi, cioè fra le psicosi o follie. L'isteria è un disturbo particolare, perché, più di altri, risente di fattori sociali: essenzialmente è un disturbo legato a fattori di suggestione e molto spesso anche di imitazione. In generale però le forme principali e più classiche di disturbo mentale o di follia, non sono così variabili come si crede attraverso le società e le epoche. Cioè in tutte le società esistono delle persone che hanno, per esempio, dei disturbi che noi chiamiamo schizofrenia. Poi naturalmente ci sono anche delle variazioni, ma sono meno grandi di quelle che si può pensare.
STUDENTE: Quanto incide la predisposizione genetica nella follia?
JERVIS: Intanto direi che parlare di follia al singolare forse è un po' improprio. Bisognerebbe parlare di "disturbi psichici", che sono molto diversi gli uni dagli altri - non sono tutti uguali- e anche a volte di "disturbi psichici gravi" o "psicosi, quelli che noi chiamiamo "follia". Bisogna tenere conto di un fatto, che, nella maggior parte dei casi e nella maggior parte dei disturbi, non c'è una causa unica, c'è un insieme di cause per cui a un certo punto, per sfortuna si può dire, ma molto spesso anche per caso, una persona si trova a vedere sommarsi delle predisposizioni genetiche, degli eventi di vita, delle difficoltà a fare fronte a nuove situazioni, come per esempio a situazioni di maggiore autonomia, quando uno cresce, oppure situazioni come la vecchiaia. Ecco in questa situazione, in questi casi avviene uno scompenso. Questo scompenso è ciò che noi chiamiamo "disturbo psichico". Fra le cause di questi "disturbi psichici" le cause genetiche hanno una certa importanza. Oggi si ritiene che abbiano più importanza di quanto non si pensasse venti o trent'anni fa.
eccoti accontentato