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Medioriente: la rivincita di Bush
di Medialab
In 2 mesi ha cancellato un regime e riavviato un processo di pace interrotto da 10 anni
Non c’è niente da fare; solo gli americani hanno l’autorevolezza per imporre l’avvio di una seria trattativa di pace in cancrena da anni. on poteva essere diversamente visto che quella a stelle e strisce è l’unica diplomazia che conta qualcosa sulle rive del Giordano.
Bush era partito per la guerra in Iraq contro la gran parte dell’opinione pubblica mondiale, compreso chi scrive e frettolosamente definita superpotenza dal Times, contro l’Onu e buona parte del mondo.
Aveva detto che dopo la guerra in Iraq si sarebbe dedicato al conflitto israelo-palestinese ed è stato di parola. Veniva deriso, dicevano fosse un cafone texano. Invece il cafone texano, facendo travasare un pò di bile ai suoi detrattori, in 20 giorni ha cancellato un regime cancro del Medioriente con la forza militare e con i dollari e due mesi dopo ha fatto in modo che i due leader palestinese e israeliano, dopo 10 anni, si stringessero la mano.
Certo, il difficile comincia adesso, ma c’è ancora qualcuno che ha voglia di prendere in giro Bush? Mentre il ministro della difesa francese De Villepin confabulava con Arafat senza essere ricevuto da Sharon, Bush scorrazzava per l’Europa in lungo e in largo decidendo con chi, dove e quando parlare. Acclamato in Polonia, nuovo cavallo di ***** per l’entrata Usa nella fragile Europa, tirato per la giacchetta in Russia dall’amico ritrovato Putin, ascoltato con attenzione in Egitto da un pugno di leader arabi chiusi nella loro roccaforte d'oro difesa dallo zio Sam, infine impresso nella storia con la stretta di mano dei leader della Terra Santa.
In una pausa di questo tour, Bush ha presenziato brevemente anche al G8, pantomima inutile e ridicola: i problemi si risolvono in altre sedi e comunque nulla si muove senza la potenza a stelle e strisce, che piaccia o no. Un incontro, quello di Aqaba, che potrebbe anche essere ricordato come uno dei tanti tentativi di pace andati a vuoto, comunque è significativo l’impegno, la volontà e il cammino intrapreso.
Significativo anche il luogo scelto per l’incontro, quella Giordania creata sulla carta da Churchill dopo la prima guerra mondiale, indicata in quegli anni come uno stato potenzialmente esplosivo, dalla vita breve. Invece il regno Hascemita governato dal giovane Abdullah (che differenza con il suo omologo siriano), si è sempre rivelato, ad oggi, come uno dei paesi più stabili del Medioriente, pur tra mille difficoltà e senza poter contare su risorse naturali pregiate ampiamente disponibili in altri paesi arabi.
L’amministrazione americana, nuovo vicino di casa mediorientale con la conquista irakena, avrà ora a che fare con l’intransigenza di Hamas (Mazen ha svenduto il suo popolo dichiarava ieri), che senza intifada non esisterebbe più e con l’integralismo di chi protegge le colonie, una ventina da smantellare subito, un centinaio più tardi. Per non parlare delle prossime tappe: profughi, confini, vicini belligeranti e Gerusalemme.
Per le difficoltà c’è solo l’imbarazzo della scelta, è certo però che gli Usa di Bush si sono conquistati sul campo il diritto a trattare in prima fila. Conviene anche a Mazen e Sharon non scherzare, perché Aqaba ha segnato uno spartiacque, i giochetti non verranno più tollerati dallo zio Sam in odore di campagna elettorale. Meglio quindi approfittare della dedizione degli Stati Uniti prima di correre il rischio di essere affidati tra le mani incapaci e inconcludenti della diplomazia europea.
Al momento del bisogno, i leader palestinese e israeliano non saprebbero che numero di telefono comporre per chiamare l’Europa.
MEDIALAB