6 Underground Recensione

6 Underground

6 Underground | Dopo due capolavori d’autore come The Irishman di Martin Scorsese e Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, Netflix continua a tirar fuori meraviglie dal cilindro e carica in streaming un altro lavoro firmato da un regista di punta. L’opera in questione è 6 Underground, diretta da una delle personalità più influenti ed innovative del cinema di genere americano, ovvero Michael Bay.
Sei ricchissimi individui, provenienti da tutto il mondo, decidono di fingersi morti per utilizzare le proprie risorse al servizio dell’umanità. Ma riusciranno i nostri eroi a sconfiggere per sempre il male?

L’appassionante inseguimento iniziale tra le strade di Firenze

 

Il Michael Bay dei tempi migliori

I lungometraggi di Michael Bay sono esagerati, grotteschi, kitch, alle volte pieni di cliché (come quando, in un inseguimento tra le vie di Firenze, uno dei personaggi di 6 Underground sbraita perché gli italiani vanno tutti in giro in vespa). Ma hanno anche dei difetti.
L’esagerazione è un marchio di fabbrica, per il regista di Transformers.
Un mood che viene ribadito anche in questo blockbuster co-prodotto con Netflix.
150 milioni di dollari per realizzare un’opera mastodontica, concepita per stupire, per bombardare lo spettatore con un’orgia di esplosioni, inseguimenti, sparatorie in luoghi diversi.
Così, questa realizzazione diventa una bandiera dell’eccesso, il manifesto del contemporaneo cinema delle meraviglie. Quel cinema che sa ancora colpire, tenere incollati alla poltrona. Ed allora, forse, ci si dovrebbe chiedere quanto possa soffrire un’operazione del genere, se la si relega a semplice fruizione per piccolo schermo.
Tra gli interpreti principali, Ryan Reynolds appare sicuramente tra gli attori più in forma. Ed allora, a maggior ragione, aumenta l’hype per Free Guy – Eroe per gioco, in cui l’attore americano si ritroverà in un mondo virtuale a metà tra GTA e Fortnite.
Che il ruolo si addice perfettamente alle caratteristiche di Mr. Deadpool lo si evince sin dalle prime battute del film, quelle della vorticosa corsa in auto all’ombra del Duomo fiorentino. Poi però la scena rimbalza da un set all’altro, dai grattacieli futuristici di Hong Kong (qui il lavoro di post-produzione è monumentale!), ai villaggi in subbuglio dell’indomato Medioriente.
In questo ping-pong di location in location, Michael Bay concepisce una Sense8 dell’avventura in cui non mancano i plot twist e le situazioni inaspettate.

6 Underground
Una scena del film

 

Un film quasi perfetto… non fosse per la sceneggiatura!

Visto il budget di partenza, era pressoché impossibile toppare un film come 6 Underground dal punto di vista tecnico. La fotografia di Bojan Bazelli è limpida, pulitissima; il montaggio curato da Roger BartonWilliam Goldenberg e Calvin Wimmer è serratissimo nell’alternanza tra lunghi rallenty e frenetiche inquadrature sul paesaggio circostante.
Ciò che non torna però, nell’apologia dell’inseguimento firmata Bay è proprio la sceneggiatura. Buona, certo, l’idea di mescolare elementi horror (l’occhio strappato per i riconoscimenti dell’iride…) agli archetipi più classici del cinema di genere.
Da rivedere è però il copione, che spesso si imbroglia negli innumerevoli fronti temporali in cui dovrebbe svolgersi la sinossi.

Viene da chiedersi, allora, se la scelta di Netflix di cominciare ad acquistare vecchie sale indipendenti in giro per gli Stati Uniti non sia una mossa di estrema lucidità e consapevolezza. Film come 6 Underground, oltre al già citato The Irishman, evidentemente faticano ancora a trovare un adeguato spazio nel sistema home video. Non sarà dunque il caso di rivedere le proprie strategie di distribuzione, prima di continuare a produrre kolossal di questo tipo?

 

 

Gianluca la passione per il cinema la scopre a 4 anni, quando decide che il suo supereroe nella vita sarà sempre e solo Fantozzi. 
Poi però di quella passione sembra dimenticarla fin quando, un giorno, decide di vedere uno dietro l’altro La Dolce Vita di Fellini, Accattone di Pasolini e La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Da quel momento non c’è stato verso di farlo smettere di scrivere e parlare di cinema, in radio e su portali online e cartacei. 
Vive a Roma perché più che una città gli sembra un immenso set su cui sono stati girati chilometri e chilometri di pellicola. 
Odia le stampanti.