Volume – Recensione

Proprio bellino Volume, il nuovo gioco di Mike Bithell. Magari non presenta la stessa, sublime astrattezza cyberpunk di Thomas Was Alone, primo titolo del game designer inglese, ma sa dipanare gli elementi di gameplay con paragonabile efficacia e perizia, all’interno di un impianto estetico meno “informale” (nel senso strettamente artistico del termine) e più visivamente riconoscibile. In questo caso le caratteristiche selezionate non sono quelle dei puzzle-platform, come nel predecessore, ma i dettagli che hanno costruito e ancora alimentano il genere stealth, smontati e ricomposti progressivamente nel procedere degli stage.

Questa, almeno, è la lettura principale che il mio cervello ha elaborato su Volume, prima ancora di addentrarmi nella bizzarra rivisitazione della leggenda di Robin Hood proposta dallo storymode, non esattamente memorabile ma comunque propedeutica allo scopo. Il fine di Volume è anche quello di portare i giocatori sul piacevolissimo editor integrato, che permette di costruire nuove sfide con le innumerevoli caratteristiche inanellate nella campagna, affiancandole ai personaggi della storia o a qualsiasi testo o racconto vi venga in mente. Rob Locksley dona gli elementi stealth “rubati” ai maestri del genere, e sta a noi farne l’uso creativo che più ci aggrada.

SHERWOOD IN UNA STANZA

La struttura dello storymode è semplicissima: i 100 livelli corrispondono ad altrettanti mini-racconti che compongono la trama, “esplicitati” – e nemmeno troppo – dai dialoghi testuali e dagli scambi di mail dei vari personaggi, a lato delle conversazioni (audio, in questo caso) fra il protagonista e un’intelligenza artificiale chiamata Alan. In un futuro non meglio precisato il nostro Rob Locksley è una sorta di paladino dell’informazione telematica che si ribella allo strapotere di Gisborne, magnate di una grande corporazione, e vuol dimostrare a tutti la possibilità di aggirare e ostacolare il governo distopico, attraverso simulazioni di furti a personaggi eccellenti della società, veicolati dalla rete e ferocemente discussi dalle comunity.

volume[quotedx]Il level design è a tratti geniale[/quotedx]Personalmente, almeno in questo caso, simili trovate narrative mi sono sembrate uno stratagemma fin troppo arzigogolato, a tratti divertente ma decisamente fuori dalle righe, per giustificare le regole primarie del gameplay e dell’ambientazione. Ogni missione ha come matrice comune il fatto di essere costruita su uno spazio di circa trenta metri per trenta, sulla base del quale gli stage introducono caratteristiche e abilità stealth sempre più complesse, dalle seminali conquiste di Metal Gear fino a più moderne declinazioni del genere. I primi livelli introducono movimenti e obiettivi dal valore quasi concettuale – semplici quadrati per i punti d’inizio e d’arrivo, piccole gemme poligonali per gli oggetti da rubare – che pian piano vengono affiancati da nuove insidie, avversari e da diverse tipologie di IA; i coni visivi si fanno più allungati per i cecchini, ad esempio, oppure a 180° per i cani robotici e addirittura circolari per gli androidi cacciatori, e anche le caratteristiche di mobilità, pur se semplici, si mantengono ben differenziate per ogni archetipo.

La selezione degli elementi di sfida è altrettanto efficace, con l’aggiunta progressiva di raggi laser, barriere da “hackerare” (le azioni sono sempre semplicissime, un tasto e via), zone d’ombra, pulsanti di allarme impossibili da evitare e tante altre piccole introduzioni, affiancate delle abilità necessarie a completare gli scenari. Alcuni punti della mappa, ad esempio, andranno raggiunti per usufruire di distrazioni sonore, “oggetti bizzarri” per carpire l’attenzione delle guardie, di proiezioni fantasma del personaggio, di stivali capaci di non far scattare l’allarme e di altri gadget dello stesso tenore, mai “aggressivi” (al massimo è possibile disattivare temporaneamente i robot) e puntualmente elementari nella rappresentazione grafica. Ottimo il level design, sempre più intricato e spesso costruito su soluzioni multiple; almeno in un caso l’ho trovato addirittura geniale, quando il gameplay si prende la briga di ricordare a tutti – attraverso un livello perfettamente coerente al gioco – la primordiale influenza di Pac-Man sul genere stealth.

UNA SFIDA INFINITA

Prima di procedere oltre, è bene segnalare la migliore resa del gamepad anche nella versione PC, persino nell’uso dell’editor, insieme alla scarsa caratura della traduzione in italiano, ulteriormente complicata da alcuni bug visivi sui testi. Niente di grave in entrambi in casi, a mio modo di vedere, e anzi possiamo rincarare la dose di qualità positive con la piacevole resa dell’impianto visivo, leggero e tuttavia raffinato nell’uso di semplici (e coloratissime) forme poligonali. Ancora più rilevanti, però, sono le qualità dell’editor: davanti a noi si presenta la griglia per le simulazioni “olografiche”, della grandezza che vi ho già descritto, su cui possono essere facilmente applicate e testate tutte le caratteristiche di Volume, comprese quelle grafiche e testuali, attraverso una serie di interfacce e menu dal praticissimo utilizzo; i risultati vengono poi messi a disposizione di tutti e giudicati dagli utenti in termini di qualità, con classifiche agganciate a qualsiasi nuovo livello e una selezione speciale curata dagli sviluppatori.

Dispiace per l’impossibilità di ampliare la dimensione degli scenari, che di sicuro garantisce regole omogenee per tutte le missioni al costo, però, di inevitabili limitazioni sul piano della creatività. D’altra parte, nessuno impedisce ai giocatori più volonterosi di costruire una serie di mappe con ingressi e uscite consequenziali, per dar vita ad ambientazioni virtualmente enormi. Chissà che qualcuno non ci stia già pensando.