Guerra dei sessi. Ha ancora senso? - Pag 4
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Discussione: Guerra dei sessi. Ha ancora senso?

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  1. #46
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    Citazione Rafael
    No,ma resta il fatto che in quel determinato caso hanno voluto tanto l'uguaglianza che alla fine volevano un parrucchiere
    Ah,viste molte tue risposte in altri topic mi hanno fatto notare di quanto tu sia estremamente femmimista
    Ma è ovvio che io per te sono estremamente maschilista
    non ricordo di averti dato del maschilista, ho semplicemente detto che non conosci quello di cui parli.
    Citazione Rafael
    PS:Nessun uomo ha mai saputo cosa vogliono realmente le donne,figurati se pretendo di saperlo io
    E per la cronoca,ti riderò in faccia se mi dirai che TUTTE le donne sanno cosa vogliono
    quello che le donne, tutte o alcune "vogliono" riguarda loro stesse, ogni singola donna; quello di cui si parla sono le rivendicazioni del movimento femminista, e oltre a questo il livello di "giustizia" della condizione delle donne, cioè se le donne abbiano o meno gli stessi diritti degli uomini: secondo me no, come dimostrano dati e ricerche.

    "Un'indagine Istat presentata in occasione dell'8 marzo evidenzia come le signore siano discriminate per retribuzioni e qualifiche
    Donne, lavorano di più ma guadagnano di meno
    E se decidono di mettere su famiglia molte sono costrette a rimanere tra le mura domestiche e abbandonare la carriera

    ROMA - Sempre più occupate, e soddisfatte della vita pubblica. Però le donne, che studiano e puntano tempo e soldi sulla propria formazione molto più di "lui", non riescono ancora a raggiungere posizioni e retribuzioni pari a quelle dei maschi. E quando, e se, decidono di mettere su famiglia, fare un figlio, la strada sembra essere ancora la stessa, senza molte alternative: lasciare l'impiego, ritirarsi dentro le mura domestiche, annullare il tempo libero e sopportare tutti i costi della scelta.

    Dopo il messaggio ieri del capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, che ha lanciato un appello ad aiutare le donne perché possano conciliare maternità e lavoro e valorizzare il "loro impegno essenziale per il progresso dell'Italia", oggi, in occasione dell'8 marzo, l'Istat ha presentato l'indagine "come cambia la vita delle donne".

    E la vita delle donne secondo l'Istituto di statistica è cambiata molto: negli ultimi dieci anni è cresciuta l'occupazione femminile (con ben 1.296.000 nuovi posti di lavoro contro 275 mila di quelli maschili) ma le donne continuano ad essere fortemente svantaggiate rispetto ai colleghi uomini: guadagnano di meno (le diplomate circa 125 euro in meno, le laureate 195 euro) ed entrano più tardi nel mondo del lavoro. Ad esempio, a tre anni dal diploma lavora il 52,7% delle donne contro il 58,7% degli uomini, mentre a tre anni dalla laurea il 69% contro il 79%.

    Lo svantaggio femminile nell'entrata al lavoro, è più forte al Sud. Solo il 40% delle diplomate e il 53,7% delle laureate lavorano (contro il 54,8% e il 69,2% degli uomini) a tre anni dal conseguimento del titolo di studio

    E quando entrano a lavorare, seppur forti di competenze, vengono discriminate nella retribuzione: i diplomati che svolgono un lavoro continuativo a tempo pieno guadagnano in media 889 euro; le donne circa 125 euro in meno. Se gli uomini che guadagnano al massimo 800 euro al mese sono circa il 37%, per le donne tale quota sale al 55,2%. Nella fascia retributiva più elevata (oltre mille euro) si concentrano quasi il 22% degli uomini ma appena il 10% delle donne.

    Eppure le donne sono più istruite degli uomini e investono di più nella formazione. All'università nel 1950-51 si iscriveva il 2,1% delle donne e il 6% degli uomini. Oggi le studentesse universitarie sono 40 su 100 mentre i ragazzi solo 31; erano il 25,5% degli iscritti, sono diventate il 55,6% degli attuali iscritti. Nel 2002 le diplomate erano 77 su 100 contro i 67 dei diplomati; le laureate al 23% a fronte del 17% dei laureati.

    Inoltre, ora il 28,7% degli iscritti ad ingegneria è donna, il 59% a medicina, il 45% ad agraria, il 46,9% ad economia. Le donne infine raggiungono più degli uomini la fine degli studi: per il diploma superiore su 100 iscritte 84 arrivano in fondo, gli uomini raggiunge i 73. Per l'università le donne rappresentano il 49,3%, gli uomini il 41,8%.

    Oltre alla busta paga, la qualifica: le donne che si inseriscono nelle professioni più prestigiose sono il 42,9% contro il 49,3% degli uomini mentre ben il 15,9% delle laureate (a fronte del 9% maschile) è occupato in professioni esecutive di amministrazione o in altre mansioni non qualificate. In termini di carriera, il differenziale tra i due sessi è pari a 11 punti.

    Il numero delle imprenditrici, nel decennio considerato, è quasi triplicato. Nel 1993 su 100 imprenditori le donne erano 15, oggi sono 22. Le libere professioniste sono più che raddoppiate, da 120 mila a 288 mila. Le dirigenti sono aumentate del 65% (da 48 mila a 79 mila). Le donne occupate tra i direttivi e quadri sono aumentate da 234 mila a 374 mila. Aumentano anche le impiegate, più 33%.

    Resta comunque bassa la presenza femminile nei luoghi decisionali economici e politici. Tra i ministri economici, non è presente alcuna donna e tra i viceministri e sottosegretari solo 2 su 17. Nelle prime 50 imprese del paese, solo l'1,3% dei consiglieri di amministrazione è donna. Nelle organizzazioni imprenditoriali c'è appena il 3,2% di donne; nei sindacati confederali la metà al femminile raggiunge il 23,6%.

    Rispetto alle professioni, l'Istat fa sapere che le magistrate hanno progredito notevolmente: tra i magistrati di tribunale le donne sono il 52%. Nei ministeri (dove le donne sono il 48%) tra i dirigenti di prima fascia le donne sono il 16,6% rispetto al 4,7% del 1993. Il comparto della ricerca è l'unico che ha registrato un decremento delle donne: nel 1993 i dirigenti donne erano il 16,5% nel 2002 è sceso al 14,6%.

    Ma una delle "ferite" sottolineata dall'indagine Istat, quella che si crea quando le donne cercano di conciliare lavoro e famiglia. Considerando le donne di 35-44 anni, nel 2003 le single presentano tassi di occupazione più alti (86,5%), seguite da quelle che vivono in coppia senza figli (71,9%) e da quelle con figli (51,5%). Tra queste, le donne che hanno un figlio hanno un tasso di occupazione pari al 63,8%, chi ne ha tre o più del 35,5%. Inoltre il 20,1% delle madri occupate al momento della gravidanza non lavora più dopo la nascita del figlio.

    Tra le occupate, 78,6 su cento riferiscono di essere molto o abbastanza soddisfatte del proprio lavoro, e comunque più soddisfatte delle casalinghe (solo il 60,2% di queste ultime è contento della propria condizione). E anche sul tempo libero, le madri che lavorano esprimono apprezzamento su come lo trascorrono (59,5%) più delle madri casalinghe: solo il 49,7% lo giudica soddisfacente"

    http://www.repubblica.it/2004/c/sezi...oroetempo.html


    tu hai scritto "sinceramente,al giorno d'oggi,portare il femminismo all'esasperazione(come molte donne fanno)è una cosa non solo inutile ed assurda,ma anche patetica.", ecco io non credo tu conosca le rivendicazioni del movimento femminista, quello attuale come quello storico(assai variegati al loro interno), ma in compenso ti sei divertito a bollare queste rivendicazioni come "patetiche", basandoti sull'unico elemento che conoscevi, cioè la storia del parrucchiere. pertanto auspico che la prossima volta, prima di dare del patetico alle rivendicazioni di qualcuno ti infomi su quale siano.

    Infine si, io sono femminista. Ho letto diversi articoli in merito e un paio di libri: che è poco, pochissimo, ma parlo con un minimo di cognizione di causa.


    Citazione gardos
    sono ridicole al giorno d'oggi poichè non si tratta più di un movimento atto all'ugualianza ma atto alla superiorità,il che oltre ad essere appunto patetico sminuisce e rende inutili gli sforzi delle donne che si impegnano per una semplice ugualianza
    [...]
    a quella che afferma il sesso femminile come razza superiore o forse vuoi dirmi che è propio cosi...
    [...]
    nei paesi democratici non ci sono molte differenze anche se ammetto che spesso le donne vengono pagate meno ma non perchè si pensa che sia giusto cosi(esclusi i datori di lavoro...)
    [...]
    si riferiva a quelle che vengono fatte oggi non a quelle passate che erano invece utili
    questa presa di posizione, che posso riassumere con "le rivendizazioni del passato erano giuste, ma gli obbiettivi del femminismo storico sono stati raggiunti quindi non ha più motivo di esistere", ha una premessa molto chiara il fatto che gli obbiettivi del passato, la pari dignità della donna in tutti gli ambiti umani, che tu stesso definisci "utili" siano stati raggiunti. ma è una premessa falsa. si sono indubbiamente fatti passi avanti(soprattutto nei paesi democratici) ma ancora la differenza di trattamento permane ed è pressante, come dimostrano i dati che ho riportato sopra, e di cui ti riporo il commento:


    Così il nostro welfare costringe a decidere tra lavoro e carriera
    Scarseggiano asili nido e servizi per gli anziani
    Il Paese delle donne dimezzate
    La difficile scelta tra figli e lavoro
    di GIANCARLO MOLA

    ROMA - Il tempo delle scelte dolorose arriva dopo i vent'anni, al termine degli studi liceali o universitari. È il momento in cui il sogno giovanile delle ragazze - famiglia e carriera - entra in rotta di collisione con la realtà. Ben diversa: famiglia o carriera. C'è tutta l'anomalia italiana, in quel cambio di congiunzione. C'è il peso di decenni di ritardo culturale e pigrizia politica. Ma soprattutto l'insostenibile leggerezza di un welfare incapace di conciliare maternità e lavoro, realizzazione nella vita privata e pari opportunità nello spazio pubblico.

    È proprio il modello di stato sociale a fare dell'Italia il fanalino di coda in Europa sia per occupazione femminile sia per natalità (le due questioni poste dal presidente Ciampi). È la scarsezza di asili nido e servizi per gli anziani a costringere le donne all'opzione secca: rinunciare al lavoro o rinunciare alla famiglia. Per capirlo basta incrociare le statistiche. Lo fa, per esempio, una ricerca recente Iref-Acli, che mette sotto la lente d'ingrandimento il livello di welfare nelle regioni italiani. Ecco i risultati: nelle aree più ricche del paese (quelle del Nord) il tasso di occupazione delle donne fra i 20 e i 34 anni supera abbondantemente il 60 per cento, nelle zone più povere (il mezzogiorno) la percentuale di donne lavoratrici precipita al 24,8 per cento.

    Una forbice spropositata, che si restringe enormemente prendendo in esame il tasso di occupazione maschile nelle stesse aree. E che si spiega analizzando il livello dei servizi a disposizione delle famiglie. Nel primo gruppo di regioni settentrionali, dieci bimbi con meno di due anni su cento possono contare su un posto in asilo nido, nel secondo gruppo la percentuale scende al 3,3 per cento. Il discorso non cambia se si guarda il numero di posti letto in case di riposo ogni cento anziani ultrasessantenni: 4,9 dall'Emilia Romagna in su, 1,5 dall'Abruzzo in giù.

    "Una donna che non sa dove tenere il figlio appena nato o a chi affidare il padre malato spesso non ha altra scelta, deve rinunciare a cercare un lavoro o abbandonare quello che ha trovato", dice Cristiano Caltabiano, sociologo e autore della ricerca Iref-Acli. Una considerazione confermata dai numeri: una donna su cinque si ritira dalla professione o dall'impiego fra i 21 e i 30 anni, dopo la nascita del primo figlio. È anche una questione economica. Il costo dei servizi si aggiunge alla loro scarsezza.

    Lo stipendio di una donna (più basso del 25 per cento, in media, rispetto a quello di un uomo) rischia di non essere sufficiente a pagare baby sitter o badante. E allora rimanere a casa ad accudire la famiglia diventa addirittura conveniente.

    Eppure, alle donne, la voglia di mettersi in gioco, affermarsi nel lavoro non manca. Non a caso affrontano con più assiduità e con più successo gli studi: il 73,4 per cento delle giovani fra i 20 e i 24 anni ha oggi in mano almeno un diploma di scuola media superiore (un livello analogo a quello delle ragazze tedesche e inferiore di appena tre punti alla media Ue). Fra i ragazzi, la percentuale di diplomati o laureati scende al 66,4 per cento (in Germania - per mantenere il paragone - è al 72,6 per cento): in questi casi la media europea è lontana di cinque punti.
    Le speranze lasciano dunque il posto alla delusione e alla frustrazione. I tentativi di tenere insieme famiglia e lavoro si caricano di stress. E allora si torna indietro.

    È accaduto, di recente, anche nel mondo dell'imprenditoria: secondo la Camera di commercio di Milano, nel secondo semestre del 2003 si sono perse per strada - complessivamente - 16.400 aziende al femminile (quelle al maschile sono aumentate più o meno nella stessa misura). Se poi si considera il lavoro dipendente, la situazione non migliora. I progressi sono lentissimi. Il tasso di occupazione femminile in Italia è il peggiore d'Europa (il 42 per cento nel 2002, era il 35,8 per cento nel 1993). Ebbene, nello stesso periodo la Spagna ha fatto un balzo enorme, passando dal 30,7 per cento al 44,1.

    Non c'è da stupirsi, quindi, che manchi l'ottimismo, che a nutrire sfiducia per il futuro siano proprio le donne. "La giovani famiglie di oggi - conclude Caltabiano - sono diverse da quelle di vent'anni fa. Allora almeno c'era un reddito sicuro: era il perno del welfare all'italiana che abbiamo ereditato. Adesso non c'è più nemmeno quello. Il lavoro flessibile può anche essere un'opportunità. Ma a condizione che aumenti il sostegno alle famiglie, che cresca il livello dei servizi. Non è con un assegno di mille euro che si risolve il problema".

    http://www.repubblica.it/2004/c/sezi...eltadonne.html

    a questo punto la conclusione è semplice e logica: il femminismo continuerà ad avere senso fino a quando le donne non saranno trattate nella società umana ad un livello di pari dignità in tutti i campi in tutto il mondo.
    Ultima modifica di Wiald; 5-01-2005 alle 15:32:46

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

  2. #47
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    secondo me lo sò meglio io di loro,sono convinto che le donne non siano affatto complicate ma il ragionamento che fanno gli uomini è questo a grandi linee:
    "perche ha fatto/dice cosi?forese perchè pensa/vuole questo....noooo impossibile sarebbe scuallido/stupido e lei non è cosi non può esserlo..........eeeee le donne che mistero"
    è legittimo che tu creda di sapere quello che vuoi, personalmente non credo che riuscirò mai a capire le "donne" perchè sono un campo di studio troppo vasto; però quello che vuole il movimento femminista è possibilie capirlo, visto che le rivendicazioni sono precise, quindi conviene leggere quello che hanno da dire.
    a questo proposito propongo un'altro articolo sulla condizione del femminismo oggi.



    Donne, uomini: ma chi siamo?

    di Eleonora Cirant

    Lea Melandri ha posto delle domande che provo a raccogliere. Il femminismo è ancora una pratica di modificazione di sé e del mondo? Che cosa è passato, alle giovani di oggi, di quell'intreccio originale di teoria e pratica che ha caratterizzato il movimento delle donne ai suoi inizi?
    Il femminismo? E' un modo di sentire, di essere, di agire e reagire. E' una chiave per leggere il mondo senza le fette di salame davanti agli occhi. E' un nervo bruciante costantemente scoperto, che aiuta a riconoscere e svelare stereotipi potenti, a non assoggettarci a modelli che trasformano in merce corpi e desideri. Un modo di interagire con altri soggetti che può scardinare le facili certezze di chi - donna o uomo - rigetta o classifica comportamenti e idee che mettono in discussione i canoni pre-stampati su cui si edifica la retorica del femminile e del maschile. Se intendiamo questo, la risposta alla prima domanda di Lea è sì. Anche quando intendiamo il femminismo come continua messa in discussione di sé, come domanda aperta su come si costruisce la propria identità, su quali modelli. Con quale senso per sé e per il mondo.

    Dandogli questo significato di trasformazione, è chiaro come il femminismo non si possa trasmettere in quanto tale. Si trasmettono i frutti di una lotta o di un impegno (la legge sul divorzio, quella sull'aborto) ma non il desiderio della lotta stessa. In un mondo popolato da spettatrici e spettatori, la partecipazione è un lusso, o una fatica, che poche sentono con urgenza, anche se la realtà ci passa addosso come uno schiacciasassi.

    Se "partire da me" mi porta a non essere fra chi "ha preferito diventare egli stesso una merce piuttosto che subirne semplicemente la tirannia" (Tiqqun), allora la risposta alla domanda di Lea è: sì, il femminismo è ancora una pratica di trasformazione di sé e del mondo.
    Eppure, la trasformazione è un percorso che segue solo molto parzialmente le vie già sperimentate. Credo che la differenza sessuale, in astratto, non esista; ogni codice che ne stabilisca i criteri è una trappola ideologica. Ma, dissolta la coperta calda dell'ideologia, siamo rimaste nude con i nostri tentativi appassionati di percorsi inediti, che, allo stato dell'arte, si diluiscono nei rivoli della società dello spettacolo.

    Oggi più che mai, ogni aspetto della relazione e delle differenze fra i sessi è carico di ambivalenze. Prendiamo la riproduzione e la cura, ciò che è sempre stato considerato il perno della differenza sessuale, la base materiale e simbolica della divisione del lavoro tra produttivo e riproduttivo, l'elemento intorno a cui costruire la polarizzazione tra i ruoli e le identità. I comportamenti degli individui sono molteplici e sfuggono alle tipologie. Vanno dalla donna che non sente il desiderio di maternità a quella che è disposta a sottoporsi a tecniche invasive pur di realizzarlo. Sul fronte maschile, le cose sono altrettanto confuse: accanto alla figura tipica da tradizione familista, c'è chi esprime il desiderio di paternità e di cura come aspetto fondamentale della propria identità. Spesso sono proprio le loro compagne a non lasciare spazio a questo desiderio, avocando a sé il potere materno. I comportamenti sono variegati, i modelli vacillano, le identità si sformano. Di fronte a questo precipitare, si verifica il ricorso al già conosciuto. Ecco qua la legge sulla fecondazione assistita, le leggi in materia di famiglia, i richiami della Chiesa Cattolica al ruolo tradizionale di moglie e madre, l'aggrapparsi delle giovanissime a ciò che hanno di certo, che sia l'istinto materno o la forza-seduzione del corpo femminile.

    Gli stereotipi rassicurano ma, imbrogliando le carte, non aiutano a comprendere le molte contraddizioni che si manifestano nel rapporto tra i sessi e nel rapporto di ciascuno con se stesso in relazione al proprio genere. Non ci aiutano neppure quando sarebbe utile fare massa critica, come nel caso della già citata legge sulla procreazione assisita.

    Il rischio costante è l'etichettamento. Provate, una sera al bar, a intavolare una discussione su sessualità, sentimenti, oppure sul ruolo che gli individui assumono in base al sesso in relazione alla cura dei figli (e dei genitori), o sulla scarsa presenza femminile nei ruoli decisionali, o sui dati dell'ultimo rapporto di Amnesty sulla violenza. Avrete la conferma che avere ottenuto l'accesso delle donne ai Diritti non le mette al riparo dal sentirsi dire che "per le donne la maternità è un destino"; che la prostituzione è l'unico settore in crescita perché "sai, gli uomini, è una questione di ormoni…". Gli stereotipi visibili in queste comunicazioni sono la traccia parcellizzata di conflitti non risolti, solo insabbiati sotto la retorica della neutralità del mondo. Se qualcuna più sensibile sobbalza, vorrebbe reagire, a volte ci riesce e ribatte, ecco eretta la barricata difensiva: "Ah, ma allora tu sei femminista! ". Cioè: ti annullo, definendoti in base a ciò che io penso tu sia o debba essere.

    La faccia femminile della stessa medaglia: "io non sono femminista, lo dico subito. Però devo dire che mi da molto fastidio che in tribunale i miei colleghi siano chiamati ‘avvocato', invece io ‘signora'", "non sono femminista… ma è allucinante che quando ho fatto richiesta per quel lavoro mi hanno risposto di no perché donna". Tra le esperienze che le donne vivono e i modi in cui sembrano abituate a pensarle e raccontarle c'è uno spazio opaco, inabitato: è lo spazio del politico; tutto, anche la denuncia, accade in forma privatistica e individuale. I media traboccano di discorsi sul "privato": fino a quando si tratta di fare e dare spettacolo, se ne parli. Ma quando in gioco è la propria vita reale, il privato diventa tabù. Al primo sentore di conflitto, si erge la barricata: per carità, non buttiamola in politica!

    Dove spostarsi, allora, per creare rotture, eventi? Dobbiamo forse scomparire e riapparire, ma dove, come, con chi? Come rappresentarci, donne e uomini scomodi nel ruolo tradizionale dell'Uomo e della Donna? E gli uomini? Come dire delle scelte di cambiamento che gli individui di sesso maschile fanno entro ed oltre il proprio genere? E le donne migranti? Come intrecciare il nostro percorso di donne che hanno assaggiato l'emancipazione (la libertà è ancora un orizzonte utopico) a quello di donne portatrici di altre forme di emancipazione, di altre culture e di altri percorsi?

    Non ho risposto alle domande di Lea, le ho solo articolate da un altro punto di vista: né vecchia né giovane, andavo all'asilo quando il femminismo era un movimento di massa. E', forse, il punto di vista di un tipo di soggettività più diffusa di quel che appare nella scena mediatica: un essere umano che cerca nello spazio e nell'agire politico il proprio orizzonte di senso, e che in questo spazio non può muoversi che a partire dalla propria corporeità, sospinta da elementi, ancora prima che femminili, umani: desiderio, responsabilità, curiosità, condivisione, amore. Rabbia, senso di impotenza. Molte domande.

    http://www.universitadelledonne.it/chi%20siamo.htm
    Ultima modifica di Wiald; 5-01-2005 alle 15:32:07

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

  3. #48
    Principe Psicopatico L'avatar di DJF MCCARTER
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    Il femminismo è proprio inutile e stupido e patetico. Il maschilismo serve solo agli uomini insicuri x mostrare la loro "a questo punto fittizia" superiorità.

    Permane il fatto che le donne che tutt'oggi credono di poter fare chissà che senza uomini sono solo delle galline inutili, che non arrivano da nessuna parte.
    quoto in pieno....e aggiungo che nn bisognerebbe chiamarla guerra,perche' ultimamente, si sono aggiunti,ecco,sessi extra, come l' omosessualita'...allora dovrebbero sesserci 3-4 fazioni...x cosa,poi?alla fine si ricade sempre sull'individualita',come per tutte le cose...
    Ultima modifica di DJF MCCARTER; 5-01-2005 alle 23:00:39

  4. #49
    Inzallanuto innamorato L'avatar di Rafael
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    Wiald,scusa se non cito il tuo messaggio,ma....O.O

    Voglio solo dirti che sei stato tu a mettere in mezzo cosa le donne vogliono,non io
    Preferisco il silenzio ora, sono stanco di questo mondo, di questa gente, di essere invischiato nel groviglio delle loro vite. Dicono di aver lavorato tanto per aver costruito il paradiso per poi scoprire che è popolato di orrori. Forse il mondo non viene creato, forse niente viene creato. Un orologio senza orologiaio. E' troppo tardi. E' sempre stato e sarà sempre troppo tardi.

  5. #50
    uno di passaggio L'avatar di Wiald
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    Citazione DJF MCCARTER
    quoto in pieno....e aggiungo che nn bisognerebbe chiamarla guerra,perche' ultimamente, si sono aggiunti,ecco,sessi extra, come la sessualita'...allora dovrebbero sesserci 3-4 fazioni...x cosa,poi?alla fine si ricade sempre sull'individualita',come per tutte le cose...
    non ho capito, in che senso 3-4 fazioni

    Citazione Rafael
    Wiald,scusa se non cito il tuo messaggio,ma....O.O

    Voglio solo dirti che sei stato tu a mettere in mezzo cosa le donne vogliono,non io
    non si può dire le donne, perhé non si può capire cosa vogliono le donne tutte, ma si può sapere cosa chiedono i movimenti femministi

    la via per il superamento di sé è la liberazione dalle aspirazioni mediocri

  6. #51
    Principe Psicopatico L'avatar di DJF MCCARTER
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    Citazione Wiald
    non ho capito, in che senso 3-4 fazioni


    ehm,ho sbagliato la frase!ho corretto...intendevo l'omosessualita'----quindi
    3 o 4 fazioni (a seconda che ci sia anke la guerra tra maschilismo gay e femminismo gay.....)e' un discorso complicato,eh!!

  7. #52
    Supremo Comandante Asgard L'avatar di Vorador
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    Certo che ha senso Wiald, solo che la parità ora la dobbiamo chiedere noi uomini nei confronti delle donne
    Winston Churchill ha detto:
    Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti.

  8. #53
    Hypercat
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    Domanda da un milione di dollari: perchè il luogo comune vorrebbe la cucina come il regno della donna ma i più grandi chef del mondo sono uomini ?

  9. #54
    vuole solo la juveh!1!1!! L'avatar di Vulcan Raven
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    perchè l'uomo in media cucina solo se pagato.
    o se costretto (ed io posso garantire di persona)

  10. #55
    Follettotia
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    Citazione Cercatore
    Il femminismo è proprio inutile e stupido e patetico. Il maschilismo serve solo agli uomini insicuri x mostrare la loro "a questo punto fittizia" superiorità.

    Permane il fatto che le donne che tutt'oggi credono di poter fare chissà che senza uomini sono solo delle galline inutili, che non arrivano da nessuna parte.
    Parole sagge

  11. #56
    Hypercat
    Ospite
    Il punto debole del femminismo io credo stia nella sua mancanza d'identità. Cioè: le femministe sono in genere donne che imitano gli uomini, ma ne imitano solo gli aspetti più evidenti, ossia quelli peggiori (perchè purtroppo è sempre la parte peggiore degli esseri umani, di entrambi i sessi, che viene alla luce), divenendo così uno specchio del maschilismo. Vale a dire che sono stati ancora gli uomini, pur non intenzionalmente, a insegnar loro come comportarsi, e ci sono riusciti meglio di quanto abbiano mai fatto intenzionalmente.

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