Final Fantasy VII Remake Recensione: non riderai più del mio chocobo ciccio ora

Final Fantasy VII Remake

Sembra ieri che mi affacciai per la prima volta all’onirico mondo di Final Fantasy. La magia orchestrata da Square Enix mi folgorò già alla tenera età di sette anni ma, ahimè, potevo limitarmi solo a sgranare gli occhi a casa di qualche mio fortunato compagno di scuola. Non ho potuto assaporare la saga quando ci fu il meritato escalation, in particolar modo perché non avevo i mezzi o gli strumenti per godermela in prima persona. Seppur un’infanzia limitata, ho comunque coltivato un profondo interesse per il brand, sopperendo – almeno in parte – alla mancanza. Quando per la prima volta entrai in sintonia con l’intelaiatura narrativa di Final Fantasy VII, mi colpì la grottesca ambientazione e il messaggio che essa custodisce. Impossibile scordare lo sguardo di ghiaccio di Cloud, la genuinità di Aerith, il fascino di Tifa o la spavalderia di Barret. Solo chi ha conosciuto nel profondo l’animo della storia, ne custodisce gelosamente i ricordi, e forse è proprio il primo vero ostacolo per chi è scettico all’idea di acquistare il remake. Smuovere la nostalgia è una mossa pericolosa, specialmente se poi si decide di diluirla o frammentarla. Ammetto che neanche io trovavo allettante l’idea di concludere la vicenda alle porte della città di Midgar, ma vi dico subito che mi sono dovuto ricredere. Gli abissi dell’immaginifico si spalancano così per far risorgere una dell’opere più amate dagli appassionati, oltre che delle più blasonate. Che sia stato un atto di negromanzia saggio o un turpe eco del passato? Vediamo se anche questa volta le luci di Midgar sono rimaste accese per noi in esclusiva su PlayStation 4.

Final Fantasy VII Remake personaggi

Final Fantasy VII Remake: l’omertà di Midgar è il suo silenzioso karma

Là, ove le risorse naturali si affievoliscono e troneggia una rampante struttura di ruggine e avidità, ecco irradiarsi Midgar, la città che non dorme mai. L’insaziabile cupidigia degli uomini ha raggiunto livelli esasperanti, tanto da essere schiavi delle proprie bugie. Gli artigli dell’industria hanno scavato troppo affondo, sino a risucchiare la linfa vitale del pianeta stesso. La Shinra, la compagnia elettrica che alimenta la matassa di metallo e tecnologia di cui si servono tutti i cittadini, è il crudele riflesso della nostra realtà all’esasperazione: una società inghiottita dall’individualismo e dalla tracotanza. A nessuno importa quello che accade oltre le proprie quattro mura e sembra che vada bene così. E mentre le bugie obnubilano la già scarna morale dei suoi abitanti, l’oscurità marcisce nel profondo. A combattere contro chi usurpa e dilania il flusso di energia proveniente dalla Terra, denominata mako, è un piccolo manipolo di coraggiosi uomoni, uniti sotto un solo vessillo: l’Avalanche. Sebbene vi sia alla base una forte ideologia che li guida, la stessa organizzazione possiede dei rami che agiscono in maniera autonoma, spesso pianificando azioni lampo per destabilizzare il monopolio della Shinra. A capo di questi attivisti spunta Barret, il gigante buono del gruppo e irriducibile ambientalista. Oltre che ad essere l’anima ruggente del gruppo, egli ha giovato del restalying donatogli dalle ritoccate espressioni facciali. Chi però farà gioire di più gli appassionati, è Cloud, nel suo ritorno in grande stile. Il risoluto eroe di Final Fantasy VII Remake non è diventato iconico esclusivamente per la sua abilità di spadaccino, ma per la sua personalità controversa, allora imbrigliata in un goffo agglomerato di poligoni e bassa risoluzione. I limiti tecnologici non hanno mai permesso a questi due personaggi in particolare di spiccare il volo, ma ora vantano una personalità ritrovata e ben definita, che sicuramente vi intrigherà. Smascherata la vile patina di finta arroganza e opportunismo che egli indossa pur di non lasciarsi coinvolgere emotivamente, si intravede subito un animo generoso e altruista. Il suo passato, ad ora in parte approfondito, cela un’origine incatenata nel dovere e nella schiavitù. Al fianco dei nostri beniamini ci sono altre due protagoniste memorabili. Tifa, la combattente dal fascino irresistibile in grado di sfoggiare una forza di volontà indomabile, e Aerith, la genuina maga bianca dal passato tremendo e silenzioso, sono le protagoniste che di più riescono a veicolare emozioni con questo fresco stile grafico. Sarà impossibile non provare le stesse sensazioni di un tempo. Cosa hanno in comune? Tutte stregate per Cloud, ma unite in un grande scopo. Cosa gli farà mai alle donne lui?

Final Fantasy VII RemakeMa cosa gli farà il nostro Cloud alle donne?

Dalle lutulente fogne della città, sino al tetto del quartier generale della Shinra, l’avventura risuona a colpi di lame e magie arcane di ogni genere. Non c’è esploratore che non si senta asfissiato all’idea di dovere rimanere circoscritto nelle mura di Midgar, rinunciando all’orizzonte che gli si prospetta fuori dalle possenti mure. Interrogarsi sulla durata degli eventi è più che lecito, specialmente se a muovere gli ingranaggi del gameplay sono azioni perpetuate in massimo dieci ore nell’opera originale. Eppure Final Fantasy VII Remake stupisce anche nei piccoli spazi. Rallegratevi: con il giusto ritmo supererete senza problemi le 40 ore di gioco, e avrete comunque diverse attività in cui procrastinare. Passeggiare nei bassifondi della città o lasciarsi pervadere dalla lussuria artistica e lo sfarzo dei settori più ricchi è ora un sogno vivido, altresì merito di una ricostruzione ambientale ad hoc e minuziosa quanto basta per evocare la gloria dell’originale. Il problema di fondo è sicuramente una linearità spesso eccessivamente marcata, ma in parte contenuta da un raziocinio che impone di seguire la planimetria di Midgar. Essa è difatti predisposta strutturalmente per ospitare certi spazi, e sarebbe stato pressoché innaturale erigerne di nuovi, snaturando così la regolarità geometrica imposta dall’originale. Un maledizione che, sebbene da una parte spezzi una lancia in favore di un’esplorazione attanagliata da un level design quasi sempre passivo, deturpa l’esperienza di gioco, privandola del mordente necessario per essere memorabile. Un lavoro riuscito per metà, che però gioisce di alcune scelte enigmistiche – si fa per dire – che aiutano a variegate aree scarne e poco godibili a livello estetico. Pochissimi scenari sono difatti realmente maestosi o squisitamente grotteschi, poiché il più delle volte ci scontreremo con il grigiume del metallo o lo sporco dei detriti: il tetro confine tra realismo e onirico. Insomma, sebbene in Final Fantasy VII Remake possa essere un palcoscenico piuttosto ridondante, la Midgar moderna si prende gli onori e gli oneri del modello originario, sacrificando la spettacolarità per una rigorosa trasposizione di strade e vicoli. Le arterie urbane di Final Fantasy VII Remake sono così lo scenario migliore che ci si poteva aspettare, ma in parte è anche merito delle longeve attività secondarie attive all’interno. Se svolgere incarichi da tuttofare non dovesse saziarvi, sappiate che avrete la possibilità di farvi adulare da un pubblico trepidante nell’arena da combattimento o sondare il terreno in cerca di minigiochi e oggetti rari da non perdere. Tra le luci eterne della civiltà non ci si annoia dunque, anche se bisogna convivere con un sincretismo ludico che non tutti troveranno deliziosamente eterogeneo come me, ne sono sicuro. Piccole brezze di innovazione, che però, alla luce di un futuro del titolo ben più radioso, non rimangono che un flebile venticello, in un uragano di creatività appena scalfito. Si è osato poco.

Sfreccio sul mio chocobo… moguri… Chocomoguri!

Ma quindi Final Fantasy VII è godibile al massimo anche in spazi angusti? Certo che sì, anzi, la creazione di un macro mondo nel micro ecosistema di Midgar è uno sforzo sicuramente da lodare. Nulla di nuovo per me, dato che avevo provato il gioco alla Gamescom dello scorso anno, ma capisco che perdere la strategia delle mosse a turni in favore di uno stile più action possa spaventare. Per certi versi Final Fantasy VII Remake risente dei vetusti traguardi di Kingdom Hearts, senza però abbandonarsi all’accesso. Laddove si azzardava tutto su spettacolarità e tecnica, lambendo il botton smashing, qui ogni azione è pagata a cara prezzo. L’acume non è sovrastato da una scelta di design prettamente più galvanizzanti, ma anzi, danza con i personaggi per tutto il tempo. Tra una buona dose di attacchi normali e potenti, ricaricheremo la piccola barra ATB, che ci consentirà di fare una o due – in base al costo – scelte decisamente essenziali. Usare una dirompente abilità per massimizzare i danni o magari provocare bonus e malus a nemici e alleati è nondimeno teatrale quanto elargire divampanti magie o ricorrere a qualche oggetto curativo in extremis. Ogni mossa deve essere ponderata con cura, e le invocazioni sono la quinta essenza di questa gameplay. Abbandonato lo stantio utilizzo al quale erano rilegati nelle strategie a turni, ora essi combattono al nostro fianco per un’esigua durata di tempo, arrecando danni ben più ingenti a quelli a cui eravamo abituati. L’entrata in scena è oltremodo poetica ed è impossibile non rimanere a bocca aperta, anche dopo la cinquantesima volta che avremo invocato il nostro Esper preferito. Il lavoro fatto per l’intelligenza artificiale è da lode, ed è secondo solo alla plateale epicità che manifestano. Fatta eccezione per Ifrit, ci saranno diverse invocazioni che potremmo schierare al nostro fianco. Ottenere il loro materiale divino non è un’impresa per deboli di cuore, ma non per questo meno gratificante. È stata infatti introdotta una serie di missioni secondarie sullo studio e la morfologia dei 150 esseri che brulicano in mondo di gioco: le sfide di Chadley. Il novizio scienziato e disertore della Shinra ci lascerà sfruttare un visore di realtà aumentata per incontrare e sconfiggere alcuni dei leggendari Esper del mondo antico. La sua richiesta? Collezionare informazioni da nemici abbattuti o dati tattici, utilizzando l’abilità Analisi. Ciò che più mi ha affascinato è che ogni creatura possiede una scheda generica singolare e dai dettagli cruciali per l’esito in battaglia. Non è mai stato tanto piacevole avere una sete di conoscenza così smodata, e le ricompense valgono da sole il costo del biglietto. Lasciarsi pervadere dai brividi emozionali nel bello di un combattimento al cardiopalma contro Leviatano o Shiva non ha prezzo, intendiamoci. Se da una parte la magnetica direzione artistica rendono il gioco una sinfonia armonioso, parte del merito va a un azzeccatissimo comparto sonoro e alle musiche. Gli oltre trenta brani unici e nostalgici riproposti in chiave moderna sono l’accompagnamento delizioso che ci aspettavamo da Square Enix, ormai una garanzia insindacabile da questo punto di vista. Lasciatevi incantare dalle tracce musicali in battaglia è forse, come me, avrete scartato un po’ di più del nirvana artistico contenuto nell’universo di Final Fantasy.

Siamo dunque giunti al fatidico verdetto. Che dire, rispondere al fantomatico quesito sulla reale scelta d’acquisto di un’opera del genere è un terreno assai caustico. Se da un lato si baratta il fattore nostalgia con una patina emozionale che mai potevate amare prima d’ora, si ha un po’ di paura. Lo so e lo capisco. Lasciarsi alle spalle le porte di Midgar, consci del fatto che il viaggio verso l’ignoto potrà essere ripreso tra qualche anno è una tortura straziante, ma non è forse questa la più grande vittoria del titolo? Arrendersi, dopo oltre 40 ore, all’idea che la direzione è quella giusta, perché è troppo pesante la Spada di Damocle sopra le teste di Square Enix da permettere di sporcare una pietra miliare del brand. Cloud, Barret, Tifa, Aerith e tutti gli altri eroi improvvisati della Avalanche sono ora più mai un baluardo di umanità e godono di elegante baldanza che li rende ancora più amabili. Sebbene il titolo sia stato per forza di cose plasmato sulla planimetria e il level design urbanistico della città che non dorme mai, si avverte comunque una soporifera linearità che alla lunga stanca. Per ottemperare a questa prevedibile sorte si consuma così la spettacolarità di gameplay che di più rapisce il fruitore, ora merito di un sistema action che custodisce gelosamente un DNA puramente strategico, ora grazie alle vibrazioni artistiche emanate dagli Esper, che tutti ameranno alla follia. Le musiche chiudono un cerchio di armoniosa sinfonia, capace di far duettare nostalgia e innovazione, senza mai calpestarsi a vicenda. Sontuosa dignità stilistica, unita a un comparto tecnico lodevole. Lasciarsi malinconicamente cullare dall’idea che, negli abissi morali della Shinra, non ci sia altro che un’ostentata persecuzione al potere e alla conoscenza, ci confonde e lascia interdetti. Come si permette un gioco fatto di pulcini giganti e buffe acconciature di screditare la nostra perfetta realtà? Ebbene, abbandonata per un attimo la nostra disillusa concezione del mondo, ci attende molto di più che una fiaba. Forse una realtà troppo verosimile e straziante da prendere in esame, non troppo lontana da un futuro che, anche dopo tanti anni dall’uscita dell’originale, ci sembra quantomai incombente.

VOTO: 8.5

Sebbene abbia un nome così letterario, sin dalla tenera età egli matura un interesse per il genere RPG e quello fantasy, al punto tale da sognare di farne parte. Avete presente quei bambini che emulano l’onda energetica? Ecco, il suo sogno è invece quello di entrare nella realtà virtuale per lanciare lui stesso magie ai suoi nemici! Se non gli piace qualcosa, attenti, vi farà assaggiare la potenza degli elementi!