After the election, is secession a moral obligation?
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Discussione: After the election, is secession a moral obligation?

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  1. #1
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    After the election, is secession a moral obligation?

    [Originale, inglese: http://www.onlinejournal.com/Comment...05warwick.html]

    Dopo le elezioni, è la secessione un obbligo morale?
    (David Harnden-Warwick)


    7 Gennaio 2004 - E' iniziato con l'elezione di Bill Clinton. Sulle auto in tutta america iniziavano a comparire quegli adesivi con scritto "Non prendertela con me, io ho votato per Bush". Da allora, i sostenitori di candidati presidenziali sconfitti hanno iniziato a a sostenere il loro punto di vista secondo il quale loro non dovrebbero essere ritenuti responsabili per le colpe del candidato per cui non hanno votato. Negli anni passati, imbottigliato nel traffico dietro a queste anime ideologicamente pure, ho cercato di far presente a me stesso che la democrazia è una questione di compromesso, e il compromesso implica un'accettazione del vincitore.

    Ma quelle del 2004 non sono come le altre elezioni. Il candidato vincitore di quest'anno ha provocato una guerra contro una nazione sovrana basata su false motivazioni, una guerra che ha causato inutilmente migliaia di morti. Bush non mostra alcuna intenzione di voler fermare l'assalto alle libertà civili e all'ambiente. I suoi sostenitori sono determinati a trasformare la repubblica in una teocrazia. E quando sembra che uomini o donne nel team di Bush siano intenzionati a radere al suolo l'economia americana, trasformando la classe media in servi delle corporazioni, uno tende a considerare malizia quello che non può essere causato dalla negligenza. La natura perniciosa della presidenza di George W. Bush non è semplicemente diversa nell'orientamento da quella dei precedenti presidenti; è diversa nel tipo.

    Uno dubita, visto che i padri fondatori hanno fatto in modo che un uomo così pericoloso non possa mai prendere la Casa Bianca. Ma l'ha presa eccome, la prima volta con l'illegalità giudiziaria di cinque corti supreme di giustizia dell'unione, la seconda con l'illegalità etica di quasi 62 milioni di americani. Per i 60 milioni di americani che non l'hanno votato, il ritorno di Bush nell'ufficio presidenziale è la prova che il nostro sistema elettorale ha fallito in un qualche punto fondamentale, visto che i nostri compatrioti hanno lasciato passare un assassino bugiardo.

    Vorremmo attaccare quegli adesivi "Non prendertela con me, io ho votato per Kerry" sui nostri paraurti. Veramente, lo vorremmo. Ma capiamo che farlo toglierebbe senso al risultato, riducendo il referendum del 2004 sul futuro dell'america ad una battutina, riducendo una tragedia terribile ad un malessere che possiamo minimizzare con un pò di autoironia. Sappiamo che non possiamo sfuggire alla responsabilità per aver lasciato George W. Bush alla presidenza. Certo, possiamo cercare di scusarci col mondo per i 62 milioni che hanno votato per Bush. Ma alla fine, siamo sempre americani e Bush è sempre presidente degli Stati Uniti. L'incubo è realtà.

    La situazione ci sfida. Qual'è la giusta risposta morale al vivere in una democrazia dove il presumibilmente eletto leader è colpevole di crimini di guerra, crimini contro l'umanità, e crimini contro le generazioni future? Proteste e associazioni civili hanno fallito, rispettivamente, nel prevenire la guerra in Iraq e la rielezione di Bush. E nessuno dei due risolve il problema della colpa. L'emigrazione ci renderebbe rifugiati in un mondo già innervosito per la sua recente politica.

    Credo che l'unica soluzione morale per la minoranza in questo caso sia organizzarsi e dichiarare la secessione generale dall'America creata da Bush. Non basta per i 60 milioni denunciare le azioni di Bush; per il resto del mondo e per noi stessi, siamo ancora colpevoli per associazione nazionale. Possiamo criticare gli abominii di Abu Ghraib e le torture di Guantanamo Bay, ma senza la volontà di troncare i legami politici con i responsabili di queste atrocità, ossia sia Bush che chi ha votato per lui, le nostre parole rimarranno vuote.

    Come si può realizzare la secessione, All'inizio, dopo un grosso lavoro di organizzazione a livello civile, prevedo che le grandi città e contee progressiste dichiarino la loro indipendenza dagli Stati Uniti. I residenti di San Francisco, Seattle, Portland, e delle altre aree metropolitane della West Coast probabilmente apriranno la strada. Questi sono i posti che hanno già iniziato la resistenza all'amministrazione Bush approvando risoluzioni contrarie all'assalto del Patriot Act alle libertà civili.

    Visto che le cose sono solo peggiorate da quando molte di queste risoluzioni sono passate, e i cittadini hanno provato la furia dell'apocalittca agenda del "red america" per il futuro, motivare la secessione non sarebbe troppo difficile. E' facile immaginare uno scenario dove praticamente tutta la costa pacifica, dalla Interstate 5 fino all'oceano, potrebbe lasciare l'unione come risposta morale alla presidenza Bush. Altre popolazioni urbane affini in tutto il paese seguirebbe probabilmente l'esempio e si unirebbe alla nuova confederazione progressista: Minneapolis, Chicago, Boston, New York, Philadelphia ed altre, assieme ad una marea di contee "blu".

    Dire che ci saranno delle sfide da affrontare è un eufemismo. Nonostante la secessione come protesta morale porti con se una chiara intenzionalità di pace e azione non violenta da parte di chi si separa, non c'è alcuna garanzia che saremo lasciati liberi di andarcene senza problemi. Le vite di Ghandi e King ci ricordano che fare la cosa giusta raramente non si paga. Ma se non facciamo nulla e permettiamo a noi stessi di essere parte, tramite una silenziosa complicità, di questa amministrazione, allora il nostro destino è segnato. Se la "red America" scegliesse di schiacciarci coi carri armati, che sia così. La Storia giudicherà le sue azioni, così come avrebbe giudicato il nostro non agire.

    Questo è ciò che significa secessione in questo caso, fare la cosa giusta, e che le coseguenze vadano al diavolo. Non sarà pratico. Non ci metterà al sicuro. Ma mostrerà al mondo che ci sono delle linee morali tracciate nella sabbia per le minoranze democratiche. Quando queste linee sono attraversate, come Thomas Jefferson ci ricorda, allora diventa necessario per ciascuno dissolvere i "legami politici che hanno legato l'uno con l'altro."
    Dopo oltre 7 anni di attività, mi rifiuto di postare il decimillesimo messaggio su questo forum. Sarebbe davvero troppo. Addio =*

    20/12/'09

  2. #2
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    Citazione Adelchi24
    [Originale, inglese: http://www.onlinejournal.com/Comment...05warwick.html]

    Dopo le elezioni, è la secessione un obbligo morale?
    (David Harnden-Warwick)


    Bush non mostra alcuna intenzione di voler fermare l'assalto alle libertà civili e all'ambiente.
    curiosità: si riferisce al Protocollo di Kyoto?

  3. #3
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    Citazione E_Oda85
    curiosità: si riferisce al Protocollo di Kyoto?
    Penso proprio di si

    Comunque, quando avete letto tutto vorrei sapere cosa ne pensate.
    Dopo oltre 7 anni di attività, mi rifiuto di postare il decimillesimo messaggio su questo forum. Sarebbe davvero troppo. Addio =*

    20/12/'09

  4. #4
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    cmq mi sembra abbastanza "fanta-politico" che qualcuno degli Stati possa lasciare l'unione, dichiarandosi indipendente....

    sarebbe una condanna a morte economica.


    edit: accettare la democrazia significa anche accettare che venga eletto il rappresentante dell'opposizione.... il testo mi pare un pò un' idiozia.

  5. #5
    esule L'avatar di Melkor
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    Chi meglio degli americani può decidere chi li debba governare? Se poi se ne pentono, affari loro, se non se ne pentono, anche.

  6. #6
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    In America questo genere di cose [ la secessione ] sono capaci di farlo, è un loro pregio saper far valere i propri diritti, o comunque le proprie idee.
    Ha ragione il tizio che ha scritto l'articolo riguardo Bush, dato che la democrazia significa accettare l'opposizione, e loro non vogliono che nel mondo si pensi che accettino Bush e le sue malefatte, se ne staccheranno prima o poi.

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