Continua la mia fatica per portare alla conoscenza di voi tutti le stragi partigiane sepolte e mai trattate nei libri di Storia ufficiale.
MONTE MANFREI: STORIA DI UN OLOCAUSTO
Dalla Valle dell’Orba li concentrarono all’albergo Appennino di Palo e poi da Palo per Vairana Pianpaludo li condussero versoVara Inferiore da dove, per una mulattiera tra i boschi, giunsero nella casa denominata Villa del Rostiolo in località La Romana. Una grande casa a tre piani più il solaio ed una lì accanto più ridotta. Altri per giungere alla “Villa” vennero lungo la provinciale Rossiglione, Martina Urbe, S. Pietro. Per almeno 48 ore rimasero lì rinchiusi, ed intanto quelli della Brigata Buranello, secondo gli ordini di Don Domenico Patrone, detto “Triste”, e con l’assistenza di “Mingo” capo di stato maggiore dell’omonima banda che operava tra Crevari e l’Alta Valle dell’Orba, preparavano le fosse. Alcune subito accanto alla villa, altre a Monte Manfrei, Fossa Grande, a La Bugastrella, Bricco Mondo, e più tardi, a casa dei Lencini, Casa Barbon, loc. Maietti, loc. Bricco Dano, loc. Pian della Castagola, loc. Pelucco, loc. Terracina, loc. Bricco del Porco, loc. Tuma, loc. Canai, loc. Meia delle Anime, Ca’ Barbaona, Bric Fratin, Pian di Blo, Ciapela, Civin, Roncazzi, Casa Polenta. Prima dell’alba del terzo giorno vennero avviati a gruppi verso le zone situate tra La Romana ed il Passo del Faiallo. Avevano le mani legate ed una corda ai piedi che ne limitava il passo e raggiunsero le varie località attraverso la zona del Dau per evitare i vicini abitati di Vara Inferiore e Superiore. Giunti sulle fosse, i primi vennero fatti sdraiare a costruire il primo strato, ed uccisi. I successivi vennero falciati dalle mitragliatrici allo scopo predisposte. E si compì la strage. Cominciava la “grande mattanza” delle “radiose giornate”.
Le fosse rettangolari erano state scavate nel sottobosco e poi facilmente mimetizzate con le foglie che ricoprivano il terreno. Ma non tutti morirono di piombo; molti furono finiti con i calci dei fucili ed alcuni seppelliti vivi, come accerteranno i Carabinieri che anni dopo eseguirono le esumazioni. Così ebbe termine la vita terrena di oltre 200 Marò di San Marco appartenenti al Presidio di Sassello (I Cp. del 1°/5° Rgt.), alla Colonna Leggera, al 3° Rgt. Art., alla Cp.C. del 5° Rgt. della Divisione Fanteria di Marina della RSI.
Altre vittime della banda Mingo si aggiunsero: Angela Biondi e Maddalena Patrone, il S. ten. Romano, 34 civili, numerosi soldati germanici, tutti portati nell’Alta Valle e trucidati, seppelliti perfino nelle mangiatoie delle cascine abbandonate.
La strage del Monte Manfrei costituisce una delle pagine più fosche delle FF.AA. repubblicane e toccò ai San Marco scriverla. Era iniziata l’operazione “nebbia artificiale”, erano gli ultimi giorni della guerra, il nemico già invadeva Bologna e straripava nella Pianura padana, tagliando la via Emilia; il grosso della divisione si apriva la strada combattendo verso il Po e oltre. I battaglioni al fronte ripiegavano con le grandi unità cui erano aggregati, mentre i piccoli presidi rimanevano isolati e circondati dalle bande. Si creò così un’atmosfera di incertezzae di angoscia: i partigiani “garantivano” la consegna agli angloamericani avanzanti, l’onore, delle armi, il “siamo tutti fratelli”, i preti locali avallavano. Non c’erano più contatti con il resto della divisione, i giovani soldati rendevano le armi segnando così il loro tragico destino.
Nel dopoguerra il sindaco di Urbe, dott. Giulio Zunini, d’intesa con la Signora Noemi Serra-Castagnone delegata dell’associazione Famiglie Caduti e Dispersi della RSI, con l’ausilio dei carabinieri, inizia la ricerca delle fosse. Impresa quanto mai ardua sia per la natura del terreno pieno di forre, burroni, boschi, pietre, sia per la forte omertà che circonda gli assassini che minacciano e terrorizzano la popolazione che si trincera quindi dietro un muro di silenzio e di paura. Vengono individuate dapprima 50 fosse (segnalazione del Comune nel luglio 1948). Nell’aprile 1955 i Carabinieri confermano che nel territorio esistono altre fosse di cui non si conosce l’esatta ubicazione e che, quindi, sembrerebbe impossibile il recupero delle Salme che si sa essere di giovani San Marco. Nel settembre del 1956 vengono eseguite inumazioni dalle fosse reperite. Vengono recuperate 61 salme che sono tumulate nel Sacrario di Altare.
Il Sindaco rimette ai parroci una circolare da leggere ai parrocchiani durante la Messa con l’invito; “chi sa, parli”. Invano. Per anni un ufficiale della Guardia, il dott. Ernesto Grosso, fruga la montagna, cerca, interroga: niente. Gli assassini sono ancora sul posto, la gente non parla.
Nel 1958 sul Monte Manfrei venne eretta, ad iniziativa del dott. Zunini, sempre con la collaborazione della Castagnone e con l’approvazione del Commissariato Onorcaduti del Ministero della Difesa, una croce in memoria dei trucidati, croce quasi subito recisa da chi teme il ricordo dei vivi. Nel 1984, sempre lo Zunini, coadiuvato attivamente dalla nostra Rosa Melai e dalle Fiamme Bianche di Genova, fa erigere un’altra Croce salda e solitaria sullo spiazzo erboso. Viene inoltre rifatto il cippo in memoria dei Marò e degli altri Caduti e vengono applicate due targhe. Sull’affusto di metallo il 16 giugno 1985, le Fiamme Bianche appongono la loro struggente preghiera. Il 26 giugno 1993 viene aggiunta una iscrizione rievocativa del drammatico evento.
Gli uomini di San Marco debbono salire a Monte Manfrei. Se Altare è la “casa” dei nostri Caduti e la nostra Patria, Monte Manfrei è il luogo dell’olocausto che non ha riscontro in nessuna altra unità delle FF.AA. repubblicane, sul triste esempio delle foibe carsiche e degli eccidi perpetrati dagli slavi. Ci debbono andare con umiltà, in silenzio ed in punta di piedi come se entrassero in una cattedrale di morte. Ogni zolla , ogni radice, ogni pietra è intrisa dal sangue dei Soldati di San Marco. I boschi, i dirupi, le forre, i sentieri, immersi in un silenzio spettrale, sussurrano l’eco della strage. E si avverte il respiro soffocato dei nostri Morti; l’ultimo Loro grido angoscioso parla alle nostre anime e ci prega di non dimenticare, di non abbandonare alla loro solitudine questi Soldati “ignoti a noi ma noti a Dio”. La Croce si alza solitaria sulle fosse custodite ormai solo dalla montagna gelosa del suo segreto, ma i giovani che si raggruppano intorno al nostro Leone, debbono “sentire” Monte Manfrei che noi affideremo loro, così come noi “sentimmo“ il Carso che ci affidarono i nostri padri.
Cesare Brenna