Coco – Recensione

Coco

In un momento dove il cinema live-action sta assomigliando sempre più al cinema d’animazione (e non sempre necessariamente per il meglio), è bene interrogarsi su quello che significa raccogliere oggi l’eredità di Walt Disney. Per molti anni, (Disney) Pixar è stata l’alfiere dell’animazione sperimentale, quella che con film come Wall-E e Up non ha mai avuto paura di mostrare tematiche delicate adottando linguaggi complessi, riuscendo sempre a coinvolgere un pubblico molto più ampio rispetto ai bambini lasciati di fronte al lettore DVD o Blu-ray. Queste sperimentazioni hanno permesso all’animazione di crescere, superando i limiti espressivi del 3D fino a commuoverci come, ormai, pochi film in live-action riescono a fare. Negli ultimi anni, tuttavia, Pixar sembrava essersi un po’ persa, regalandoci sequel (e IP originali) tutto sommato ottimi, ma meno coraggiosi di un tempo.

Coco

[quotesx]Coco segna il ritorno della Pixar di un tempo[/quotesx]Dopo questa pedante introduzione, sono contento di poter dire che sì, Coco segna il ritorno della Pixar di un tempo. E non potrebbe essere altrimenti. La casa di John Lasseter ci ha sempre abituato alla formula dell’avventura ambientata in universi così lontani eppure così vicino al nostro, siano essi il baule dei giocattoli, l’oceano o la mente umana. In Coco, invece, il regista Lee Unkrich ha deciso di farci vivere quella che Peter Pan definiva la più grande delle avventure: la morte. Già la scelta del tema è di per sé una dimostrazione di grandissimo ardire da parte di Pixar, ma è la delicatezza e la poesia con cui viene trattato a rendere Coco un piccolo, grande capolavoro. Pixar è infatti uno dei pochi studi di animazione mainstream che riesce a coniugare perizia tecnica e profondità della sceneggiatura, in una sinfonia meravigliosa dove entrambe le parti cantano tra di loro all’unisono. Non parliamo di canto a sproposito: perché in Coco di musica ce n’è tanta, sebbene non lo si possa definire un musical tradizionale in stile La bella e la bestia, in quanto le parti musicali sono integrate nello svolgimento narrativo in una soluzione interessante e scenograficamente valida.

[quotedx]Colori caldi e sfumature latine[/quotedx]Si può dire, tuttavia, che la musica è la vera protagonista, la spinta che muove i personaggi, siano essi positivi o negativi, e dialoga ininterrottamente anche con la stessa scenografia, con colori caldi e sfumature latine il cui calore avvolge lo spettatore come non succedeva dai tempi di Saludos Amigos, vera ispirazione di Coco per scelte cromatiche e atmosfere. Non cito a caso questo classico Disney, perché anche oggi, nel 2017, Disney Pixar è riuscita a costruire un ponte tra le due Americhe usando la potenza dell’animazione. Lo stesso ingresso all’aldilà viene raffigurato come una sorta di dogana, un’immagine incredibilmente potente nel momento storico che stanno attraversando gli USA, con buona pace degli elettori di Donald Trump. Proprio come fece la leggendaria Mary Blair in Saludos Amigos, gli animatori di Disney Pixar hanno viaggiato in Messico per trasporre su carta e software lo spirito di un Paese meraviglioso, troppo spesso vittima degli stereotipi di una certa narrativa che non rende giustizia a un popolo che avrà anche poco, ma che ha molto da insegnarci sui valori che veramente contano nella vita.

Coco

[quotesx]Coco parla della vita[/quotesx]Da originario della Colombia, terra che con il Messico ha diversi punti di contatto, ho apprezzato moltissimo il rispetto e la sensibilità con cui è stata trattata la diversità culturale, che viene sempre esaltata nella sua straripante gioia di vivere senza mai scadere nella macchietta. Già, vivere: perché Coco, essendo un film che parla della morte, finisce inevitabilmente per parlare della vita, mostrandoci questi due aspetti come indissolubilmente legati, e usando il ricordo e la nostalgia come unico mezzo per rendere sopportabile il distacco con le persone che ci sono più care. Il tema della famiglia è centrale in Coco, e non potrebbe essere altrimenti se guardiamo alla sua eredità culturale sudamericana. La famiglia vista come ultimo rifugio della tradizione, una difesa dall’esterno e dalle sue minacce: inevitabilmente la tradizione ha un grandissimo peso all’interno di Coco, a dimostrazione di come paradossalmente la risposta al razzismo non sia la promiscuità culturale proposta dai globalisti, ma l’apprezzamento e la ricomprensione delle differenze di ogni civiltà.

Una scansione fin troppo formulaica della sceneggiatura e debitrice degli editti di Lasseter non intaccano più di tanto la freschezza e la vivacità della pellicola che, anzi, riesce a proporci un cattivo veramente fantastico come non se ne vedevano da molto tempo in un film animato. Ormai da Frozen in giù il canovaccio Disney/Pixar ripercorre dei canoni talora fin troppo prevedibili, ma è il prezzo da pagare per un film che deve essere compreso da tutti e risuonare con un pubblico universale. Non si può davvero essere cinici con Coco, un inno alla musica, alla famiglia e, in generale, alla vita, che avvince, commuove ed emoziona. Zio Walt, da quella terra non poi così lontana che chiamiamo Aldilà, sarà sicuramente fiero dei suoi eredi.