Il 13 dicembre manifestazione per la “resistenza” irachena con preti, nazi e no global (il foglio)
Roma. Se la “resistenza” irachena chiama, non è il momento di fare gli schizzinosi. Rispondono così, a chi li accusa di essersi mescolati con esponenti della destra estrema e negazionista, i promotori della manifestazione del prossimo 13 dicembre in sostegno del “popolo iracheno che resiste”. Scadenza che si sta trasformando nel laboratorio di un’alleanza solo apparentemente insolita, ma che altri segnali indicano come emergente. La corrispondenza d’amorosi sensi antiamericani che schiera sulla stessa trincea esponenti della destra estrema e altermondialisti oltranzisti è la stessa che, in tutti i paesi europei, sta sperimentando anche altre spericolate convergenze. Come quelle che alimentano il nuovo antisemitismo denunciato dal rapporto dell’Osservatorio su razzismo e xenofobia dell’Unione europea, prima commissionato e poi nascosto, le cui conclusioni sono trapelate nei giorni scorsi. Il prossimo 13 dicembre, così, vedremo uniti nella lotta contro l’America, attore diabolico nel conflitto mediorientale e minaccia permanente alla pace mondiale, gli ultras trotziksti del Campo antimperialista ed editori di estrema destra come Claudio Mutti, islamisti come Isabella Camera d’Afflitto ed ex lepenisti convertiti al “comunitarismo” come Maurizio Neri, storici conservatori come Franco Cardini e marxisti ortodossi come il filosofo Domenico Losurdo, Mara Malavenda, pasionaria dei Cobas, e Luigi Tedeschi, direttore della rivista di destra estrema Italicum, Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e Roberto Hamza Piccardo, dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia (che ha aderito a titolo personale, dopo che la sua associazione ha fatto un passo indietro). La composita compagnia auspica “la sconfitta degli occupanti angloamericani”, vista come “una vittoria per tutti coloro che nel mondo lottano per la democrazia, l’autodeterminazione e la libertà dei popoli che non vogliono essere sottoposti al giogo imperiale”. Le critiche di chi ha bocciato l’iniziativa, denunciando le relazioni pericolose alla sua base (lo hanno fatto, tra gli altri, Liberazione e il Manifesto) non turbano i promotori: “L’appello sta circolando in rete in modo massiccio. Cosa dovremmo fare, chiedere la storia politica di ogni firmatario? Accoglieremo a braccia aperte tutti quelli che vogliono unirsi a noi per sostenere la causa della liberazione dell’Iraq dagli occupanti, anche coloro che fino a l’altro ieri fossero stati dalla parte sbagliata. Così come tanti ex-compagni si sono messi al servizio della borghesia, è ammissibile, anzi auspicabile, che avvenga il processo inverso, soprattutto tra i giovani proletari che oggi militano tra le file dell’estrema destra fascista e razzista”, scrivono i responsabili del Campo antimperialista. Sono loro il motore dell’iniziativa del 13 dicembre. Si autodefiniscono “rete internazionale che raggruppa più di cento movimenti di liberazione, partiti rivoluzionari e associazioni di lavoratori e di oppressi”. Sono loro che hanno lanciato la campagna di raccolta di fondi “10 euro per la resistenza irachena” (il portavoce, Moreno Pasquinelli, ribadisce che “non è affar nostro sapere come li utilizzeranno. Potranno stampare giornali o comprare armi, per noi va bene”) [aggiungo io ] . La storia del Campo arriva da lontano, e l’intreccio iniziale con il movimento pacifista ha determinato la scelta di Assisi come sede, anche se non ha impedito che l’Associazione culturale di Hezbollah fosse invitata permanente e gradita. A sua cura erano, nel 2000, la sessione plenaria dedicata a “Islam e nuovo ordine mondiale” e il forum sulla “resistenza libanese contro il sionismo”. Quest’anno, naturalmente, il Campo si è occupato del “popolo iracheno che resiste”. Star dell’edizione sono stati Jehad Hussein, “un feddayn che ha partecipato alla difesa di Baghdad”, Awni Al Kalemji, definito “primo rappresentante all’estero della resistenza”, e il messicano Miguel Guillermo Martinez, ex miliziano e addestratore di gruppi paramilitari di estrema destra sudamericana, collaboratore dei negazionisti di Al-Awda Italia. Oltre al solito padre Jean-Marie Benjamin, capofila di quelli che pensano che in Iraq si stava meglio quando si stava peggio. Il sacerdote francese, che vive ad Assisi, assai poco francescanamente ha spiegato l’attacco alla sede Onu di Baghdad: “Il Consiglio di sicurezza non ha trovato il coraggio di pronunciare una sola parola di condanna per le menzogne relative alle armi di distruzione di massa e l’aggressione militare contro uno dei paesi membri fondatori delle Nazioni unite. Infine, l’accettazione del governo provvisorio di Baghdad… è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Genuina ispirazione antifascista? Negli ultimi giorni, incalzati anche dalle perplessità di numerosi compagni, i padrini della manifestazione hanno reagito ribadendo la loro genuina ispirazione antifascista. Probabilmente non hanno letto cosa ne pensa uno dei firmatari dell’appello, il già citato Claudio Mutti. Parmense, animatore delle Edizioni del Veltro, convertito all’islamismo e studioso di tradizioni popolari, Mutti proviene dal vivaio di Jeune Europe, formazione della destra “comunitarista” fondata negli anni 60 dal belga Jean Thiriart, ex combattente delle Waffen-SS. In un articolo pubblicato sul sito gerarchia.it, Mutti spiega che considerare antifascismo e antimperialismo come termini conciliabili è né più né meno che una manifestazione di ottusità: “Espressioni come queste hanno preso a circolare di recente, dopo che qualcuno ha lanciato l’idea di organizzare, a sostegno dell’Iraq, una manifestazione senza pregiudiziali ideologiche”. E’ noto, scrive Mutti, che “la ‘Resistenza’ antifascista è stata un movimento collaborazionista al servizio dell’invasore angloamericano, un movimento che ha contribuito a consegnare l’Italia al capitalismo imperialista”. Del resto, osserva, “l’azione partigiana degli antifascisti” è stata “appoggiata e finanziata dagli imperialisti occidentali”. E conclude: “Grazie a Dio, ben presto il Maresciallo Stalin li avrebbe costretti, questi ‘uomini che si proclamano rivoluzionari’, a rinnegare la loro fiducia nell’‘Inghilterra plutocratica’ e nell’‘America trustistica’. Ma quelli, tra i loro figli e nipoti, che oggi salgono in cattedra a impartire lezioni di antimperialismo, a esigere credenziali e a imporre pregiudiziali, a respingere sdegnati ogni ipotesi di fronte comune coi neofascisti veri o presunti, farebbero bene a studiare la storia della loro famiglia e a rifletterci sopra. E almeno ci risparmino l’ottusa insensatezza dell’imperialismo antifascista”. Buona manifestazione a tutti.