Epistulae morales ad Lucilium
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Discussione: Epistulae morales ad Lucilium

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  1. #1
    (un po' meno) cattivo L'avatar di L33T
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    Epistulae morales ad Lucilium

    Un libro di rara grandezza; un libro di cui si possono non condividere molti passaggi, ma che non manca mai di far riflettere; un libro da aprire a caso, per leggere qualche frase da "ruminare" per ore, certi che comunque non sarà uno sforzo inutile.
    Un libro da leggere assolutamente.

    L'autore è Seneca, l'edizione della Garzanti è splendida.
    Ultima modifica di L33T; 6-06-2003 alle 16:21:33
    Es ist nichts schrecklicher als eine tätige Unwissenheit.

  2. #2
    :Controllore del Treno: L'avatar di LordCapcom
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    nonostante tutto ciò,credo che il mio sarà l unico post che avrai in risposta...
    su che ti fa riflettere questo..?
    sono ricco sfondato!!

  3. #3
    Utente L'avatar di Taurus
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    Sì....che lui è intelligente, noi no.

  4. #4
    Oggettivista L'avatar di space king
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    Giuro. Appena ho visto il titolo di questo post ho avuto un gesto inconsulto della mano e del dito per cliccare più velocemente possibile... una specie di orgasmo... o_O
    I contenuti sono sì splendidi, ma quello che più conta è che fungono da base (così come Seneca intendeva esporli) a ulteriori riflessioni. E a questo proposito, se è possibile, invito l33t a postare qualche pezzo per discuterne insieme
    Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta,
    non donna di provincie ma bordello! (VI Purgatorio)

    Di rider finirai pria dell'aurora!


  5. #5
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    Dalla prima lettera del primo libro

    Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata.
    E' indubbiamente una riflessione affascinante.
    Onestamente, però, non riesco a convincermi della sua fondatezza.
    Non esiste forse anche il ricordo, che è fondamentalmente la presenza viva del passato nel presente?

    La questione è complessa; spero che lo sia abbastanza per sostenere una discussione
    Es ist nichts schrecklicher als eine tätige Unwissenheit.

  6. #6
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    Esprimo un primo abbozzo di giudizio.
    Qui si parla del tempo che si spreca, della frenesia che in quei tempi prendeva la gente. Più che all'otium (le attività di riflessione per l'elevamento interiore), si dava più importanza al negotium (le attività puramente pratiche).
    Il concetto del morire ogni giorno è inteso come la perdita di tutte quelle occasioni che ci avrebbero potuto portare a compiere azioni più meritevoli e più importanti per il nostro animo (compresa l'elemosina, come indica lui stesso). In questo senso (lo spreco del tempo) credo sia corretto il pensiero di Seneca: non è tanto il ricordo l'oggetto della sua riflessione, quanto le azioni che compiamo quasi senza pensarci e che ci inducono ad allontanarci dalle cose più propriamente spirituali, e quindi persino dai ricordi stessi!
    Tempus fugit...
    Ahi serva Italia di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta,
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  7. #7
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    So dove voleva arrivare Seneca, ma continuo a sostenere quanto ho scritto nell'altro post.
    Rifletti: sostenendo che dobbiamo sfruttare il tempo in azioni meritevoli e importanti per il nostro animo, Seneca presuppone che lo si possa sprecare agendo altrimenti.
    Ma questo non è vero in generale: qualunque azione -- anche la più stupida, anche la più banale -- ha una sua dignità, non può essere considerata spreco in assoluto; questo perchè, comunque, non è stata fatta invano.
    Permarrà nella nostra memoria, a livello conscio nel ricordo, sarà viva ed eserciterà il suo condizionamento sulle nostre scelte presenti.
    Il tempo passato comunque non è morte.

    La considerazione di Seneca ha senso solo se associata ad un giudizio di valore sulle nostre azioni: implica così la discesa sul piano dell'eticità, della moralità -- un piano che è al di là del tempo, che è dominio dell'assoluto.
    A questo punto però poco importa se il tempo fugge: dobbiamo comportarci come si deve (in senso stoico) qualunque sia la quantità di tempo a nostra disposizione, piccola, grande, infinita.
    Ultima modifica di L33T; 30-06-2003 alle 12:51:32
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  8. #8
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    Inviato da L33T
    So dove voleva arrivare Seneca, ma continuo a sostenere quanto ho scritto nell'altro post.
    Rifletti: sostenendo che dobbiamo sfruttare il tempo in azioni meritevoli e importanti per il nostro, Seneca presuppone che si possa sprecare il nostro tempo agendo altrimenti.
    Ma questo non è vero in generale: qualunque azione -- anche la più stupida, anche la più banale -- ha una sua dignità, non può essere considerata spreco in assoluto; questo perchè, comunque, non è stata fatta invano.
    Permarrà nella nostra memoria, a livello conscio nel ricordo, sarà viva ed eserciterà il suo condizionamento sulle nostre scelte presenti.
    Il tempo passato comunque non è morte.

    La considerazione di Seneca ha senso solo se associata ad un giudizio di valore sulle nostre azioni: implica così la discesa sul piano dell'eticità, della moralità -- un piano che è al di là del tempo, che è dominio dell'assoluto.
    A questo punto però poco importa se il tempo fugge: dobbiamo comportarci come si deve (in senso stoico) qualunque sia la quantità di tempo a nostra disposizione, piccola, grande, infinita.
    Ci sono anche da considerare un paio di fattori probabilmente essenziali per capire il pensiero di Seneca. Da un lato c'è la netta contrapposizione come già detto) tra otium e negotium, cioè tra una parte prettamente materiale e un'altra prettamente spirituale. In questo senso forse commette l'errore di associare in toto l'otium al tempo. Un altro fattore fondamentale è il suo intento nell'indirizzare Nerone, che non era certo un angioletto mansueto. Indirizzarlo più agli aspetti spirituali che non materiali, per calmare i suoi bollenti spiriti, era evidente da tutte le sue opere.
    Andando oltre questo però, è possibile supporre che Seneca pensasse realmente quello che ha scritto, indipendentemente dai cari condizionamenti del suo tempo. Il fatto che ogni azione abbia la sua importanza è parzialmente reale. Dico parzialmente perchè in sostanza si rifà alla famosa domanda per la quale dovrebbe valere più il rimorso o più il rimpianto. Questo dipende ovviamente dalla variabile sensibilità di ciascuno di noi, senza però togliere che un fattore oggettivo di fondo possa sempre esserci. In pratica, quello che ci interessa del nostro agire si riduce a due elemnti: se la nostra azione è andata a buon fine e se ci ha resi soddisfatti, appagati. In questo senso si può ritenere che per Seneca le uniche azioni che rendessero appagamento fossero le attività intellettuali, volte all'elevamento dell'animo. Ed è su questo che si può incentrare forse il dibattito. E' solo questo che può appagarci?
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  9. #9
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    Anche se in effetti Seneca si era avvicinato nella pratica al precetto epicureo del "vivi nascosto" nei suoi ultimi anni, comunque non ha mai rinnegato la necessità che il saggio agisca per il bene della patria: e, seppur particolare, questa è una forma di negotium, degna di ammirazione quanto molte manifestazioni dell'otium.
    Inoltre, si ritiene che le lettere siano state composte tra il 62 il 65 (62-65, 63-64.. ci sono varie teorie), dunque dopo il ritiro di Seneca dalla vita pubblica, e quindi dal suo ruolo di guida di Nerone.
    Non che queste precisazioni cambino qualcosa: è giusto per amor di precisione, appunto

    Appena ho tempo rispondo al resto.
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  10. #10
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    Intendevo dire che, indipendentemente da quando le abbia scritte, il suo pensiero è stato comunque influenzato da quel contesto; e che l'attivismo per la patria era sempre indirizzato al concetto dell'imperatore-filosofo (quale sarà Marco Aurelio)
    Comunque la domanda principale era: è solo l'attività spirituale che può soddisfarci senza quindi pensare di aver sprecato il nostro tempo?
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  11. #11
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    Non che queste precisazioni cambino qualcosa: è giusto per amor di precisione, appunto

    Appena ho tempo rispondo al resto.


    Devo studiare per l'orale, fino al tardo pomeriggio proprio non posso risponderti per esteso
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  12. #12
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    Devo studiare per l'orale, fino al tardo pomeriggio proprio non posso risponderti per esteso
    Devo studiare anch'io o_O
    Stasera do un'occhiata, tanto non credo che in molti possano intromettersi nella discussione
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  13. #13
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    Temo che, oltre a "dipende", non ci sia altra risposta.

    Se infatti, in una ottica coerentemente stoica, la risposta è chiaramente sì (dobbiamo solo fare il nostro dovere, e solo facendolo ci possiamo sentire appagati), non è lo è in decine di altri casi: possiamo porre il fine della nostra vita nella felicità, nel piacere, nella ricerca della bellezza: il giudizio sulla utilità delle nostre azioni varia di conseguenza.

    Mi chiedo comunque se la stessa domanda abbia davvero senso.
    Se, infatti, a livello ideale possiamo giudicare certe cose spreco di tempo, in base ai nostri valori, è comunque perchè quelle stesse cose le abbiamo fatte, ed anche in base ad esse abbiamo maturato gli stessi valori che ce le fanno rifiutare (pensa a quando Seneca avverte Lucilio dei pericoli della folla: come potrebbe essere certo che entrare nella folla è inutile e pericoloso, se non ne avesse mai fatto esperienza?)
    Sono dunque cose inutili, spreco di tempo, e tuttavia necessarie: paradossale
    Forse, come ho già detto, non esiste un vero spreco di tempo
    Ultima modifica di L33T; 30-06-2003 alle 20:18:14
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  14. #14
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    Beh, probabilmente c'è il riferimento al perpetrare nell'errore, il continuare ad eseguire determinate azioni che, dopo la prima volta (d'esperienza), ci portano a sprecare il nostro tempo. Se la folla è così pericolosa come dice Seneca, basta addentrarcisi una volta sola per riuscire a capirlo.
    L'idea che ogni azione per ciascuno abbia un valore diverso però, la condivido. Probabilmente è comunque l'azione ripetuta a provocare la sensazione di spreco del tempo: la monotonia, il condurre una vita segnata solo e sempre dagli stessi atti. E probabilmente ancora ciò che vedeva lui era solamente uno spaccato del suo tempo: i ceti più ricchi conducevano una vita meno piatta, mentre la plebaglia non articolava il proprio tempo oltre la famiglia e il lavoro (res commercii e patria potestas). Seneca apparteneva al primo gruppo e probabilmente inconsciamente aveva una qualche forma di distacco verso quella monotonia dei ceti subalterni. O più semplicemente considerava che ciascun uomo avesse la possibilità e il tempo per dedicarsi allo spirito (o, meglio, all'intelletto), cosa che difficilmente per i cittadini romani poteva accadere, fra coltivazioni, guerre e scompigli nella stessa città.
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