Destiny 2 – Recensione

Ed eccoci infine giunti a parlare in maniera approfondita di Destiny 2. Sarebbe semplice glissare sui motivi che ci hanno spinto ad attendere un bel po’ prima di dare il nostro verdetto definitivo e cavarcela con un semplice “scusate il ritardo”. In realtà, le quasi quattro settimane trascorse dal lancio ci sono servite per poter valutare lo sparatutto MMO di Bungie in ogni sua parte, in maniera minuziosa e particolareggiata, completando tutto il completabile nel primo mese inclusi il raid, le Prove dei Nove e le contese di fazione. Già, perché in questo lasso di tempo Destiny 2 è già cresciuto notevolmente e si è arricchito di tutte le attività che avrebbe forse dovuto includere al giorno del lancio. Seguiteci, dunque: insieme cercheremo di capire se la seconda iterazione di un’epopea che Bungie stessa ha definito decennale può davvero rappresentare un passo in avanti, o se la carica innovativa che Destiny aveva portato nel suo genere appena tre anni fa ha già fatto il suo tempo.

Destiny 2

LA TUA LUCE E’ MIA

La campagna di Destiny 2 inizia recuperando il più classico degli stilemi di qualsiasi space opera sci-fi: la caduta, seguita dalla strada verso la restaurazione e la riconquista dello status quo perduto. Sconfitte le orde corrotte di Oryx, di suo figlio Crota e dell’alveare – dei tecnosimbionti e della Siva non sembra invece rimasta alcuna traccia, se non vaghi riferimenti – a bussare alle porte della Torre sono i Cabal, guidati dal possente Dominus Ghaul, feroce condottiero avido di potere e intenzionato a rubare la luce al Viaggiatore, la misteriosa, enorme entità equiparabile ad un dio nell’universo della serie. Conclusa la spettacolare introduzione, che ovviamente non vi spoileriamo (ma tanto sappiamo che l’avete già giocata, non mentite!), si viene trasportati nel Rifugio (The Farm in inglese), zona social inedita, malinconica ed evocativa, agli ordini di una nuova conoscenza, la cecchina Suraya Hawthorne. Da qui la storia si snoda attorno al recupero dei propri poteri, che poi porteranno alla riconquista della Torre, attraverso una quindicina di missioni completabili in circa otto o nove ore, a patto di dedicarsi quasi esclusivamente ad esse. Zavala, Ikora e Cayde, i tre esponenti dell’avanguardia dei Guardiani, non sono più semplici statuine con la sola funzione di assegnare compiti da svolgere, ma rivestono un ruolo di primo piano nel corso dell’avventura, anche grazie a sequenze di intermezzo ottimamente narrate, sempre in bilico fra eroismo ed autoironia. L’intera campagna scorre via velocissima grazie ad una narrazione molto meno frammentata e ad un ritmo meglio orchestrato, tenuto in piedi dalla più convincente caratterizzazione dei personaggi, sia principali che secondari. Il limite di livello è fissato al 20, dopodiché a contare è il valore del proprio equipaggiamento: alcune missioni, specie nelle fasi più avanzate, richiedono un rango minimo per poter essere affrontate, ma questo requisito può essere facilmente scansato grazie alle avventure, vere e proprie quest secondarie che consentono di approfondire parte dell’immenso sostrato narrativo del gioco e che sono ambientate sui quattro pianeti che fanno da sfondo a tutte le nostre scorribande.

La Zona Morta Europea sulla Terra, Titano, Nessus ed Io sono splendidi e caratterizzati come sempre in maniera certosina, con panorami maestosi e malinconici che più di una volta ci hanno fatto strabuzzare gli occhi per la loro bellezza senza tempo, grazie anche ad una palette cromatica più delicata, che nel tono sembra ispirarsi vagamente ad alcune produzioni recenti (si, stiamo pensando a No Man’s Sky). Momenti, questi, frequentissimi su Nessus, planetoide modificato dai Vex sul modello del Giardino Nero e in grado di ergersi insindacabilmente ad ambientazione più ispirata. Anche su Io le sorprese stilistiche sono tantissime, specie in interni come il Pyramidion, che offre scorci quasi da cartolina. Non mancano evidenti strizzatine d’occhio al primo Destiny: dalla superficie di Titano, luna-oceano di Saturno, si nota il maestoso gigante gassoso circondato dai suoi anelli, all’interno dei quali è immediatamente riconoscibile il “buco” generato dall’Astrocorazzata. Questo ed altri dettagli ci hanno infilato una pulce nell’orecchio riguardo il possibile, futuro ritorno delle vecchie ambientazioni insieme a quelle nuove, previste per i prossimi mesi ed anni: sarebbe a dir poco folle, da parte di Bungie, dimenticare tutto d’un tratto panorami meravigliosi e che hanno richiesto anni di lavoro, come quelli visti nel Cosmodromo o su Venere, per citarne soltanto due.

Le location già presenti, comunque, fanno più che degnamente il loro dovere anche grazie ad una struttura ludica di più ampio respiro, che consente di passare da un’attività secondaria all’altra (le missioni principali, invece, sono ancora gestite a compartimenti stagni) senza dover per forza tornare in orbita, vero e proprio menu principale di Destiny 2. Questo aiuta a rendere l’azione più fluida e rende piacevole anche affrontare in sequenza cinque o sei eventi pubblici, opportunamente segnalati sulla mappa e ben più vari e movimentati che in precedenza, in compagnia di due amici. Ogni attività completata ricompenserà la squadra con Pegni specifici per ogni pianeta, da consegnare al comandante di turno insieme ai materiali recuperati a terra o nelle casse di bottino. Questa operazione è fortunatamente agevolata dai punti di viaggio rapido, che, pur disseminati in maniera non ordinatissima e a volte troppo vicini fra loro, permettono ai Guardiani di spostarsi più agilmente sulla superficie dei pianeti ed evitano spesso inutili peregrinazioni a piedi o in sella al proprio Astore. Anche il solito sistema di eventi settimanali e giornalieri, che pure mostra il fianco ad una certa ripetitività che andrà misurata sulla lunga distanza, convince e riesce a non annoiare chi da Destiny si aspetta innanzitutto un appassionato gioco di squadra e il solito gunplay, divertente ed appagante come sempre. La mancanza di ulteriori contenuti, come un maggior numero di imprese legate ad armi o armature esotiche, risente della fisiologica immaturità di Destiny 2, che da questo punto di vista non può ancora competere col suo predecessore al termine del ciclo vitale, ma i presupposti e le basi per fare meglio ci sono tutti, considerato che le attività presenti out-of-the-box sono ben di più di quelle del primo Destiny al momento del lancio. Da qualche giorno, infine, sono tornate alla Torre le tre fazioni, che ogni settimana propongono un’interessante contesa con i Guardiani avversari per acquistare armi uniche a prezzi stracciati, a patto ovviamente di far parte del gruppo vincente.

Destiny 2

I TEMPI CAMBIANO… I GUARDIANI NO

Una volta conclusa la storia principale e le sue attività collaterali, di fronte ai giocatori si spalanca l’endgame di Destiny 2, un posto bellissimo per alcuni e il demonio in persona, divoratore di tempo prezioso, per altri. Solo chi ha speso centinaia di ore sui server del primo capitolo può rendersi effettivamente conto di cosa significa lanciarsi in quell’infinito vortice di attività che porta al grinding più sfrenato, giocando in nome del raggiungimento del fatidico cap di potere (che i veterani continueranno imperterriti a chiamare “luce”), fissato inizialmente a 350 e al momento soltanto teorico: non esistono ancora, infatti, attività che permettano di far salire il proprio equipaggiamento oltre i 300 punti. In realtà il momentaneo limite è spostato un po’ più in là grazie all’introduzione delle modifiche, oggetti rari o leggendari che nel secondo caso forniscono anche un +5 di attacco o difesa ad armi e corazze e consentono di applicare ad ogni slot diversi bonus ben precisi, come variazioni al loro normale danno elementale o alla velocità di ricarica delle abilità a seconda della sottoclasse utilizzata, o ancora miglioramenti al rinculo o alla maneggevolezza delle armi. Parlando proprio della gestione dell’inventario, Bungie ha operato alcune scelte volte ad eliminare quel che non funzionava più (o non ha mai funzionato) nel primo Destiny, compiendo sostanziali passi in avanti, già sviscerati nella beta estiva, nella suddivisione dell’equipaggiamento e dei relativi effetti di resilienza, mobilità e recupero, ognuno legato ad una classe specifica fra titano, cacciatore e stregone. Anche i cambiamenti alle sottoclassi seguono le stesse regole: ad esempio, nel caso del cacciatore, Lama Danzante è stata sostituita dalla ben più efficace Fulminatore ed anche Pistolero ha subito diverse modifiche, il tutto in nome di un teamplay più ordinato e legato alle abilità che al caso. Tornano, quasi immutati nei concetti di base, anche gli assalti, missioni lunghe e particolari dal sapore un po’ beat’em up e un po’ platform, in pieno stile Destiny: alcuni, in particolare, includono sezioni con salti e giravolte un po’ fuori di testa prima di raggiungere le tanto agognate sezioni conclusive con annesso boss, strutturate talvolta su più livelli e non più legate solo ed esclusivamente al vomitare tutta la propria potenza di fuoco addosso ai nemici. Al momento gli assalti sono appena sei, comunque il doppio di tre anni fa, ma il loro numero è destinato a crescere in futuro insieme al livello di difficoltà, che contestualmente cambierà anche altri parametri in modi al momento imperscrutabili. Uno dei due pilastri dell’endgame (dell’altro, che potete immaginare, parleremo alla fine) è il Cala la Notte, un assalto modificato e scelto casualmente che ogni sette giorni offre una sfida ardua perfino per i Guardiani più abili, specie a difficoltà autorevole, fissata ad un livello di potere per molti quasi proibitivo, almeno per ora. Per finire, non è andata perduta neppure la possibilità di rigiocare le missioni della storia, inserite a gruppi di tre fra gli eventi settimanali ed unico modo di riottenere le armature indossate dai Guardiani all’inizio dell’avventura.

SPARI TU, SPARO IO…

Archiviata almeno per ora la componente PvE, è tempo di spendere qualche parola sul comparto PvP. Nel corso dei tre anni di vita del primo Destiny, Bungie intervenne un numero di volte ormai inquantificabile con patch correttive nel tentativo di migliorare il Crogiolo, eppure la principale componente competitiva del gioco rimase sempre oggetto di feroci critiche che prendevano di mira soprattutto il mal calcolato bilanciamento di alcune armi e abilità e il ritmo troppo incalzante di alcuni scontri. In Destiny 2 il team ha compiuto la lungimirante scelta di ridurre il numero massimo di giocatori in una partita da dodici a otto, passando da un caotico 6v6 a un più morigerato 4v4. E ha fatto centro: le schermaglie fra Guardiani, in tutte le modalità, sono ora effettivamente più legate alla corretta organizzazione tattica della propria squadra e molto meno al caso. Aiutano anche le mappe, generalmente disegnate in modo curato ed omogeneo, senza picchi di genialità né errori di design che potrebbero favorire una delle due squadre, rendendo le partite eccessivamente frustranti per l’altra. Il bilanciamento è stato rivisto toccando le corde giuste, soprattutto per quanto riguarda le armi pesanti e l’eccessivo utilizzo dei cecchini, praticamente spariti da quasi tutte le lobby. I problemi, tuttavia, si sono in parte spostati altrove: a farla da padrone durante il 99% degli scontri a fuoco sono sempre i fucili da ricognizione, quelli ad impulsi e alcuni fucili automatici dotati di un danno ancora eccessivo, diventati il vero e proprio meta di Destiny 2 nelle prime settimane.

Un altro problema, per il momento, è rappresentato dall’impossibilità di scegliere le esatte modalità di gioco, suddivise in due elenchi, rapide (scontro, supremazia, controllo) e competitive (sopravvivenza, detonazione), che, esclusa la denominazione e il tipo di partita, non presentano differenze sostanziali nelle ricompense di fine match. Se si fa parte di un’affiatata squadra di quattro membri, si può però puntare a qualcosa di meglio della competizione tradizionale: le Prove dei Nove, vere e proprie eredi delle Prove di Osiride e affrontabili ogni fine settimana, dal venerdì sera al lunedì, su una mappa scelta a rotazione. Questa modalità rappresenta l’élite del multiplayer competitivo di Destiny 2 ed è riservata soltanto ai Guardiani più abili, in cerca di una vera sfida: una vittoria permette di fare la conoscenza dell’Emissaria, misteriosa figura legata ai Nove, che a suon di Pegni di Reputazione ricompenserà la squadra con armi ed armature esclusive. Già che ci siamo, non possiamo non menzionare il ritorno del mercante Xur, presente ogni settimana su uno dei quattro pianeti per vendere oggetti esotici ai Guardiani. Per ora, il servo dei Nove si è presentato sprovvisto delle strane monete e concede i propri servigi in cambio di frammenti leggendari, ottenibili da tutti smantellando oggetti di rango leggendario o esotico. Ciò significa che, con un minimo di impegno, chiunque può avere accesso a pezzi di equipaggiamento che in via teorica dovrebbero essere piuttosto rari: una mezza delusione, su cui ci auguriamo Bungie torni al più presto.

Prima di giungere alle conclusioni non possiamo non parlare del raid “Il Leviatano”, aggiunto una settimana dopo il lancio e vero e proprio cuore dell’esperienza condivisa da tutti i membri della community. Finire un raid per la prima volta rappresenta per qualsivoglia giocatore di Destiny una sorta di religiosa cerimonia di iniziazione, e lo stesso team di sviluppo ha seguito con entusiasmo il primo clan a riuscire nell’impresa in streaming mondiale, lo scorso 12 settembre. La prima incursione di Destiny 2 è strutturata in modo simile alle precedenti, con alcune novità: spariscono, sfortunatamente, i boss intermedi, ma in sostituzione giungono sfide di squadra più impegnative che richiedono ai sei partecipanti una notevole coordinazione e concentrazione, senza momenti eccessivamente frustranti ma con qualche picco di difficoltà, specie nella battaglia finale. L’ambientazione è a dir poco splendida: l’epica impresa dei sei Guardiani si svolge su una gigantesca nave, detta divora-mondi e in procinto di ingurgitare Nessus, sopra la quale si trova la cittadella Cabal, ricca di sfarzo ed opulenza. Globalmente l’incursione si posiziona più o meno a metà fra quelle del primo Destiny: nelle meccaniche di squadra, a nostro modo di vedere, le vette raggiunte dall’indimenticabile Volta di Vetro (e dalla più breve Fine di Crota) sono ancora insuperate.

Visivamente parlando, al di là dell’eccelsa direzione artistica, è da elogiare il gran lavoro compiuto da Bungie nell’uniformare il più possibile l’esperienza dal punto di vista tecnico, con PS4 standard e Xbox One che risultano praticamente indistinguibili l’una dall’altra. La versione PS4 Pro, com’è logico che sia, può contare su diverse ottimizzazioni soprattutto nella risoluzione dinamica, che a tratti si spinge molto vicino al 4K nativo. Neanche qui, né tantomeno (almeno così pare) su Xbox One X il team è riuscito ad implementare i 60 FPS, che resteranno prerogativa della versione PC: forse, con un po’ di impegno in più, sulle console mid-gen il risultato poteva essere raggiunto. Se non altro Destiny 2 resta sempre ancorato ai 30 frame per secondo su tutte le piattaforme, anche nelle situazioni più problematiche. Per finire, una menzione d’onore va alla colonna sonora di Michael Salvatori, meno epica e più elaborata, eppure in grado di sposarsi ad ogni momento in modo pressoché perfetto, forse perfino più delle musiche che ci hanno accompagnato per i passati tre anni. Ci auguriamo che Bungie decida quanto prima di inserirla su Spotify, come già fatto per quella originale e per quella del Re dei Corrotti.

Modus Operandi: La recensione è stata scritta dopo circa 5 giorni di gioco effettivo. Abbiamo completato la storia principale con tre personaggi, uno per ogni classe, e testato l’endgame facendo parecchi assalti e Cala la Notte, giocando oltre 150 match totali fra Crogiolo e Prove dei Nove e completando il raid “Il Leviatano”.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.