Bossi: "La capitale è Milano, non Roma"
Sulla Padania, il Senatùr attacca: "Il governo dovrebbe stare al Nord e il Parlamento tra Venezia e Torino". Insorge Veltroni: "Berlusconi lo fermi". Storace: "Lasciatelo ululare".
ROMA - C'era da aspettarselo: Umberto Bossi non è affatto pacificato dal varo della "riforma federale", battezzata martedì dopo un tira e molla estenuante tra le varie anime del centrodestra, né si fa condizionare dalle raccomandazioni quirinalizie ad "usare la ragione più che i risentimenti nazionalistici". Semmai il Senatùr si preoccupa di più (o solo) della brutta aria che tira in casa sua. Voci di dissenso e di irritazione, mugugni di una base, quella lumbard, che non ha digerito certe scelte compromissorie sul disegno di legge di riforma costituzionale che contiene anche il federalismo e la devoluzione. Se ne è accorto Bossi, che il boccone di "Roma Capitale", una specie di decapitazione definitiva del leghismo, è durissimo da mandare giù per i fedelissimi di verde vestito. Ed è corso, come lui sa fare, ai ripari, cioè ricorrendo al linguaggio crudo e tagliente che gli è valso il soprannome di Braveheart padano .
L'intervista rilasciata oggi alla Padania è un concentrato di dichiarazioni celoduriste, anticipazione di quelle che il Senatùr userà domenica nel comizio a riva degli Schiavoni. Nel giorno del suo sessantaduesimo compleanno, Bossi fa la festa all'Italia unita, rispolvera gli slogan da battaglia e accarezza il sogno secessionista. Parla insomma ai massimalisti del suo partito, anche per sedarne gli animi e le tentazioni rivoltose che potrebbero esplodere nella festa di Venezia. Fino a ridisegnare la mappa dei palazzi di potere della Penisola: "Per me la Capitale è Milano, non Roma. Il governo dovrebbe stare al Nord, a Milano, e il Parlamento tra Venezia e Torino, o il contrario".
Come gli capita spesso, il leader leghista ricorre anche a immagini storiche per colorire il concetto. "E' la continuazione di uno degli errori principali fatti dai Savoia e da Garibaldi. E' incredibile come i massoni, che erano nati per ammazzare il Papa, arrivati a Roma - invece di fare i fatti - si siano messi a banchettare con l'Oltretevere. E' un banchetto che dura da oltre 150 anni. Dovevano lasciarla a Firenze la Capitale, meglio ancora a Torino. Dovunque ma non a Roma dove c'é già un re: il Papa".
Abbastanza per scatenare un'onda di reazioni lungo il Tevere, nonostante Tajani, luogotenente di Forza Italia a Roma, minimizzi il tutto. Il primo a reagire è Walter Veltroni che, a stretto giro di agenzie, accusa il ministro delle Riforme istituzionali di ignorare "di aver giurato su una Costituzione nella quale c'é scritto che Roma è la capitale dell'Italia". Di qui l'appello a Berlusconi perché metta un freno a certe esternazioni. Nella replica a Bossi, il sindaco capitolino non fatica per trovare la sponda di An, se è vero che proprio il partito di Fini è un altro bersaglio degli strali leghisti. Perché, a sentire l'Umberto, "quello di Fini non è certo un partito del Nord ma si identifica con il comando romano, da antica data".
La reazione di Francesco Storace è però volutamente ridotta all'osso: "Bossi? Lasciatelo ululare". "Mi interessa - sostiene il governatore del Lazio - di più quel che vota in consiglio dei Ministri. Proprio le dichiarazioni di Bossi sono la migliore conferma che la sinistra sbagliava nei giorni scorsi a parlare di vittoria di Bossi e che abbiamo avuto ragione noi nel sostenere che la partita sul futuro della capitale conviene giocarla direttamente tra Comune di Roma e Regione Lazio".
(19 SETTEMBRE 2003, ORE 11:30, aggiornato ore 12.00)