1989 – Le conseguenze di alcune sentenze giudiziarie possono risultare talvolta bizzarre, soprattutto quando scaturiscono da processi volti alla tutela dei diritti di immagine: tra spietate ingiunzioni, improbabili passaggi di proprietà e quant’altro è anche capitato che un publisher accusato di plagio sia stato costretto a rivedere il look del progetto incriminato, salvo poi riproporlo sul mercato con un titolo differente.
In quello che è a tutt’oggi riconosciuto come il primo episodio di travestitismo verificatosi in ambito software, un classico del calibro di The Great Giana Sisters si ritrovò così oggetto di una micidiale operazione di lifting, che avrebbe trasformato il suo possibile sequel in un anonimo reboot chiamato Hard’n Heavy.
Concettualmente identico alla sua celebre matrice originale, eccetto che per il design proprio di elementi di scena e sprite animati, il gioco cercava di fugare ogni eventuale assonanza con la propria matrice affidandosi ad un look proto-futuristico tutt’altro che ispirato, il quale avrebbe logicamente compromesso l’appeal dell’intero progetto.
Privato della sbarazzina atmosfera “teenie” adottata da Armin Gessert nella versione originale del codice e orfano della gaudente colonna sonora che ne accompagnava il dipanarsi, il gioco finiva in effetti con l’apparire soltanto come una copia sbiadita del classico che milioni di gamer avevano tanto apprezzato. E ciò non potè che riflettersi negativamente in ambito vendite.
Secondo una cinica leggenda metropolitana, il danno non avrebbe per giunta tardato a partorire la propria beffa: si narra che all’atto di passare al vaglio il risultato di questa discutibile operazione, alcuni esponenti della Nintendo abbiano infatti esclamato: “E’ perfetto! Prima era uguale a Super Mario. Ora sembra Metroid!”.