Stifled – Recensione

Sviluppato dalla software house di Singapore Gattai Games, Stifled è un progetto davvero interessante concepito attorno alle possibilità offerte dalla realtà virtuale. La sua narrativa di tipo non convenzionale ne fa un’esperienza sensoriale/cognitiva speciale. Il mondo in cui saremo immersi in soggettiva, infatti, è per la maggior parte del tempo composto da ambienti neri come la pece; le superfici del terreno e degli oggetti disseminati nello spazio intorno a noi sono delineate da semplici linee di demarcazione bianche, che conferiscono al comparto grafico un look estremamente stilizzato. Per far sì che questi “contorni” si manifestino alla vista è però necessario che ci sia del rumore: le propagazioni delle onde acustiche, incontrando le resistenze degli elementi, disegnano una sorta di wireframe. Questo accade con tutti i suoni diegetici (passi compresi), ma nei momenti in cui non c’è nulla che possa far scattare questo meccanismo simile a un sonar, dovremo usare la nostra vera voce, grazie al microfono integrato nella cavetteria del visore di casa Sony. L’inconveniente? Nel buio, qualcuno (o qualcosa) potrebbe sentirci, seguirci, assalirci.

Un concetto davvero semplice e genuinamente terrificante; il bisogno di prendere possesso della cognizione dell’ambiente in cui ci stiamo muovendo ci spingerà a gridare, con la consapevolezza però che nell’esatto momento in cui lo faremo udiremo in risposta un’agghiacciante verso emesso da misteriose creature che inizieranno a darci la caccia. Queste presenze meritano una menzione speciale, perché sono a tutti gli effetti degli “avatar”, delle icone, qualcosa di archetipico più che veri e propri nemici tradizionali. In tal senso Stifled è davvero stimolante, perché il suo stile estetico così essenziale e a bassa definizione ricorda più il mondo grafico/espressivo dell’era 8-bit che non quello del moderno iper-realismo; tutto ciò che non riesce ad essere percepito in maniera esatta e completa richiede al nostro cervello di riempire per noi gli spazi vuoti concettuali. Un processo “in background” davvero intrigante, e la capacità di innescarlo è probabilmente la maggiore qualità di questa produzione. Stifled è un’ottima idea, realizzata con grande competenza e intelligenza.

Il punto debole di questo concept, però, è proprio quello di essere chiuso in se stesso; per scongiurare l’incombere della ripetitività (e, di conseguenza, della noia), sono state inserite delle sezioni esplorative/investigative in ambienti più tradizionali (leggasi: visibili), funzionali allo sviluppo di una trama, per quanto molto criptica. In queste parti il titolo mostra apparentemente il fianco, palesando la sua natura di produzione a bassissimo budget, ma tutto sommato la povertà grafica delle texture e degli oggetti 3D ha un che di affascinante, perché permette di vivere la curiosa sensazione di essere, tramite realtà virtuale, all’interno di qualche oscuro titolo dell’era PS2. L’esperienza ci terrà impegnati complessivamente per poco più di un paio d’ore, ma questo non è del tutto un difetto considerate le caratteristiche e i limiti del gameplay e del setting. Sicuramente può però essere più che sensato attendere che il prodotto venga messo in sconto per soppesare al meglio il rapporto qualità/prezzo.