Per chiarezza riporto tre definizioni (le parti tra virgolette sono tratte da Max Weber, “La politica come professione”).
Non vi spaventate, il thread non è tutto così ._.
“Lo stato è quella comunità di uomini che, all'interno di un determinato territorio, pretende per sé (con successo) il monopolio della forza fisica legittima) [..] A tutti gli altri gruppi sociali o alle singole persone si attribuisce il diritto all'uso della forza fisica soltanto nella misura in cui sia lo stato stesso a concederlo per parte sua”.
“Con il termine 'politica' intendiamo piuttosto riferirci soltanto alla direzione o all'influenza esercitata sulla direzione di un gruppo politico, vale a dire – oggi – di uno stato”.
E visto che lo stato esercita la sua azione in virtù di un potere sui cittadini “[..] 'politica' per noi significherà l'aspirazione a partecipare al potere o ad esercitare una qualche influenza sulla distribuzione del potere”
La definizione relazionale di 'potere' recita che, nel contesto di un rapporto tra due individui A e B, A detiene il potere se è in grado di imporre la sua volontà a B anche quando questi non è d'accordo.
Il potere (o meglio: il suo esercizio) è quindi una forma di coercizione, d'imposizione: un atto di forza.
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Un politico che abbia successo si trova a disporre del potere dello stato.
Ogni volta che decide la sua volontà si manifesta in una forma ufficiale: una legge, un decreto..
Per la natura stessa del potere, ogni opposizione alla decisione (che si manifesti nell'azione: l'opinione è un'altra cosa) deve essere eliminata; e visto che stiamo parlando dello stato ciò significa o minacciare di ricorrere alla forza fisica (prevista dalla pena) o ricorrervi effettivamente quando c'è una trasgressione.
Per quanto animato dalle migliori intenzioni, il politico si trova quindi a contatto con la violenza. Scende, per dirlo con Weber, “a patti con potenze diaboliche”.
A partire da questo punto volevo proporre alcune domande:
1) Il fine giustifica i mezzi?
Un politico che cerchi di realizzare la sua idea senza curarsi della violenza che necessariamente ne deriva è un visionario, un leader o solo un cattivo politico, che utilizza gli strumenti di cui dispone in modo irresponsabile? E' giusto che ritenga che la frittata (il suo nobile ideale) giustifichi le uova rotte (le sofferenze patite da chi subisce le sue decisioni) oppure dovrebbe ritenersi innanzitutto responsabile delle uova rotte e rinunciare, se causa troppe sofferenze, alla frittata?
1a) Nel caso che nella domanda sopra si siano privilegiati i principi.
Siamo sicuri che ricercare l'altro mondo – quello che “deve essere” – senza curarsi della specificità del mezzo usato in questo mondo – quello che “è” – non significhi che, di come funziona questo mondo e delle conseguenze delle decisioni prese, non c'è che una idea vaga?
1b) Nel caso che nella domanda sopra si sia privilegiata la responsabilità.
C'è ancora un qualche posto per gli ideali o la politica dovrebbe trasformarsi completamente, per così dire, in ingegneria del benessere? Nel secondo caso, non c'è il rischio che il politico pensi soprattutto al suo, di benessere, e si limiti a non decidere niente per non fare danni, godendo nel frattempo dei vantaggi legati al possesso del potere?
2) Si dice che la politica sia una cosa sporca, in cui è meglio non rimanere invischiati. Se con sporca si intende “moralmente discutibile” in qualche misura è vero, visto i mezzi che le sono proprii. E' per questo che tra chi siede in parlamento si vede tanta gente con pochi scrupoli morali (eufemismo) oppure, tutto sommato, è una situazione patologica, ed è pensabile un parlamento pieno di persone che mettono a rischio la salvezza della propria anima solo nella misura richiesta dalla salvezza dello stato?
A voi la parola.