Oddworld: New ‘n’ Tasty – Recensione

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Lorne Lanning aveva grandi ambizioni quando, nel 1994, fondò Oddworld Inhabitants insieme a Sherry McKenna. Da grande amante dei videogiochi, voleva dar vita a qualcosa di più vasto e complesso di un titolo generico, il cui seguito magari sarebbe stato deciso solo grazie all’andamento del mercato. Nacque così il progetto Oddworld, pensato come una pentalogia che avrebbe dovuto coprire più campi e generi, senza fossilizzarsi troppo su un solo stile, cercando piuttosto di portare innovazione in un settore che proprio in quegli anni stava vivendo grandi mutamenti.

La prima PlayStation non si scorda mai

Con il tramonto degli home computer e il duopolio di Nintendo e Sega, sempre meno gradito ai publisher occidentali, arrivò Sony a scompigliare le carte con la sua PlayStation. Lorne colse immediatamente l’enorme potenziale offerto da questo nuovo player. Un’intuizione che si rivelò corretta: Abe’s Oddysee prima, e Abe’s Exoddus dopo, si trasformarono in due successoni, grazie a un gameplay solido e per nulla scontato, forte di un protagonista atipico, in grado di comunicare con i suoi simili utilizzando un breve frasario e, soprattutto, lasciandosi andare a liberatorie puzzette. Ciò nonostante, l’atmosfera non era certo allegra. Abe, un umile operaio della RuptureFarms, durante il turno di notte scopriva suo malgrado che le alte sfere (i Glukkon) avevano deciso di trasformare la sua razza (i Mudokon) in un delizioso snack. Da lì in avanti il tutto si trasformava in una costante fuga, prima dai mattatoi e poi in mezzo alla natura selvaggia, dove la trama s’infittiva notevolmente, introducendo elementi mistici e colpi di scena assortiti.

Con le sue sequenze in full motion video particolarmente ispirate e una grafica prerenderizzata davvero di ottima fattura, Abe’s Oddysee era davvero una spanna sopra tutti i platform visti fino a quel momento. Che poi in realtà l’elemento piattaforma era davvero funzionale: più che altro la difficoltà stava nel riuscire a non farsi ammazzare dalle guardie e da una sequela di svariate quanto fameliche creature (Slog, Scrab e Paramiti in testa). Nel contempo occorreva, nel limite del possibile, tentare di salvare i propri simili schiavizzati dal malvagio Molluck, capo dei Mattatoi Ernia. Abe infatti era dotato di un singolare potere, una sorta di cantilena in grado di aprire alcuni portali, seppur limitatamente a luoghi ben precisi. Per riuscirci però occorreva interagire con gli altri Mudokon, utilizzando un linguaggio molto semplice: “ciao”, “seguimi”, “aspetta”, cui più avanti si affiancavano due fischi differenti e… una scoreggia. Del resto, cosa c’è di più universale?

Una delle scene chiave... Abe scopre di essere destinato a qualcosa di più grande dello spazzare il pavimento ai Mattatoi Ernia.
Una delle scene chiave… Abe scopre di essere destinato a qualcosa di più grande dello spazzare il pavimento ai Mattatoi Ernia.

Interessante anche la possibilità di controllare alcuni nemici, una facoltà che poteva tornare utile in determinate situazioni, fra l’altro limitate dall’esistenza di una serie di droni pronti a fulminarci al primo gorgheggio. Già, non fossero sufficienti tutte le presenze ostili sparse per i vari livelli, toccava anche passare attraverso campi minati, fasci elettrici, tritacarne giganti, mine intelligenti e via discorrendo. Insomma, in Abe’s Oddysee si moriva in continuazione, e lo stesso destino non di rado coinvolgeva anche quei poveri Mudokon che provavamo a salvare. E bisognava portarne in salvo almeno 50 per vedere il finale “buono”, mentre con tutti e 99 si accedeva a un video segreto. E vi possiamo garantire che già raggiungere la prima quota non era proprio una passeggiata di salute.

Mudokon non si diventa, si nasce

Con un balzo in avanti di ben 17 anni, ci troviamo ora a parlare di questo remake totale, che ha preso il nome di New ‘n’ Tasty e sul quale ha lavorato anche Lorne Lanning. Come è noto, da diverso tempo il team di Just Add Water ha preso il nome di Oddworld Inhabitants, quasi doveroso visto che si sono caricati sulle spalle l’onore di rimettere in moto una saga che meritava senza dubbio una seconda possibilità. Dopo l’eccellente lavoro di remaster operato su Stranger’s Wrath (la versione PS3 in particolare), abbiamo potuto apprezzare anche Munch’s Oddysee HD, il meno riuscito – in termini di gameplay puro – di tutta la (incompiuta) pentalogia.
Le due opere in questione nascevano già scolpite a suon di poligoni e texture, che pur nei limiti dell’hardware di Xbox, risultavano ai tempi piuttosto all’avanguardia. Questo ovviamente ha semplificato non poco il lavoro degli sviluppatori, che sono potuti partire da una base concreta, per poi rimodellare soggetti e ambientazioni, adattandoli a standard più moderni. Ma con Abe’s Oddysee hanno dovuto praticamente ridisegnare il gioco da zero, utilizzando la grafica originale solo come ispirazione, dovendo modellare in 3D ogni singolo particolare. Un lavoro pazzesco, decisamente il più complesso mai tentato in un remaster: di fatto è come se si trattasse di un nuovo titolo, e bisogna davvero trovarselo davanti per rendersi conto di quanto amore e dovizia hanno speso gli sviluppatori per iniettare nuova linfa in una produzione con oltre tre lustri sulle spalle.

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Cantare magari non vi aprirà le porte di X-Factor, ma almeno darà la libertà ai vostri fratelli.

Anche le scene d’intermezzo sono state rimodellate tramite l’engine del gioco (che per la cronaca è Unity), con ulteriori particolari aggiunti attraverso il diretto supporto di Lorne Lanning, che ne ha persino ideate di nuove, alcune delle quali tagliate ai tempi per questioni di memoria. Animazioni, texture, effetti di luce, shader… tutto è stato utilizzato al meglio, introducendo persino lo scrolling (l’originale era a schermate fisse), senza per questo deturpare in alcun modo il gameplay. Ecco, su questo aspetto purtroppo occorre fare un certo ragionamento. Da un lato è assolutamente degna di lode la volontà conservatrice dei Just Add Water, che hanno voluto mantenere intatte le dinamiche di gioco; d’altro canto, avere a che fare con movimenti così legnosi e poco precisi richiede uno sforzo mentale notevole. Abe’s Oddysee giunse sul mercato in un periodo antecedente all’introduzione del DualShock, e questo si riflette in maniera evidente nel sistema di controllo di New ‘n’ Tasty, perennemente in bilico fra digitale e analogico. Il risultato è un ibrido che non convince moltissimo e che a tratti aggiunge frustrazione a un gameplay già di suo estremamente punitivo. È la saga del trial and error, una filosofia non sempre entusiasmante, ma con la quale tocca convivere.

Non fraintendete: tutto si può dire di New ‘n’ Tasty tranne che sia un brutto gioco, però certe scelte di design hanno un deciso retrogusto di stantio. Alcuni puristi affermeranno che è proprio quello il bello. Personalmente dissento, almeno in parte: una revisione più concreta al sistema di controllo non avrebbe tolto nulla a un gioco che rimane comunque molto impegnativo. Tolto questo, tanto di cappello agli sviluppatori, che sono riusciti a portare a termine il sogno di ogni nostalgico. Non capita certo tutti i giorni.