Recensione: La nostra strada, il documentario sui giovani e il loro abbandono

La nostra strada film

Presentato in anteprima alla 16ᵃ edizione del Biografilm Festival, quest’anno svoltosi online in collaborazione alla piattaforma MyMovies, La nostra strada è il nuovo lungometraggio del regista Pierfrancesco Li Donni. A quattro anni di distanza da Loro di Napoli, l’autore palermitano torna a raccontare la periferia, concentrandosi stavolta sul quartiere Zisa di Palermo, dove la disoccupazione raggiunge il 50% della popolazione e la dispersione scolastica picchi dell’8%. Ed è proprio sull’importanza della scuola che il film si concentra, evidenziando come tale istituzione, spesso maltrattata tanto da chi la frequenta quanto da chi la gestisce, sia uno dei pochi baluardi ancora in grado di portare valori tra i giovani.

 

Protagonisti del documentario sono quattro ragazzi di Palermo al loro ultimo anno di scuole medie. La loro vita è dominata dal cambiamento e dall’incertezza. Il quartiere dove vivono è una gabbia ma a tredici anni la vita è un’avventura da vivere al massimo delle potenzialità. Tra la scuola e il lavoro, i primi amori e la famiglia, Daniel, Morena, Desirée e Simone si affacciano all’adolescenza andando in cerca della loro strada. Ad indirizzarli nel loro percorso, c’è il professor Mannara, il quale tenta ogni giorno di scuotere i propri studenti con nuovi stimoli e lezioni di italiano che si trasformano in lezioni di vita.

 

La Nostra Strada, adolescenza in periferia e abbandono ...

Viaggio attraverso l’adolescenza

In quello che è un film a metà tra il documentario e l’opera di finzione, il regista adotta la tecnica del “pedinamento zavattiniano” per seguire da vicino i suoi giovani protagonisti. Attraverso i loro occhi può raccontare la realtà di un quartiere che non aiuta a rendere meno incerta e problematica l’adolescenza. La nostra strada si pone da subito come atto di denuncia verso una realtà dove l’abbandono, sia scolastico sia familiare, è all’ordine del giorno, con la conseguenza di condurre allo smarrimento ogni ragazzo che invece avrebbe bisogno di trovare la propria strada.

Nel raccontare le loro vite, Li Donni annulla la propria presenza, lasciando che siano i ragazzi a parlare, sia tramite lo stretto dialetto sia tramite le loro gesta. È uno spettatore silenzioso il regista, che non giudica né assolve, e proprio questa sua sospensione del giudizio lascia allo spettatore la possibilità di formularne uno tutto suo. Per quanto i giovani protagonisti presentino caratteri difficili, questi risultano essere il frutto del contesto in cui vivono, e pertanto appare difficile non provare rabbia per ciò che la società inculca loro ogni giorno. Un modo di pensare a cui il loro professore si oppone, unico vero mentore a cui sembra stare a cuore il destino dei propri studenti.

 

Tematicamente simile a Selfie (vincitore del David di Donatello al miglior documentario), di Agostino Ferrente, dove si indagava la periferia di Napoli, La nostra strada denuncia la voglia dei ragazzi di aspirare a qualcosa di più grande, salvo rimanere schiacciati da quanto li circonda. Per coloro che prevedono di non continuare la scuola una volta terminate le medie, vi è infatti il rischio di cadere nel baratro del nulla e, da lì, diritti nelle braccia della mafia. A questa, però, Li Donni decide di non accennare minimamente, desideroso di dare una voce diversa ad una realtà troppo spesso oscurata dai soli fatti di cronaca. I suoi protagonisti sono infatti delle figure vitali, ricche di sogni e speranze, con l’unica colpa di crescere con meno figure di riferimento di quello che sarebbe necessario.

#Biografilm2020 - La Nostra Strada, di Pierfrancesco Li ...

La strada dei giovani

Come suggerisce il titolo, La nostra strada aspira a raccogliere quel grido inascoltato di giovani voci, il cui percorso di vita viene ad essere macchiato di interferenze o assenze che lo rendono meno personale di quello che dovrebbe. È un romanzo di formazione a tutti gli effetti, con bambini che a tredici anni non si sentono già più tali, costretti a pensare e ad agire da adulti da un contesto dove la scuola è vissuta come un impedimento al lavoro.

È possibile immaginare che quanto sceneggiato e ripreso da Li Donni sia quanto egli realmente ha visto accadere davanti ai suoi occhi durante il periodo di avanscoperta nel quartiere. Questa sensazione di aderenza al reale che il film riesce a comunicare rende ancor più attraente l’opera, sia da un punto di vista strettamente narrativo, quanto ancor più da un punto di vista dei contenuti. Con l’abbandono come tema e valore portante dell’opera, si continuano a raccontare realtà che fa impressione pensare come parte di un paese civilizzato quale dovrebbe essere l’Italia.

È grazie a queste opere che è possibile scoprire realtà talvolta impensabili o pensabili solo come servizio di un telegiornale. Nel tracciare un percorso universale come quello di alcuni giovani in procinto di sbocciare con l’adolescenza, Li Donni riesce allo stesso tempo a ritrarre una realtà ai margini, dove lo Stato non sembra essere arrivato, e dove la scuola è un’istituzione sempre più offesa e malconsiderata. La speranza, in conclusione, è racchiusa tutta nelle parole di uno dei giovani studenti, che ammette infine di come “senza scuola non vai da nessuna parte”.

 

Gianmaria è sempre stato un grande appassionato di cinema e scrittura, tanto da volerne fare la sua professione. Studiando queste materie all'Università decide di fondere le sue passioni nella critica cinematografica e nella scrittura di sceneggiature. Tra i suoi autori preferiti vi sono Spike Jonze, Noah Baumbach e Richard Linklater.