Elezioni in Iraq: countdown! - Pag 3
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Discussione: Elezioni in Iraq: countdown!

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  1. #31
    Inno alla gioia L'avatar di IL CONTE
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    Citazione IL CONTE
    E mentre la Resistenza irachena, continua a mietere vittime, il buon Pino Arlecchi ci sollazza lo spirito con una bella intervista a cura dell'unità:

    http://www.unita.it/index.asp?SEZION...TOPIC_ID=40528

    Il voto sancirà una dittatura della maggioranza sciita»


    ROMA «Altro che stabilizzazione democratica: le elezioni di domenica consegneranno l’Iraq nelle mani degli sciiti aprendo il campo ad una “dittatura della maggioranza” che innescherà altra violenza con forti connotati etnico-religiosi. Tutto ciò è il portato della strategia delirante dei neocons dell’amministrazione Bush». A sostenerlo è Pino Arlacchi, già vice segretario generale delle Nazioni Unite.
    Per l’amministrazione Bush le elezioni irachene rappresentano un passaggio cruciale per la stabilizzazione del Paese. Ma è proprio così?
    «No, non è così. E per una serie di motivi: innanzitutto il fatto fondamentale è che queste elezioni consegneranno l’Iraq nelle mani degli sciiti, vale a dire di una componenti etniche fondamentali del Paese, la più numerosa. Il rischio di una dittatura della maggioranza, che segua al risultato elettorale, è molto serio. Gli sciiti sono una comunità religiosa, oltre che un gruppo sociale, molto bene organizzata; a differenza dei sunniti, gli sciiti hanno un embrione di organizzazione religiosa, di gerarchia, simile a quella esistente in Iran. Lo scenario post-elettorale più realistico è che gli sciiti prenderanno in mano le redini dell’Iraq. Con quali garanzie per le minoranze sunnita, tradizionale detentrice del potere, e curda, con quali accordi, con quali politiche, questo è tutto da vedere. Certamente gli sciiti che si insedieranno al potere dopo il voto non sono dei moderati, non si tratta di filo-occidentali e neanche di filo-americani. La domanda da porsi è quale sia la razionalità ultima di ciò che sta accadendo...».
    Se questa è la domanda di fondo, quale è la sua risposta?
    «La risposta non va ricercata a Baghdad ma a Washington. Sta nello scontro di potere all’interno dell’amministrazione Bush; uno scontro consumatosi negli ultimi e conclusosi con la vittoria su quasi ogni piano dei “neocons” capeggiati da Cheney e Rumsfeld. Questa è l’amara realtà della quale bisognerà prendere atto e della quale mi sono reso conto personalmente in un recente soggiorno di lavoro a Washington. Negli incontri avuti ho riscontrato una forte e diffusa preoccupazione non solo tra i democratici ma anche in ambienti moderati repubblicani. L’aver voluto tenere a tutti i costi le elezioni è il portato del delirio neoconservatore di voler imporre la democrazia con le armi contro la cosiddetta tirannia. Le conseguenze destabilizzanti nel medio e lungo periodo di questa strategia non devono essere sottovalutate. Altro che stabilizzare l’Iraq e pacificare il Medio Oriente: l’effetto di questa strategia sarà l’esatto opposto, vale a dire la creazione di condizioni molto serie di destabilizzazione in Iraq, perché fare delle elezioni che valgono molto poco, con una componente fondamentale del Paese, i sunniti, che si auto-esclude e non aver prestato il minimo ascolto alle richieste ragionevoli di rinvio del voto, non avere trattato su questo punto, significherà porre le basi di una destabilizzazione dell’Iraq nel lungo periodo. Questa politica americana, lungi dal rafforzare le democrazie, finirà invece per rafforzare le tendenze più estreme all’interno del fondamentalismo e all’interno del mondo islamica; in pratica potremmo avere la realizzazione di un incubo temuto da tutti noi: la istaurazione di regimi formalmente democratici, prodotto di elezioni, ma che sviluppano rapidamente una deriva estrema. Regimi fondamentalisti che potremmo avere non solo in Iraq ma anche in Pakistan e se poi le ambizioni dei “democratizzatori” cresceranno questo processo si estenderà anche in altri Paesi della regione. Questo significa, ad esempio nel caso del Pakistan avere una democrazia fondamentalista, anti-occidentale, dotata di armi atomiche».
    Diversi osservatori sostengono che le elezioni del 30 gennaio, con la vittoria annunciata degli sciiti, rafforzeranno sul piano geopolitico il regime di Teheran. Ma il regime degli ayatollah iraniani non era tra gli obiettivi prioritari della Casa Bianca e della sua componente più oltranzista?
    «L’Iran è più che mai al primo posto tra le priorità della politica estera americana. Il delirio neoconservatore porterà presto a conseguenze drammatiche. Uso a proposito il termine delirio privo di ogni razionalità, perché da un lato si mettono al potere gli sciiti in Iraq, dall’altro lato si combatte l’Iran, si combatte un governo conservatore sciita spingendolo su posizioni ancora più estreme. Alla fine, il discorso consisterà in buoni rapporti fra gli estremisti e religiosi sciiti delle due parti, iraniana e irachena, con quali vantaggi per la democrazia e per la stabilizzazione questo bisognerebbe chiederlo a Cheney, Rumsfeld, Wolfowiz...L’offensiva politica contro l’Iran degli ultimi anni, ha distrutto il tentativo riformista del presidente Khatami e dei suoi, ha fatto prevalere nettamente gli ayatollah più conservatori, ha incoraggiato l’Iran, che si sente minacciato ormai nei suoi confini (ormai l’Iran confina con gli Stati Uniti, avendo una lunga frontiera con l’Afghanistan e con l’Iraq), a sviluppare programmi nucleari civili ma che possono avere anche un uso duale, compromettendo il tentativo di apertura e di dialogo che l’Iran di Khatami aveva iniziato, pienamente corrisposto, con l’Europa, e ponendo le promesse per una nuova catastrofe. Il punto più negativo e inquietante è che i “neocons” ormai spadroneggiano a Washington, hanno in mano il Presidente, hanno in mano la politica estera, con Condoleezza Rice. e hanno deciso di concentrare nel Pentagono il lavoro di intelligence che prima era svolto dalla Cia e da altre agenzie, facendo in modo che non ci sia più controllo parlamentare (a cui la Cia era sottoposta e il Pentagono no) e dando al Pentagono una centralità che non ha riscontro in nessuna democrazia occidentale».



    Pino Arlecchi non propone un'alternativa alle elezioni, per fortuna non benedice i cecchini di al zarqawi. Forse era meglio Saddam che gli americani...sembra sottintendere. Perche una democrazia la decide sempre il popolo e se la costituzione garantisce anche le minoranze (come il primo abbozzo di costituzione include) con l'istituzione di 3 premier e varie garanzie per le altre etnie (vedere l'articolo del foglio pubblicato ieri) non capisco questa ottusità ideologica della sinistra, la stessa sinistra che a parole si è sempre battuta per la libertà, contro l'egoismo della destra.
    Ecco una risposta, più articolata della mia (editoriale del foglio)


    La democrazia degli ubriachi
    Per Pino Arlacchi dal voto nascono le “dittature della maggioranza”



    Nell’imminenza del voto in Iraq, il difficile tentativo di far rinascere la democrazia in quel paese deve confrontarsi non solo con le aggressioni terroristiche dei tagliagola locali e importati, ma anche con quelle verbali, meno sanguinose, della sinistra snob di casa nostra. Gianni Vattimo, seguendo una linea di “pensiero” cui si era già ispirato Antonio Tabucchi, ci ha spiegato che quelli che cercano di impedire le elezioni sono come i partigiani che hanno contribuito alla liberazione del nostro paese. I partigiani veri se la sono presa a male e hanno replicato che loro lottavano perché si potesse votare, non per il contrario. Pino Arlacchi, che di democrazia se ne intende per aver trattato (e contrattato) con quella dei Talebani in Afghanistan, si mette a spiegarci che le elezioni in Iraq non sono l’avvio della democrazia, ma l’instaurazione di una “dittatura della maggioranza sciita”.
    L’errore di fondo dell’amministrazione americana, secondo Arlacchi, consiste nell’aver “voluto le elezioni a tutti i costi”, di voler imporre la democrazia contro la “cosiddetta tirannia”. Che l’orientamento politico sia dettato da una maggioranza non è democrazia ma dittatura, mentre la tirannide di Saddam Hussein, con i suoi genocidi e persecuzione delle minoranze, era “cosiddetta”. Forse sarebbe bene che coloro che hanno vissuto e pagato in prima persona la lotta per la libertà in Italia ricordassero anche ad Arlacchi l’abc della democrazia. La preoccupazione che nessuna minoranza irachena, dai kurdi ai sunniti, sia discriminata è ragionevole, anche se la costituzione in vigore è la più liberale e garantista tra quelle esistenti nei paesi arabi. Ma quelli che combattono le elezioni non chiedono garanzie: intimano agli elettori di non recarsi ai seggi minacciandoli di morte. La situazione irachena è assai diversa da quella dei paesi occidentali che hanno imparato l’antica lezione di separare ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio. Lì la cultura politica è fortemente intrecciata con quella religiosa, con permanenti pericoli di teocrazia. Ma arrivare, per questo, a negare a quel popolo il diritto di autogovernarsi è razzistico. Non riconoscere, poi, l’abisso morale che separa bande di assassini da una popolazione che, rischiando la pelle, vuole andare a votare, non è solo un errore di valutazione politica. E’ disgustoso. Comprensibile solo come espressione di una ubriachezza molesta di fondo.

  2. #32
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    Kirkuk. Domenica prossima anche il Kurdistan iracheno andrà alle urne. Dai tempi dell’operazione “Tempesta del desterto” e della guerra in Kuwait le autorità di Erbil hanno costruito uno Stato nello Stato e con i loro 70 mila peshmerga armati hanno neutralizzato il gruppo terrorista locale Ansar al Islam(Nota del Conte: lo stesso gruppo, giudicato NON terrorista dal gup milanese ). Nulla hanno potuto però contro le infiltrazioni dei militanti armati giunti dal sud sunnita, che stanno attaccando i seggi elettorali della regione di Kirkuk, principale centro petrolifero del Kurdistan iracheno. Dopo i due attentati contro un commissariato e un mercato all’aperto – con un bilancio di almeno sette morti – sono stati presi di mira ieri tre seggi elettorali e un’accademia della polizia locale. La minaccia terrorista ha impedito l’attraversamento della frontiera con la Turchia anche alla missione d’osservazione elettorale organizzata dai Radicali e diretta a Erbil. Massud Barzani e Jalal Talabani, i due leader dei curdi iracheni, sanno che – una volta che l’Assemblea nazionale entrerà in funzione – ogni voto conterà nei rapporti di forza con sunniti e sciiti. Per quanto riguarda le altre etnie e religioni della regione, il milione e mezzo di assiro-cristiani, guidati dal partito di Jonadan Kanna, dovrà accontentarsi dei pochi seggi loro riservati nella futura Assemblea nazionale. Mentre l’originale ipotesi di un asse tra curdi e turcomanni, suggellata dalla proposta d’ingresso nel governo regionale del Kurdistan di ministri turcofoni, è naufragata di fronte all’opposizione di Ankara, che tollera, ma non sostiene, l’ipotesi di un governo curdo alle proprie porte. L’accordo negoziato la scorsa settimana dagli emissari della coalizione permetterà a oltre 70 mila curdi di votare nella regione di Kirkuk e di pesare di più sul controllo dei giacimenti petroliferi su cui galleggia la città. Ma la minaccia alla sicurezza del voto viene da Mosul, dove si sono concentrati i reduci di Fallujah, i gruppi turcomanni più estremisti ed elementi del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan di Abdullah Ocalan. Abu Musab al Zarqawi vuole esportare il terrorismo dal triangolo sunnita al Kurdistan per sconfiggere – e quindi vincere – le elezioni di domenica. Ma non sarà facile distruggere la prova decennale costruita dalla “joint venture” tra curdi e Stati Uniti.

  3. #33
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    Citazione Melchior
    Le garanzie legali funzionano solo se la maggioranza è disposta a rispettarle.
    Qui siamo sull'orlo di una guerra civile, e quindi lasciano il tempo che trovano.

    L'hai letto l'articolo che ho postato prima?

  4. #34
    Utente L'avatar di Bejelit
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    Halabja: un "mito" storico costruito per demonizzare il governo iracheno di Saddam Hussein e giustificare l'aggressione del 2003. Il "due pesi e due misure" di fronte al martirio di Falluja, città-simbolo della Resistenza.


    19 gennaio 2005 - Cosa hanno in comune Fallujah e Halabja? Sono entrambe in Iraq. Entrambe condividono una storia di distruzione e atrocità commesse da invasori stranieri. Fallujah e Halabja sono gli epitomi di distorsioni, distruzioni e crimini di guerra inutili. Il 16 marzo 1988 la città di Halabja nella parte nord occidentale dell'Iraq fu bombardata con proiettili d'artiglieria contenenti un gas velenoso, che provocò la morte di molti civili. Essi vennero uccisi da un gas a base di cianuro, come è risultato dalle analisi mediche compiute sui loro corpi. Il governo iraniano sfruttò quest'atrocità come strumento di propaganda contro l'Iraq. La stampa e le televisioni occidentali furono invitate dagli Iraniani a visitare la città da loro occupata e a fungere così da cassa di risonanza dell'evento e della loro causa. L'Iraq fu accusato di gassare il proprio popolo.

    La storia inventata ad arte è usata tutt'oggi per giustificare le molte atrocità commesse dagli Stati Uniti e dai suoi alleati contro il popolo iracheno. Eppure non c'è una sola credibile evidenza che prova che le truppe irachene fossero a Halabja quel giorno, e che l'Iraq fosse responsabile degli attacchi chimici alla città. Le truppe irachene evacuarono la città pochi giorni prima degli attacchi degli Iraniani e della conseguente occupazione della città. Immediatamente dopo gli attacchi la Defence Intelligence Agency americana (USDIA) svolse un' indagine e scrisse un rapporto classificato che dimostrava chiaramente che fu gas iraniano a uccidere i curdi, e non gas iracheno.

    Infatti l'Iraq non ha mai prodotto gas a base di cianuro, noto come Cloruro Cianogeno (Cyanogens Chloride), o “agente del sangue”. Gli studi hanno dimostrato che quell' agente chimico fu usato esclusivamente dall'esercito iraniano nel corso della guerra, non da quello iracheno. Un altro rapporto preparato dallo Strategic Studies Institute dell' Army War College statunitense rivelava che "la maggior parte delle vittime viste dai giornalisti e dagli altri osservatori che visitarono il luogo erano blu alle estremità dei loro arti. Questo significa che esse sono state uccise da una agente del sangue, probabilmente il cloruro cianogeno o il cianuro d'idrogeno (hydrogen cyanide). L' Iraq non ha mai usato queste sostanze chimiche e inoltre mancava della capacità di produrle. Mentre gli Iraniani le avevano. Quindi sono stati gli Iraniani a uccidere i Curdi". [1]

    Il Professor Stephen Pelletiere, che è coautore del rapporto dell' Army War College insieme con Douglas Johnson, scrisse sul New York Times del 31 Gennaio 2003, "Noi non possiamo dire con alcuna certezza che i Curdi sono stati uccisi da armi chimiche irachene". Pelletiere è stato capo analista politico della CIA sull' Iraq durante la guerra Iran-lraq, e professore al Army War College dal 1988 al 2000. "Io sono nella posizione di sapere, perché ero a conoscenza, in qualità di capo analista politico della CIA sull' Iraq durante la guerra Iran-Iraq e in seguito di professore al Army War College dal 1988 al 2000, della maggior parte del materiale classificato inerente il Golfo Persico che circolava a Washington. In aggiunta nel 1991 ho guidato uno studio dell' esercito su come gli Iracheni avrebbero combattuto una guerra contro gli Stati Uniti; la versione classificata del rapporto analizzava in grande dettaglio il caso di Halabja", scrive il Professor Pelletiere.[2]

    Alla fine della guerra di otto anni fra Iran e Iraq dalla quale emerse "vittorioso" quest'ultimo, gli Stati Uniti e Israele stabilirono di distruggere Saddam e l' esercito iracheno. Una nuova crisi doveva essere creata. Se l'Iraq doveva essere distrutto, il miglior punto di partenza era proprio Halabja. Questa fu la carta che l' amministrazione statunitense giocò molto bene, dato che era abile a trattare coi media e il pubblico occidentali. La demonizzazione di Saddam incominciò quindi con Halabja. Dal giorno alla notte Saddam fu trasformato da "amico" dell' Occidente a nemico numero uno. Halabja fu molto utile per la prima guerra degli Stati Uniti contro l'Iraq nel 1991, ed è rimasta tale anche per la seconda del 2003.

    Prima della guerra contro l'Iraq del 2003, l'amministrazione Bush e Tony Blair vedevano in Halabja un utile strumento di propaganda per demonizzare il regime di Saddam Hussein e ottenere l' appoggio alle loro violazione della legge internazionale. Jeffrey Goldberg, un ex ufficiale dell' esercito israeliano, fornì a George Bush e Tony Blair ciò di cui avevano bisogno. Goldberg, scrivendo sul The New Yorker, accusò Saddam di aver perpetrato un "olocausto" in Iraq. E la menzogna fu ripetuta allo scopo di trasformarla in "verità".
    "Sin dalla guerra del Golfo del 1991 la demonizzazione di Saddam è diventata il leitmotiv della politica estera statunitense, e la sua responsabilità come assassino dei Curdi non è più stata messa in discussione. Per lo stesso motivo Halabja è diventata una Alamo dei diritti umani e di quelli dei gruppi curdi, che da allora l' hanno usata per i loro spesso ammirevoli scopi", scrive Roger Trilling nel Village Voice. In un'intervista telefonica con Roger Trilling, Goldberg ha spiegato la ragione della sua presa di posizione. “Io non gli ho dato molto peso, perché non è stata presa in considerazione da tante persone che reputo esperte”, egli ha detto. “Assai presto ho deciso di appoggiare l' opinione generale - di Human Rights Watch, Physicians for Human Rights, il Dipartimento di Stato, le Nazioni Unite, i vari gruppi curdi - che gli Iracheni fossero responsabili di quanto successo a Halabja. Allo stesso modo non diedi alcun credito alle smentite irachene”. "Quest' ultimo articolo di Goldberg è uno sgradevole esempio di acquiescenza (a Rumsfeld, Tenet e altri), senza neppure la minima pretesa di apparire come giornalismo indipendente.", scrive Alexander Cockburn di CounterPunch.org.

    Le atrocità di Halabja sono abilmente usate per dividere la comunità arabo-curda dell'Iraq. I Curdi si sono dimostrati preziosi "amici" degli Stati Uniti nell' occupazione dell' Iraq. La maggior parte delle reclute del cosiddetto "esercito iracheno", che funge da carne da cannone per le forze occupanti, sono curdi della milizia peshmerga che combattono a fianco dei marines americani a Fallujah e a Mosul contro la Resistenza Irachena. Gli Iracheni li considerano collaboratori e traditori, e gli attriti fra i curdi iracheni e gli arabi si stanno acuendo.

    Come la storia inventata ad arte dei soldati iracheni che in Kuwait toglievano i neonati dalle incubatrici, e che servì da pretesto per l'attacco all'Iraq del 1991, Halabja tornò nuovamente utile per giustificare l'attacco del 2003. Questa volta la storia non fu presa da Amnesty International, bensì dall' organizzazione non governativa Human Rights Watch (HRW) sponsorizzata dagli Stati Uniti, il cui compito è rilevare e denunciare gli abusi dei diritti umani compiuti al di fuori degli Stati Uniti, e più precisamente in quei paesi che non assecondano la politica estera statunitense. HRW sostenne e accusò ripetutamente l'Iraq di commettere "genocidio" nei confronti dei Curdi. La guerra contro Saddam fu quindi venduta come "umanitaria" e "giusta".
    Tuttavia il rapporto dell' US Army War College faceva notare che l'iprite usata dalle truppe irachene è una agente incapacitante la cui letalità è solo del 2%, e come tale non può avere ucciso le migliaia di persone la cui morte è stata accertata. Quindi il rapporto discredita completamente quanto sostenuto da HRW. Secondo il Professor Pelletiere l'affermazione che Saddam avesse intrapreso una campagna sistematica di genocidio dei curdi iracheni è "una bufala, un non-evento". "Questa vicenda è estremamente problematica poiché non sono mai state rese disponibili le vittime dell'attacco chimico. La sola evidenza che fu usato il gas è nelle testimonianze dei testimoni oculari curdi che fuggirono in Turchia, raccolte da membri del senato americano. Noi mostrammo queste testimonianze a esperti militari che ci dissero che erano senza valore. I sintomi descritti dai curdi non rientrano negli effetti prodotti da sostanze chimiche note o loro combinazione", egli ha spiegato. Milton Viorst, che è stato per lungo tempo corrispondente dal Medio Oriente del The New Yorker, conferma le affermazioni di Pelletiere.

    Una recente rapporto dall' Iraq rivela che l'autorità statunitense ha informato gli avvocati di Saddam che le accuse per i fatti di Halabja e per "genocidio" sono state fatte cadere per insufficienza di prove. Sembra che ora la storia di Halabja sia uno strumento di propaganda più utile contro l'Iran che contro Saddam Hussein.

    La storia inventata di Halabja è stata usata per giustificare l'invasione dell' Iraq. Dopo che le bufale delle armi di distruzione di massa e del terrorismo sono risultate per quello che erano, l'amministrazione Bush, guidata dal sionista Paul Wolfowitz, e i suoi alleati stanno negando che queste furono le vere ragioni della guerra. Da George Bush a Colin Powell e Tony Blair, tutti invocano i cliché dell' "intervento umanitario" e della "guerra giusta" come le vere ragioni dell'attacco all'Iraq. Senza alcuna evidenza in tal senso, i giornalisti occidentali, gli opinionisti e gli intellettuali "liberal" hanno seguito la medesima linea e hanno ripetutamente accusato l'Iraq di questa falsità. Naturalmente le ragioni dell'attacco all'Iraq sono ovvie: il controllo delle vitali risorse della regione e l'appoggio all'aggressione attuata da Israele.

    L'intera nazione dell'Iraq si è trasformata in Saddam, e la persona di Saddam si è trasformata nell'Iraq. Gli Iracheni sono le vittime, che si sono trovate "nel posto sbagliato nel momento sbagliato". Tutti stanno parlando di Saddam. Centinaia di migliaia di iracheni sono stati uccisi, ma non Saddam.
    Con l' eccezione di poche voci oneste levatesi in Occidente, nessuno si preoccupa della morte degli Iracheni. Noi aspettavamo disperatamente di udire una condanna delle atrocità commesse dagli Americani in Iraq, e in particolare a Fallujah, da parte di qualcuno di quei "moralisti" occidentali e americani che avevano condannato l'Iraq sotto il regime di Saddam, . Ma le atrocità di Fallujah hanno trovato solo silenzio in Occidente. "L'intera potenza dell' arsenale di terrore in possesso dell' America, inclusi gli F16, i C130, i carri Abrams e gli elicotteri Apache, è stata scatenata contro la città" scrive Mike Whitney. Una città di 300.000 abitanti è stata bombardata da ogni genere di bombe. Le illegali bombe al napalm, le bombe al fosforo e le bombe a frammentazione sganciate dagli aerei americani hanno ridotto la città in rovine. L'intera città è stata distrutta insieme coi suoi abitanti di sesso maschile di età compresa fra i 14 e i 60 anni. Più di 6.000 persone innocenti sono state uccise senza ragione. Corpi di donne e bambini sono rimasti per le strade e nelle moschee. L'ordine era di "colpire e uccidere qualunque cosa si muovesse".

    Diversamente da Halabja, il genocidio di Fallujah è ignorato dalla "coscienza morale" degli Americani e degli Occidentali. Sono davvero poche le persone che in Occidente odono il lamento degli abitanti di Fallujah. La parola "pacificare" è un eufemismo comune per la distruzione e l'oltraggioso assassinio di civili innocenti compiuti dagli Stati Uniti. La "stampa libera" dei giornalisti e dei reporter occidentali si è guardata bene dall'essere laddove avrebbe potuto raccontare al mondo ciò che stava avvenendo a Fallujah. Essa è stata a casa come George Bush le aveva ordinato di fare. La cosiddetta "seconda superpotenza" si è dissolta giusto in tempo per l'inizio degli assassinii e delle distruzioni.

    Diversamente dalla morte e dalla distruzione causata dall'ultimo tzunami nel sud-est asiatico, cui è seguita un'urgente richiesta di aggiornamenti e di immagini televisive, la morte di civili iracheni innocenti è sistematicamente ignorata. Il gratuito e poco impegnativo lamento per i disastri naturali contrapposto al totale silenzio sui disastri prodotti dagli Stati Uniti è un'autoindotta ipocrisia morale dell'Occidente.

    Dall'inizio dell'invasione americana e dell'occupazione, la malnutrizione acuta dei bambini iracheni fra i sei mesi e cinque anni è raddoppiata. I morti sono ora più di 100.000, esclusi quelli di Fallujah - metà di essi sono donne e bambini. Agli Iracheni è stato negato il diritto di spostarsi liberamente nel loro stesso paese. Acqua pulita ed elettricità sono cose del passato. Gli Iracheni non sono solo testimoni delle torture e dell'assassinio dei loro connazionali a opera delle truppe americane, ma sono anche testimoni "del saccheggio del loro paese a opera della Halliburton e della Bechtel, delle organizzazioni non governative americane, dei missionari, dei mercenari e dei subappaltatori locali".

    Il tribunale militare internazionale Norimberga stabilì il principio di portare i criminali nazisti di fronte alla giustizia, e concepì le definizioni di "crimini di guerra" e "crimini contro l' umanità". La distruzione non provocata dell'Iraq e della società irachena rientrano in queste definizioni. I perpetratori di questi crimini contro il popolo iracheno dovrebbero essere portati di fronte alla giustizia in accordo con questo principio e con quello della legge internazionale.

    http://www.aljazira.it/index.php?opt...id=425&Itemid=

  5. #35
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    Bejelit, posta qualche fonte più attendibile please

    Io posto l'unità e il foglio(sono di parte, ma non sono filoterrosti)...tu aljazeara....perche non posti direttamente al qaeda

  6. #36
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    Bejelit, posta qualche fonte più attendibile please

    Io posto l'unità e il foglio(sono di parte, ma non sono filoterrosti)...tu aljazeara....perche non posti direttamente al qaeda
    Non è Al Jazeera, non ha alcun legame con la televisione satellitare.
    E mi dovresti spiegare perchè Al Jazeera fa terrorismo...

    Ormai questo termine è veramente usato a sproposito...

  7. #37
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    Citazione Bejelit
    Non è Al Jazeera, non ha alcun legame con la televisione satellitare.
    E mi dovresti spiegare perchè Al Jazeera fa terrorismo...

    Ormai questo termine è veramente usato a sproposito...
    Bah, qualsiasi persona di buonsenso, può dare un'occhiata a quel sito e giudicarlo. Ovviamente se è di estrema sinistra, filoaraba e antisionista ci sguazzerà in quell'articolame.

  8. #38
    Utente L'avatar di Bejelit
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    Bah, qualsiasi persona di buonsenso, può dare un'occhiata a quel sito e giudicarlo. Ovviamente se è di estrema sinistra, filoaraba e antisionista ci sguazzerà in quell'articolame.
    Dovresti contestare le notizie nello specifico, non il sito che le pubblica o chi le scrive.
    Anche perchè, e qui ti invito a leggere il sito prima di parlare, Al Jazira è un punto di contatto fra iItalia e Media Arabi.
    Molti articoli sono presi da giornali arabi, e si citano sempre le fonti, come nel caso di Halabja.

  9. #39
    Inno alla gioia L'avatar di IL CONTE
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    Citazione Bejelit
    Dovresti contestare le notizie nello specifico, non il sito che le pubblica o chi le scrive.
    Anche perchè, e qui ti invito a leggere il sito prima di parlare, Al Jazira è un punto di contatto fra iItalia e Media Arabi.
    Molti articoli sono presi da giornali arabi, e si citano sempre le fonti, come nel caso di Halabja.
    Infatti sono andato al sito originale...ancora peggio

    http://uruknet.info/?p=8541
    ODDIO l'INFARTO, ODDIO L'INFARTO.

    Ci sono articolesse del vecchio partito di Saddam

    http://uruknet.info/?p=m9232
    Ultima modifica di IL CONTE; 28-01-2005 alle 15:44:44

  10. #40
    Utente L'avatar di Bejelit
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    Citazione IL CONTE
    Infatti sono andato al sito originale...ancora peggio

    http://uruknet.info/?p=8541

    "Il Professor Stephen Pelletiere, che è coautore del rapporto dell' Army War College insieme con Douglas Johnson, scrisse sul New York Times del 31 Gennaio 2003, "Noi non possiamo dire con alcuna certezza che i Curdi sono stati uccisi da armi chimiche irachene". Pelletiere è stato capo analista politico della CIA sull' Iraq durante la guerra Iran-lraq, e professore al Army War College dal 1988 al 2000. "Io sono nella posizione di sapere, perché ero a conoscenza, in qualità di capo analista politico della CIA sull' Iraq durante la guerra Iran-Iraq e in seguito di professore al Army War College dal 1988 al 2000, della maggior parte del materiale classificato inerente il Golfo Persico che circolava a Washington. In aggiunta nel 1991 ho guidato uno studio dell' esercito su come gli Iracheni avrebbero combattuto una guerra contro gli Stati Uniti; la versione classificata del rapporto analizzava in grande dettaglio il caso di Halabja", scrive il Professor Pelletiere.[2]"

    Che ti ho detto nel post che hai quotato?

  11. #41
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    Citazione Bejelit
    "Il Professor Stephen Pelletiere, che è coautore del rapporto dell' Army War College insieme con Douglas Johnson, scrisse sul New York Times del 31 Gennaio 2003, "Noi non possiamo dire con alcuna certezza che i Curdi sono stati uccisi da armi chimiche irachene". Pelletiere è stato capo analista politico della CIA sull' Iraq durante la guerra Iran-lraq, e professore al Army War College dal 1988 al 2000. "Io sono nella posizione di sapere, perché ero a conoscenza, in qualità di capo analista politico della CIA sull' Iraq durante la guerra Iran-Iraq e in seguito di professore al Army War College dal 1988 al 2000, della maggior parte del materiale classificato inerente il Golfo Persico che circolava a Washington. In aggiunta nel 1991 ho guidato uno studio dell' esercito su come gli Iracheni avrebbero combattuto una guerra contro gli Stati Uniti; la versione classificata del rapporto analizzava in grande dettaglio il caso di Halabja", scrive il Professor Pelletiere.[2]"

    Che ti ho detto nel post che hai quotato?
    Non c'entra assolutamente niente con le elezioni in Iraq. Vogliamo negare che Saddam ha ucciso (direttamente) e fatto uccidere milioni di persone?

    Non mi dire che difendi pure Saddam

  12. #42
    Utente L'avatar di Bejelit
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    Non c'entra assolutamente niente con le elezioni in Iraq. Vogliamo negare che Saddam ha ucciso (direttamente) e fatto uccidere milioni di persone?

    Non mi dire che difendi pure Saddam
    Saddam era un dittatore, ma questo non giustifica il fatto che dai media occidentali(liberi... coff coff) gli siano stati attribuiti crimini non certi.
    Non può essere usato come paravento per tutto.

    E poi, fino a un momento fa rispondevi zelante, che è successo?
    Vabbè, chiudiamola qui con Saddam... vediamo che succede alle elzioni e come sarà l'irak fra 5 o 6 anni

  13. #43
    Utente L'avatar di Bejelit
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    Cmq, per tornare in topic, secondo me non è il momento giusto per fare le elezioni, come ha già confermato il mio grande amico e conoscente Bashar al-Assad.

    Queste elezioni non sono democratiche, non possono esserlo.
    Gli americani ancora bombardano e combattono, i terroristi mettono autobombe e minacciano chi vuole andare a votare, la resistenza ha in mano ampie zone dell'irak e di fatto(e questo penso sia una cosa incontestabile) l'unica zona "sicura" è la green zone, dove certo non si radunano i poveracci, ma le più ricche e potenti personalità Irakene e Americane.
    Ma ance qui si sono registrati attentati, quindi immaginate la situazione...

    I terroristi hanno la colpa di minacciare chi vuole votare, gli americani hanno la colpa di non fare nulla (o non poter far nulla) per difendere chi vuole votare.
    Gli americani hanno vinto una battaglia, non la guerra.

    Senza ovviamente contare che, per interessi politici, per la situazione economica e via di questo passo, il popolo irakeno non ha la possibilità di informarsi su chi vota.
    In un paese in cui mancano medicinali e in alcuni casi anche cibo, in cui ancora oggi vengono distrutte case, come si può pretendere che gli irakeni abbiano un quadro politico non dico ottimo ma almeno sufficiente?

    Ber volere le elezioni in una situazione simile bisogna essere o in malafede o completamente annichiliti dalla propaganda.

  14. #44
    Inno alla gioia L'avatar di IL CONTE
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    Citazione Bejelit
    Saddam era un dittatore, ma questo non giustifica il fatto che dai media occidentali(liberi... coff coff) gli siano stati attribuiti crimini non certi.
    Non può essere usato come paravento per tutto.

    E poi, fino a un momento fa rispondevi zelante, che è successo?
    Vabbè, chiudiamola qui con Saddam... vediamo che succede alle elzioni e come sarà l'irak fra 5 o 6 anni

    Ho controllato un pò in giro e non c'è nessuna smentita alle affermazioni di Pelletiere. Quindi rivaluto quell'intervento (ma resta il commento ironico sul sito della "resistenza" sunnita ) Non ho certezze granitiche penso che coltivare il dubbio sia un principio etico, quindi sulla vicenda di halabja sospendo il giudizio fino a che non conoscerò attentamente i dettagli ed eventuali nuove rivelazioni
    Ultima modifica di IL CONTE; 28-01-2005 alle 16:55:41

  15. #45
    Inno alla gioia L'avatar di IL CONTE
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    Citazione Bejelit
    Cmq, per tornare in topic, secondo me non è il momento giusto per fare le elezioni, come ha già confermato il mio grande amico e conoscente Bashar al-Assad.

    Queste elezioni non sono democratiche, non possono esserlo.
    Gli americani ancora bombardano e combattono, i terroristi mettono autobombe e minacciano chi vuole andare a votare, la resistenza ha in mano ampie zone dell'irak e di fatto(e questo penso sia una cosa incontestabile) l'unica zona "sicura" è la green zone, dove certo non si radunano i poveracci, ma le più ricche e potenti personalità Irakene e Americane.
    Ma ance qui si sono registrati attentati, quindi immaginate la situazione...

    I terroristi hanno la colpa di minacciare chi vuole votare, gli americani hanno la colpa di non fare nulla (o non poter far nulla) per difendere chi vuole votare.
    Gli americani hanno vinto una battaglia, non la guerra.

    Senza ovviamente contare che, per interessi politici, per la situazione economica e via di questo passo, il popolo irakeno non ha la possibilità di informarsi su chi vota.
    In un paese in cui mancano medicinali e in alcuni casi anche cibo, in cui ancora oggi vengono distrutte case, come si può pretendere che gli irakeni abbiano un quadro politico non dico ottimo ma almeno sufficiente?

    Ber volere le elezioni in una situazione simile bisogna essere o in malafede o completamente annichiliti dalla propaganda.
    I terroristi continueranno a farsi saltare in aria. Se aspettassimo i loro comodi le elezioni in iraq subirebbero continui ritardi, perche la loro intenzione è far fallire le elezioni.

    Se le elezioni saranno un fallimento, sarà un punto a favore di al zarqawi...quindi lasciatemi sperare che non accada questo. Soprattutto per il popolo iracheno che ha sofferto 30 anni di dittatura e ora sta passando un difficile transizione. Del resto, la road-map, è stata rispettata punto punto. Era un obiettivo dell'amministrazione americana. Certo, se il clima fosse meno infuocato le elezioni sarebbero più democratiche.

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