Quando il primo modello di CD-i Philips venne rilasciato sul mercato furono in molti a ritenere che la profezia digitale formulata nel 1982 dai padri dell’industria videoludica di fronte al neonato Compact Disc fosse giunta finalmente a compimento. Sin dal primo vagito commerciale emesso dal supporto, ogni esperto del settore aveva difatti assicurato che, nel giro di pochi anni, esso sarebbe diventato lo standard di riferimento per i sistemi da gioco.

In barba ad ogni proiezione, il passaggio di consegne definitivo tra la classica cartuccia e il CD si rivelò tuttavia più complesso del previsto, tanto da completarsi solo intorno alla metà degli anni ’90, con l’exploit della prima Playstation. Quella che vi apprestate a leggere non sarà pertanto la storia di un progetto di successo, né tanto meno una favola dal lieto fine, ma piuttosto il resoconto di un calvario conclusosi con uno dei più dolorosi fallimenti hardware mai registrati nella storia di quest’industria.
AAA Cavia Digitale Cercasi
Acceleratasi sul finire degli anni’80, la corsa al CD aveva ingolosito diverse compagnie impegnate nel settore videoludico senza però trovare nessun marchio davvero disposto ad accollarsi gli oneri economici e i rischi commerciali legati al varo di un sistema che ne sfruttasse le potenzialità. Benché pubblico ed esperti attendessero un qualche segnale in tal senso, persino quella Nintendo che, all’epoca dei fatti, presidiava la cima della catena alimentare, sembrava prendere tempo, coltivando probabilmente la speranza che qualcun altro si decidesse a fare da cavia al suo posto.

Alla fine parve a tutti evidente che le uniche realtà in grado di tentare l’azzardo senza temere contraccolpi insanabili fossero i colossi corporativi di ordine multimediale: major che avevano costruito la propria fortuna sulla produzione di hi-fi, televisori ed elettrodomestici di varia natura, il cui fatturato annuo era solito superare di qualche zero i profitti generalmente ricavati da brand coinvolti nel solo business dei videogame.

Una volta spostato l’asse della questione verso detti orizzonti, il ventaglio di candidati subì una netta espansione, con marchi quali Pioneer, Panasonic, Sony, Sanyo e Philips a contendersi la pole position. Avendo giocato un ruolo fondamentale nell’invenzione del Compact Disc, nel successivo lancio dei primi lettori Laser Disc ed essendo più volte stata prossima a sviluppare la tecnologia atta ad assecondare le aspirazioni digitali della stessa Nintendo, la multinazionale olandese godeva di un vantaggio senz’altro significativo nei confronti delle concorrenti. Quando i suoi vertici confermarono di essere effettivamente pronti a scendere in campo nessuno se ne sorprese più di tanto.
Il popolo mormora
Se agli occhi degli investitori questa soluzione dovette sembrare la più lineare, il mondo dei videogame non avrebbe tuttavia accolto la notizia con chissà quale entusiasmo. Cosa c’entrava, d’altronde, Philips con i videogiochi? E chi poteva garantire che, oltre alla tecnologia necessaria, la compagnia avesse anche il know-how per affrontare la concorrenza di aziende ben più radicate nel settore?

A questi interrogativi si aggiunsero rapidamente anche dubbi di natura pratica, il primo dei quali inerente al costo che la macchina avrebbe vantato una volta giunta sugli scaffali dei negozi. Nonostante i 700 dollari previsti al lancio costituissero un tetto competitivo in rapporto al prezzo vantato ai tempi da un Personal Computer con tecnologia CD-Rom integrata, altrettanto non poteva ad esempio dirsi per la sfera console.

La medesima natura ibrida del prodotto, definito dai suoi stessi artefici ora come un PC user-friendly, ora quale la nuova frontiera evolutiva dei sistemi da gioco, costituiva poi un’ulteriore focolaio di confusione: a quale fascia di utenza era davvero rivolto il progetto CD-i? Forse perché inquietati da queste incognite, molti degli sviluppatori inizialmente interessati al sistema avrebbero scelto di congelare ogni iniziativa a riguardo fino all’arrivo dei primi, concreti feedback di mercato, lasciando di fatto Philips a pianificare praticamente da sola il suo ambizioso debutto in società.
Alone in the Dark
Gli effetti di questa scomoda congiuntura non tardarono a manifestarsi. Basti ad esempio pensare che, in occasione del Day-One statunitense risalente al 3 dicembre del 1991, la line-up software del CD-i si riducesse ad una manciata di programmi multimediali cui facevano da contraltare le sole conversioni di vecchi classici della sfera Laser-Game quali Dragon’s Lair e Mad Dog McCree.

Se il debutto della macchina non passò agli annali quale uno dei più radiosi di sempre, i mesi ad esso seguenti non furono certo più incoraggianti: all’esiguo numero di unità piazzate continuò difatti a seguire una scoraggiante carenza di produzioni videoludiche, cui Philips non era evidentemente in grado porre rimedio. Quando la macchina rimediò una figura analoga anche in seguito allo sbarco europeo del 1992, il sogno digitale inseguito per tanti anni da altrettanti pionieri dell’industria si era pertanto trasformato già in un incubo. La debàcle che andava delineandosi non comportò soltanto un robusto ammanco nelle casse della Philips, ma anche e soprattutto un danno di immagine che si ripercosse sugli accordi maturati in precedenza col Nintendo circa l’eventuale sviluppo dello SNES CD.

Avendo perso fiducia nelle capacità della compagnia, la casa di Mario avrebbe difatti congelato ogni iniziativa a riguardo, per avviare nuove trattative con Sony, il cui rocambolesco esito portò alla nascita della Playstation.
Lo Zeldagate
A parziale risarcimento dei danni materiali patiti in seguito al naufragio dell’accordo con Nintendo, i vertici Philips ottennero temporanei diritti per la pubblicazione di alcune esclusive legate ai brand di Super Mario e Legend of Zelda, assicurandosi così ideale accesso ad un bacino d’utenza potenzialmente enorme. Che ci si creda o meno, la major olandese sarebbe riuscita in ogni caso a sprecare anche questa clamorosa occasione, finendo anzi per trasformarla in un letale boomerang.

Nel caso di Zelda, si optò ad esempio per la produzione di uno spin-off ad episodi il cui sviluppo patì oltremodo l’urgenza di monetizzare al più presto l’hype del brand. Affidati alle cure della Animation Magic, i primi due capitoli della miniserie, The Faces of Evil e The Wand of Gamelon, debuttarono nell’ottobre del 1993, sfoggiando orrendi cartoon a supporto di un gameplay ispirato alla più classica formula platform a scorrimento orizzontale.

Affidato alla Virdis e distribuito da Philips nel giugno del 1994, Zelda’s Adventure, episodio conclusivo della trilogia, avrebbe invece strizzato maggiormente l’occhio alle produzioni targate Nintendo proponendo una più esplorativa impostazione top-down. A compromettere l’esito dell’esperimento sarebbero in ogni caso intervenuti la presenza di scialbi fondali renderizzati e il contingente apporto di agghiaccianti Full Motion Video con attori reali.

Realizzato anch’esso in fretta e furia, il modesto puzzle game Hotel Mario (1994) non ebbe ovviamente maggior fortuna. Bocciati con severità dalla stampa dell’epoca, detti progetti vennero ripudiati senz’appello anche dal pubblico trasformandosi col tempo nell’oggetto di ironie tanto feroci da tenere lontani persino i collezionisti più indefessi.

In seguito a questo doloroso scivolone, i vertici della major olandese videro il proprio gioiello scivolare ancor più margini del proscenio videoludico, dove venne presto raggiunto da concorrenti persino meglio equipaggiati come il Sega Mega CD, l’Amiga CD 32 e il faraonico 3DO Panasonic. Appurato che i tempi non fossero evidentemente maturi per una vera rivoluzione digitale, si decise pertanto di abbandonare ogni ambizione in tal senso e lasciare che macchina uscisse lentamente di scena con la maggiore discrezione possibile.
Tutto da buttare?
Alla luce di quanto emerso si potrebbe facilmente ridurre quella del CD-i a una delle parentesi più imbarazzanti della storia di questo medium. D’altro canto, sarebbe tuttavia ingiusto non rimarcare i pochi, ma comunque significativi elementi in grado di restituirgli una certa dignità storica.

Al di là dell’innegabile valenza pioneristica vantata, il progetto si distinse ad esempio per tutta una serie di feature esclusive, tra cui un’embrionale predisposizione al supporto di internet che, pur non trovando significative applicazioni pratiche, testimonia una certa lungimiranza strutturale. Le stesse risorse multimediali promosse da prodotti specializzati quali Video Cd, programmi musicali e materiale didattico interattivo testimoniavano una forte volontà di espandere i confini dell’universo videoludico verso quegli orizzonti cross-mediatici divenuti oggi una florida branca del business.

A ben scavare nella rispettiva softeca, è peraltro possibile individuare diversi titoli in grado di rivalutarne il potenziale hardware, specialmente se ci si concentra sulla disinvolta gestione di tecniche all’epoca innovative quali il Full Motion Video. Proposte come Inca (1993), Burn: Cycle (1994) e Lost Eden (1995) avrebbero svolto un ruolo in tal senso cruciale nel promuovere il format dei Film Interattivi che affollarono la scena nella prima metà degli anni ’90, mentre le versioni dedicate di cult game come The 7th Guest (1993) e Myst (1996) ne esplorarono a dovere le parallele suggestioni enigmistiche.

Aggiungendo al tutto le conversioni dirette di classici del catalogo Amiga, quali Defender of the Crown (1992), Lemmings (1993) e Litil Divil (1994) è dunque possibile abbozzare persino una top ten di produzioni in grado di giustificare l’esistenza della macchina.
La sorte dei pionieri
Senza forzare la mano su una riabilitazione postuma che numeri e statistiche non avallerebbero, gradiremmo prendere congedo dal CD-i spendendo qualche ultima considerazione a posteriori. Il sospetto è che la macchina abbia difatti pagato a caro prezzo il peso di ambizioni magari eccessive, ma comunque lodevoli, patendo il mesto destino che s’accompagna di sovente ai progetti di natura pionieristica.

Come accaduto a molti altri sistemi piombati sul mercato in anticipo sui tempi, esso avrebbe finito col fungere da battistrada per i suoi eredi, fornendo loro l’opportunità di trarre preziose indicazioni strategiche dai propri errori. Ci piace in tal senso pensare che il clamoroso fallimento del CD-i non sia stato affatto vano, ma che sia anzi servito a gettare le fondamenta di quella Playstation Era destinata a rivoluzionare per sempre gli equilibri dell’industria videoludica.