Le foibe: una tragedia delle terre di confine
di Alessandro Ruocco, IIIC
Foiba: dal friulano “foibe”, che deriva dal latino “fovea”. Significa fossa; in geologia sono delle cavità di profondità variabile molto comuni nelle regioni carsiche, formatesi per dissoluzione della roccia calcarea ad opera di acque filtranti. L’erosione determina una cavità che si chiama dolina: la concatenazione e la fusione di diverse doline formano foibe di profondità diversa.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale il vocabolo ha assunto un significato drammatico, ed è stato coniato il nuovo termine “infoibati”, con il quale si indicano le migliaia di persone che furono gettate vive o morte dentro le cavità.
Il mio bisnonno paterno, per parte di madre, era nato nel 1876 a Split (Spalato), ed era un militare croato dell’esercito austroungarico fino al termine della prima guerra mondiale.
Anche sua moglie era croata. Nata nel 1891, a Zadar (Zara), divenne filocomunista e filotitina.
La loro figlia più grande, Elsa, sposò un uomo di lingua e cultura tedesca, di madre olandese e padre ungherese, che morì a trent’anni infoibato dai partigiani per i quali mia nonna aveva parteggiato. Lasciò due figlie d’otto e di cinque anni.
Sempre durante la prima guerra mondiale, l’altro mio bisnonno paterno, socialista ed interventista, era mobilitato nell’esercito italiano e chiamò sua figlia “Lina Trieste Italiana”.
Nelle terre di confine si fronteggiano popoli ed etnie diverse, molto spesso in seguito a guerre i confini si spostano, le terre sono perse e riprese, i popoli costretti a adattarsi ad altre culture: la famiglia di mia nonna si chiamava Paveskovic, ma in seguito all’annessione di quelle terre al Regno Italiano e alla seguente italianizzazione, mutò in Pavelli.
La tragedia che si è consumata in queste terre di confine ha segnato la storia della mia famiglia, ed è per questo motivo che ho scelto tale singolare argomento.
Le cause
Lo scontro tra le etnie italiane e slave era cominciato molti anni prima, ai tempi dell’impero austroungarico, anche se lì gli scontri erano fra i capi politici, mentre tra cittadini i rapporti erano normali, se non buoni.
Gli attriti iniziarono verso la metà dell’ottocento, quando fu proclamata l’unità d’Italia. Quest’evento ebbe un forte richiamo per gli italiani di quelle zone, che diventarono ancora più convinti dopo la vittoria della terza guerra d’indipendenza, quando il Veneto passò dalla sovranità austriaca a quell’italiana. Gli austriaci, ritenendo gli slavi più leali, li favorirono con riforme amministrative e scolastiche, che furono ritenute ingiuste e vessatorie nei confronti degli italiani. Gli scontri tra i nazionalisti slavi e quelli italiani proseguirono per vari gradi politici, fino ad arrivare al culmine nell’assegnazione dei confini tra il Regno d’Italia ed il nuovo regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, la futura Jugoslavia.
L’arrivo delle truppe italiane, nel 1918, non fu visto di buon grado dalla popolazione slava, e la seguente situazione del primo dopoguerra evidenziò l’impreparazione del governo italiano di fronte ai problemi specifici della Venezia Giulia (come la presenza di minoranze linguistiche). Non sapendo cosa fare, le autorità italiane furono ambigue: da un lato punirono gli irredentisti slavi che volevano congiungersi alla Jugoslavia, ma dall’altro consentirono la presenza di organizzazioni indispensabili per lo sviluppo del gruppo nazionale. I contrasti tra i due paesi crebbero a vista d’occhio nel 1920, in mezzo alle ultime battute delle trattative per la decisione dei confini. Con la firma del trattato di Rapallo, furono determinati i confini tra Italia e Jugoslavia (per Fiume ci furono delle complicazioni, e nel 1924 la città fu annessa all’Italia). In ogni caso, il trattato scontentò entrambe le parti.
Con l’avvento del fascismo, la situazione peggiorò ulteriormente, poiché il regime fascista prese numerosi provvedimenti, tesi alla snazionalizzazione delle minoranze ed alla seguente italianizzazione forzata. Anche gli italiani passati sotto la Jugoslavia subirono gli stessi torti e vessazioni, al punto che in parecchie migliaia dovettero emigrare a Zara, città italiana. (pure nel resto d’Europa c’era uno scarso rispetto delle minoranze). Nella Venezia Giulia i “provvedimenti” presi dal governo fascista colpirono (in pratica chiusero) quasi tutte le istituzioni di tipo nazionale croate o slovene. Le scuole di lingua slovena furono italianizzate ed ogni tipo di associazione culturale, sportiva, giovanile, sociale ed economica chiuse i battenti. In più, i partiti politici e la stampa periodica furono posti fuorilegge. Queste misure non furono però utili: non ottennero altro che far arrabbiare ancora di più la popolazione, invece di farla emigrare in altri stati. Stranamente, qualche volta il fascismo trovò anche altre vie di accordo con gli stessi popoli che altrove erano scacciati e repressi. Infatti, molti Sloveni e Croati si dimostrarono largamente filofascisti (qualche volta al punto che intere formazioni della MVSN furono formate esclusivamente da Sloveni e Croati). Con il concordato della Chiesa Cattolica del 1929, il regime si avvicinò un po’ di più alle esigenze delle minoranze Slovene e Croate, entrambi cattolicissime.
Nella Venezia Giulia si svilupparono diverse forme di resistenza, che molte volte ebbero connotati oltre che antifascisti anche antitaliani.
La T.I.G.R. (società segreta Trieste-Istria-Gorizia-Fiume) compì numerosi atti terroristici, che non rimasero impuniti, dato che provocarono la reazione delle autorità fasciste, che operarono con estremo scrupolo le ricerche e punirono i colpevoli.
La questione Giuliana diventò parte integrante del programma di “liberazione” di Tito, il quale si riprometteva di annettere quelle terre alla Jugoslavia post-bellica.
Le due ondate di violenza che travolsero queste terre (autunno 1943/maggio-giugno 1945) coincisero con il collasso del regno italiano nel primo caso, e con la resa della Germania e delle truppe italiane nel secondo.
In ambedue i casi ci fu il tentativo di sostituire la precedente amministrazione con un sistema che rappresentasse il “Movimento Popolare di Liberazione di Tito” (M.P.L.).
Le violenze scatenate dai partigiani dell’M.P.L. produssero la morte di alcune migliaia di abitanti, in massima parte -ma non solo- italiani.
Foibe: la prima ondata (autunno 1943)
Nel settembre del 1943 la “folata rivoluzionaria” che sconvolse la Venezia Giulia, fu alimentata da due fattori:
·Ci fu una rivolta sociale dei contadini che si ribellarono ai possidenti, soprattutto italiani. Questa rivolta non si indirizzò solo a danno dei possidenti e dello stato italiano fascista, ma molte volte anche verso gli amici e i parenti delle persone da “punire”.
·Un altro fattore, che contribuì all’allargamento della cerchia delle persone colpite, fu che all’interno dei movimenti partigiani, alcune volte c’erano dei gruppi nazionalisti slavi, i “narodnjaci”, che perseguivano motivazioni più nazionali che politiche.
Il tipo di persone prese di mira non era ben definito: la violenza colpì non solo i già detti possidenti terrieri ed i dirigenti del partito Fascista ma anche “Carabinieri, finanzieri, guardie forestali e campestri, questurini, militari del Regio esercito, anziani irredentisti ed ex-legionari fiumani, podestà, segretari e messi comunali, sindacalisti, sorveglianti delle miniere e capocantiere delle cave, insegnanti, bidelli, avvocati, farmacisti, commercianti, artigiani, operai specializzati e postini”, in altre parole i personaggi più in vista della collettività italiana. Questa violenza condotta dai partigiani titini, era finalizzata alla distruzione della classe dirigente italiana. Bisogna dire che in tutte le località ove i presidi militari o dei Carabinieri rimasero al proprio posto, le violenze non avvennero. Laddove invece i reparti di vigilanza si ritirarono, i partigiani titini ebbero la piena libertà di arrestare, uccidere e deportare chi vollero.
Inoltre, dato che il nuovo “potere popolare” non era in grado di tenere sotto controllo i propri uomini, ci furono episodi di violenza del tutto gratuita, puniti in alcuni casi dalle stesse autorità partigiane.
Le violenze di quei giorni fanno parte di quel periodo di anarchia che imperversò in Istria fino all’arrivo delle truppe tedesche. I “Poteri Popolari” si assunsero il compito di eliminare i “nemici del popolo”, ma tale vago ordine diede il via ad azioni incontrollate ed alla caccia di chiunque non fosse totalmente d’accordo con l’M.P.L.
Nello stesso periodo finirono infoibati tanti innocenti, tra cui donne e ragazzi, come le tre sorelle Radecca, tutte giovanissime ed una delle quali incinta. L’impatto emotivo del fenomeno foibe sull’opinione pubblica Giuliana fu molto profondo, tanto che dopo che i tedeschi riebbero la situazione tra le mani, si diffuse il timore che quegli eventi terribili sarebbero riaccaduti. Queste impressioni trovarono fondamento quando, poco prima del maggio del 1945, i tedeschi si ritirarono dalla zona, lasciandola di nuovo in mano ai partigiani titini, con la conseguenza di nuovi massacri.
Il Maggio-Giugno del 1945
Nella primavera del 1945, ritiratesi le truppe tedesche e le truppe italiane della R.S.I, i partigiani di Tito occuparono la Venezia Giulia. Nei primi giorni del maggio del 1945 i partigiani condannarono centinaia di soldati italiani e tedeschi con processi sommari, senza tenere conto delle norme internazionali di tutela dei prigionieri. Ne deportarono molti anche nei campi di concentramento, assoggettandoli a violenze di ogni tipo, causando la morte di molti di loro. Una parte degli arrestati (soprattutto civili), furono eliminati nelle foibe carsiche, o deportati in campi di concentramento dove condivisero la stessa sorte dei militari. L’intento dichiarato dalle autorità jugoslave era creare le condizioni per far passare quei territori alla nuova Jugoslavia. Con tale scopo furono arrestati, e in gran parte uccisi anche membri dei gruppi che fino a poche settimane prima avevano combattuto i nazisti e i fascisti. In effetti, non pochi furono gli antifascisti che finirono uccisi, semplicemente perché non si erano schierati del tutto dalla parte dell’M.P.L. Molti furono anche i cittadini che si erano manifestati filoitaliani. La repressione che i partigiani e le truppe dell’O.Z.N.A. (Sezione per la difesa del popolo) condussero, assunse connotati sia politici sia nazionali e fu diretta a realizzare un ben preciso piano di eliminazione di tutti coloro che avrebbero potuto rappresentare un’opposizione ai loro piani.
L’annessione alla Jugoslavia
L’occupazione militare jugoslava fu una tragedia per la popolazione giuliana. Dal maggio del 1945 la Venezia Giulia si trovò ad essere isolata dal resto d’Italia per l’arrivo delle truppe jugoslave. Il trattato di pace di Parigi nel 1947 decretò l’annessione della Venezia Giulia alla repubblica federativa popolare di Jugoslavia. Pola, Fiume, Zara e una parte rilevante di Gorizia e Trieste furono assegnate alla Jugoslavia di Tito. Il cambio di governo provocò la fuga dei Giuliani, Dalmati ed Istriani verso l’Italia (circa 300000 persone). Chi fuggì perse la casa, il lavoro ed i beni. Le cause dell’esodo furono sostanzialmente tre:
·L’assunzione del potere delle autorità jugoslave, e il conseguente passaggio ad un regime comunista.
·Lo sconvolgimento delle abitudini e degli usi di una civiltà millenaria.
·La criminalizzazione della vita religiosa.
Inoltre le confische dei beni, i sequestri, i furti legalizzati, le requisizioni generalizzate, la mobilitazione imposta a quasi tutta la popolazione, la penuria di qualsiasi bene di consumo contribuirono a far crollare la base economica di molte persone.
L’elemento italiano fu identificato come fascista, in altre parole quello che aveva represso la popolazione slava.
Il dibattito storiografico
Le interpretazioni che gli storici hanno dato sui motivi di questa tragedia sono sostanzialmente tre:
·L’ipotesi che ha avuto maggiore credito negli ambienti di destra è quella di una strategia che doveva portare ad una pulizia etnica, eliminando, anche fisicamente, gli italiani dalle zone.
·L’ipotesi che ha avuto maggiore credito negli ambienti di sinistra è quella che riconduce gli eccidi alla precedente repressione fascista, e ne attribuisce la responsabilità di fatto al Regime, come se i partigiani Jugoslavi avessero reagito esageratamente contro il sistema precedente.
·L’ipotesi più recente, sostenuta da due storici di estrazioni opposte, Spazzali e Valdevit, riconduce gli eccidi al contesto rivoluzionario, attribuendone la colpa ai metodi, adottati in ogni rivoluzione, con cui i partigiani si affermano al potere. Inoltre, avvicinandosi ad un regime di tipo stalinista, si convertiva in violenza di stato l’odio personale e ideologico.
Anche la quantificazione dei morti è stata dibattuta sul terreno politico.
Infatti, per la destra l’argomento foibe è un cavallo di battaglia a scopo nazionalista e anticomunista, mentre per la sinistra è stato, e in parte è ancora, solo un argomento tabù da non toccare, o da minimizzare.
Le cifre più alte parlano di oltre 10000 morti, tra cui però sono presenti anche vittime di guerra.
Le cifre più basse parlano di circa 900 morti, ma alcune fonti sono addirittura orientate su posizioni negazioniste.
Alcuni ricercatori legati agli ambienti degli esuli Istriani, Dalmati e Giuliani riportano 15-20000 morti.
La storiografia più recente stima in 4-5000 le vittime di questa tragedia.
Spero che su questa tragedia, che in parte mi riguarda da vicino, gli storici di una parte e dell’altra si riescano ad accordare. Questo dovrebbe succedere anche per il resto dei fatti storici, perché la verità storica è più importante delle ideologie politiche.
Bibliografia:
AA.VV. Foibe, Infoibati, Dolina, La piccola Treccani, vol. 3, 4, 5; Ist. Encicl. Italiano
Rumici G., Infoibati ed. Mursia
Secciani A., Foibe, un tentativo di capire cosa è successo, Millenovecento, marzo 2003
Spazzali R., Quei silenzi dalla coda di paglia, Millenovecento, marzo 2003
Spazzali R., Le cifre: una danza macabra, Millenovecento, marzo 2003
Sgorlon C., La Foiba Grande, ed. Oscar Mondatori.
chi lo vuole leggere lo legga. ripeto che è una vergogna.