Il popolo iracheno si è recato in massa alle urne e il contingente “Antica Babilonia” potrà contare dai prossimi giorni sull’importante rinforzo di tre elicotteri da combattimento Mangusta: due fatti importanti e certo positivi che però impongono riflessioni circa le valutazioni e le polemiche che li hanno preceduti e accompagnati.
Benché i dati sulle elezioni siano ancora provvisori appare evidente che la stragrande maggioranza del popolo iracheno (almeno il 70%) si è recata con entusiasmo alle urne sfidando le autobomba, i kamikaze e i cecchini di Zarqawi e dei seguaci di Saddam Hussein.
Come previsto, un minore afflusso si è registrato nel “triangolo sunnita” ma da quelle parti i combattimenti quotidiani, il boicottaggio dei maggiori partiti locali, il sostegno di parte della popolazione alla causa della guerriglia e soprattutto la paura diffusa hanno sconsigliato molti dal recarsi alle urne.
Un voto che rappresenta un’inequivocabile vittoria per gli anglo-americani, che non hanno mai nascosto il progetto di esportazione della democrazia per sconfiggere il terrorismo, ma anche per gli italiani che da diciotto mesi presidiano la provincia del Dhiqar dove hanno garantito la sicurezza sia con la presenza militare sia con l’addestramento impartito alle forze locali.
Di fronte all’evidente riuscita delle elezioni destano sconcerto i commenti di parte della sinistra che continua arbitrariamente a parlare di “occupazione “ e “resistenza” dimostrando uno stato confusionale che non fa certo onore alla politica di un paese avanzato come l’Italia.
L’occupazione militare in Iraq è di fatto terminata in giugno con l’assunzione dei poteri da parte del governo di Iyad Allawi e, se non bastasse, tutti i partiti (comunisti iracheni in testa) dopo le elezioni hanno chiesto agli alleati di non abbandonare il paese.
Certo i soliti intellettuali da salotto ora prevedono lo scoppio di una guerra civile in Iraq, ovviamente per colpa di Bush e Berlusconi, ma non c’è da preoccuparsi. Si tratta degli stessi che dimostrando rare doti d’indovini avevano previsto la disfatta americana in Afghanistan nel 2001, l’olocausto chimico-biologico nell’operazione Iraqi Freedom e la sconfitta di Bush alle presidenziali grazie ad una maggiore partecipazione al voto da parte del popolo statunitense…..
Insomma, pur non avendo azzeccato un pronostico possiamo stare certi che continueranno a pontificare con il solito insopportabile atteggiamento di superiorità intellettuale tipico di quella sinistra che non ha ancora digerito il crollo del Muro di Berlino.
Quanto alla “resistenza” irachena, l’antiamericanismo ha talmente accecato menti e cuori da spingere qualcuno ad azzardare un paragone tra Zarqawi e i partigiani italiani del 1943-45 cui ha giustamente fatto seguito la protesta dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
L’ideologia inebria, acceca e nel tentativo di difendere ben oltre i limiti del buon gusto la causa della “resistenza” irachena c’è persino chi si è inventato bande islamiche al soldo della CIA che sarebbero responsabili dei sequestri di alcuni giornalisti, ovviamente quelli di sinistra e pacifisti.
Parte dell’opposizione italiana dovrebbe andare a lezione di democrazia dal popolo iracheno come hanno scoperto anche Piero Fassino e la parte moderata del centrosinistra, che a fatica cercano di raddrizzare il timone proponendo una seria riflessione autocritica sulla vicenda irachena. Un compito difficile, soprattutto ora che le esigenze elettorali impongono di compattare il centro-sinistra. Ed ecco quindi che Romano Prodi, tanto per far contenti tutti i pezzi della GAD, si appella con tempismo e originalità ad un intervento dell’ONU in Iraq !
Il Palazzo di Vetro con la Risoluzione 1546 ha già benedetto da tempo le elezioni e la forza multinazionale sotto il comando statunitense anche perché non si troverebbero paesi diversi da quelli che già vi schierano contingenti pronti ad offrire caschi blu per l'Iraq. E poi a Baghdad non vogliono truppe di nazionalità diversa da quelle presenti, né tanto meno soldati di paesi arabi mentre i funzionari dell'ONU hanno così paura di recarsi a Baghdad che per le elezioni sono giunti in Iraq appena una trentina di osservatori, un decimo di quelli inviati nella piccolissima, ma più esotica e certo meno pericolosa, Timor Est.
Lo stato confusionale dell’opposizione rende ancora più inspiegabile l’atteggiamento del Ministero della Difesa sulla vicenda degli elicotteri Mangusta.
A dicembre il ministro Antonio Martino smentì le indiscrezioni di alcuni media (tra i quali Analisi Difesa) circa l’imminente invio degli elicotteri da combattimento. Poi, dopo la polemica scoppiata in seguito alla morte del maresciallo Simone Cola, fonti ufficiali e persino alcuni generali non più in servizio dichiararono che i Mangusta in Iraq non servivano mentre veniva sottolineato che la richiesta di invio degli elicotteri non era stata sottoposta al ministro, il quale però non si è recato alle Camere a rispondere alle interrogazioni di un’opposizione certo pacifista ma che per opportunismo si era”innamorata” degli A-129.
Infine, il colpo di scena dell’annuncio televisivo di Martino dell’imminente invio degli elicotteri a Tallil. Uno scoop per “Porta a Porta”, ma alle dichiarazioni non hanno fatto seguito comunicati stampa ufficiali della Difesa che precisassero i dettagli dell’operazione facendo sorgere ironicamente ma legittimamente il dubbio che Bruno Vespa fosse stato nominato capo dell’ufficio stampa del Ministero della Difesa.
I lettori ben sanno quale sia la nostra opinione su questo tema ma è evidente che la gestione politica e mediatica dell’intera questione lascia aperti molti dubbi così come ha destato sconcerto la sospensione dell’imbarco dei giornalisti sui voli militari diretti a Tallil poche settimane prima delle elezioni irachene.
La Farnesina aveva sconsigliato la stampa a inviare reporter in Iraq per i rischi connessi ad attentati e rapimenti ma, come hanno dimostrato anche i fatti di questi ultimi giorni, i giornalisti “embedded” con il contingente “Antica Babilonia” rischiano certo di meno di quanti si muovono da soli per l’Iraq e in ogni caso i rischi fanno parte anche del nostro mestiere.
La stampa italiana non ha potuto seguire le elezioni nel Dhiqar privando il nostro contingente di una visibilità importante proprio nel giorno che dava un concreto senso compiuto ad una missione difficile che è costata all’Italia tanti sforzi, vittime, sacrifici e denaro.
Inoltre, poiché i quotidiani Corriere della Sera e Repubblica mantengono corrispondenti fissi a “Camp Mittica”, la direttiva ha finito per favorire indirettamente i due maggiori quotidiani italiani.
Al di là di questo aspetto resta comunque il dubbio che si sia voluta evitare la presenza dei media in un momento potenzialmente esplosivo come le elezioni che sono state seguite in massa dalla stampa internazionale nonostante Zarqawi avesse promesso terrore e morte.
D’altra parte ormai siamo consapevoli della paura che dilaga negli ambienti politici italiani di fronte alla guerra e infatti retorica vuole che le operazioni oltremare siano tutte “missioni di pace”, i militari che vi prendono parte divengano “soldati di pace” e i caduti “eroi di pace” anche se caduti ed eroi non sono la stessa cosa, almeno per il vocabolario della lingua italiana.
Anche i media hanno voluto adeguarsi a queste "note di linguaggio", come si è visto con il sequestro di Giuliana Sgrena, l’inviata del Manifesto che negli appelli per la sua liberazione è stata definita una “giornalista di pace” che i terroristi dovrebbero liberare immediatamente perché è sempre stata contraria alla guerra e nei suoi articoli ha sempre condannato l’invasione anglo-americana dell’Iraq.
E se i terroristi catturassero un reporter di una testata con posizioni diverse? Sarebbe un sequestro giusto o giustificabile?
Invece di inventare ridicole definizioni “politicamente corrette”, che si addicono più a una militanza ideologica ormai anacronistica che al giornalismo, non sarebbe meglio riflettere sulla necessità di dotare di scorte professionali i reporter che si muovono da soli in aree di guerra come fanno già da tempo i media anglosassoni ?
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Questo è un editoriale scritto da Gianandrea Gaiani, un esperto di strategia militare e direttore di una delle più importanti riviste nel settore della difesa e della sicurezza. Secondo me Gaiani è davvero un ottimo giornalista, e il suo editoriale fa un analisi corretta e reale delle elezioni e del panorama politico italiano nei confronti della guerra in Iraq. E' lunghetto, ma merita di essere letto. L'articolo lo potete trovare qui.