Dunkirk – Recensione

Capita che ci sia quel cinema che impatta su di te a livello viscerale. Capita che ci sia quel cinema che non ti colpisce con le parole, ma con le immagini. Capita che quel cinema sia orchestrato da una persona che risponde al nome di Christopher Nolan.

Dunkirk è la prosecuzione artistica di quanto iniziato con Inception, massima espressione del cinema quale strumento per influire sulla nostra mente attraverso le immagini. Come un flusso ipnotico, o un incantesimo. In Dunkirk rivivono tutte le ossessioni del regista inglese, ma il film rappresenta anche una sostanziale evoluzione del suo linguaggio e del potere espressivo della sua arte.

Occorre prima fare una piccola premessa per capire come e perché Nolan abbia deciso di raccontare questa storia. Dunkirk infatti non è la cronaca di una vittoria, quanto piuttosto di una clamorosa sconfitta, se vogliamo. Durante una delle fasi più critiche della Seconda Guerra Mondiale, i soldati inglesi e francesi, battendo in ritirata, furono costretti a stanziare sulla baia di Dunkerque, Francia, alla completa mercé degli aerei della Luftwaffe. Dato che l’Inghilterra non poteva salvare i sopravvissuti con la sua flotta, impegnata in altri luoghi strategici, fu lanciata una chiamata alle armi per tutti i possessori di imbarcazioni dall’altra parte della Manica, che andarono in soccorso dei soldati anche a bordo di vascelli non omologati per il mare. Quella che tutto sommato fu una ritirata in grande stile, quindi, venne trasfigurata dal retore Churchill in una schiacciante vittoria “mediatica” per gli Alleati. Ancora una volta nel cinema di Nolan troviamo la metafora di una verità sfuggente, di simboli pronti a essere manipolati in nome di uno scopo più grande. Vi torna in mente un certo Cavaliere Oscuro e la sua ossessione per i pipistrelli?

Dunkirk, e ve lo diranno tutti, è un film asciuttissimo dal punto di vista della sceneggiatura, eppure le poche parole che vengono pronunciate vi rimarranno impresse come un marchio a fuoco, a ennesima dimostrazione (non necessaria) dell’abilità di Nolan di creare dialoghi iconici.

E del resto le ore del film passano velocissime, perché il racconto viene veicolato principalmente tramite un montaggio regale e un sound design ai limiti del doloroso. Fin dai primi momenti del film, i rumori degli spari, o i boati delle bombe sganciate, risveglieranno in voi quell’atavico terrore che, fortunatamente, noi che abbiamo la fortuna di vivere in questa parte del mondo non proviamo da molto tempo. Dunkirk è l’antitesi del cinefumetto e della banalità imperante degli sparattutto: ogni proiettile è una storia, ogni esplosione una vita che se ne va, o una vita miracolosamente salvata. Non ci sono supereroi nella guerra secondo Nolan, solo semplici eroi, uomini ancora prima che soldati. È interessante il ribaltamento che opera la pellicola, che poi prende le mosse direttamente dall’episodio storico. I veri eroi del film, ancora prima che i soldati, sono coloro che sono partiti dall’Inghilterra con le loro imbarcazioni, rispondendo non alla patria, ma al proprio dovere di essere umani. Anche qui, le somiglianze con il finale del Cavaliere Oscuro si sprecano.

Uno degli episodi più belli è quello legato al personaggio di Cillian Murphy, attore feticcio di Nolan, che mostra proprio l’insensatezza della guerra e i suoi drammatici effetti sulla psiche umana. L’assurdità della guerra e la sostanziale banalità della tragedia umana è lo sfuggente convitato di pietra di Dunkirk, incarnato precisamente nel personaggio del soldato francese che si spaccia da soldato inglese per potersi guadagnare un passaggio sulle imbarcazioni. Grazie alla presenza in scena di questo scellerato mutaforma, che non spiccica una parola d’inglese, Nolan sembra volerci dire che in guerra non siamo altro che vittime dei nostri ruoli, e che alla fine di tutto chi siamo e la nostra nazione di appartenenza non hanno alcun senso, accomunati come siamo da una sofferenza che assurge a una dimensione cosmica.

Sarebbe quasi pornografico soffermarsi su quanto il film sia bello da vedere, ma d’altronde bisogna rendere omaggio al lavoro di fotografi e scenografi, che sono riusciti a rendere la sporcizia e la crudezza di un’ambientazione come la baia di Dunkerque, e ovviamente alla maestria di Nolan, con alcune inquadrature che potrebbero essere tranquillamente scambiate per quadri. Il film lavora abilmente di sottrazione, quasi minimalista nelle sue intenzioni, rispettoso nel raffigurare un luogo così circoscritto eppure così cruciale per le sorti del nostro mondo così come lo conosciamo. In questo Nolan è aiutato dalla sua capacità di raccontare una storia attraverso diversi piani, un po’ come avveniva in Inception con le diverse dimensioni del sogno. Dunkirk infatti si svolge per terra, per mare e per aria, e ognuno di questi strati ha i suoi protagonisti (tra cui un gigantesco Tom Hardy) e il suo svolgimento, che confluiscono inevitabilmente nel finale.

Nolan si conferma uno dei più grandi artisti del nostro tempo, capace non soltanto di giocare con i suoi temi, ma anche di reinventarsi come autore e di affrontare sempre nuove sfide, pur mantenendo una coerenza tematica con la sua carriera. Dunkirk è una pellicola dal realismo crudo e straziante, che alla fanfara hollywoodiana preferisce il rispetto e il rigore del Cinema d’autore, rispondendo alla vacuità dell’intrattenimento seriale con un capolavoro che non è destinato a passare come una meteora, ma piuttosto a restare come monito per le future generazioni.