Sea of Solitude The Director’s Cut Recensione: un tuffo nel mare della paura

Sea of Solitude The Director's Cut

Il mare magnum delle produzioni videoludiche a volte fa sì che riemergano vecchi titoli, e non solo, in grado di riportare a galla emozioni, sofferenze, perfino malattie e disturbi che ognuno può vivere nella sua esperienza umana. Sono diversi i videogiochi che finora si sono posti questo obiettivo, tra i quali ricordiamo capolavori quali Gris, That Dragon, Cancer oppure To The Moon, ma nel caso specifico parliamo del porting di uno dei principali titoli di Quantic Dream sulla console ibrida di Nintendo: Sea of Solitude The Director’s Cut è la nuova versione per Switch sbarcata da qualche giorno per mano della software house Jo-Mei Games e della carismatica producer Cornelia Geppert, e che abbiamo avito il piacere di provare. Un ‘occasione per riportare i riflettori a illuminare uno più importanti lavori dello studio Jo-Mei Games, che avevamo già potuto conoscere due anni fa per console e PC e che ora torniamo a giocare, in questo action adventure piuttosto lineare, dove siamo chiamati a interagire con l’ambiente di gioco grazie alla presenza di facili puzzle ambientali e diverse fasi vicine al genere platform. Non ci resta che immergerci nuovamente in questo mare di solitudine e scoprire com’è andato il viaggio in questa nuova versione.

Sea Of Solitude The Director’s Cut: vecchie dinamiche…

Ripercorriamo brevemente i principali snodi della trama di Sea of Solitude, prima di addentrarci in maniera più precisa nell’analisi di questa nuova versione. Il titolo in questione si presenta non come un semplice porting, ma protagonista di un particolare lavoro di rifacimento che ha concesso di riportare alla luce su Nintendo Switch la storia del dolore, della perdita e della presa di consapevolezza di sé che vede protagonista Kay, una ragazzina ormai dispersa nelle acque per nulla tranquille di un mare che ha sommerso per gran parte una città. Proprio nelle profondità di queste acque si nascondono mostri oscuri, tanto pericolosi quanto il buio stesso, e dovremo affrontare questi antagonisti esplorando tutti i diversi luoghi che si presentano sul nostro schermo, sia tramite attraversate in barca (di non sempre facile guida, come vedremo poi) sia a piedi, arrampicandoci su diverse costruzioni e cercando di risolvere facili enigmi. A questo punto, il nostro percorso si divide in due parti: da un lato, la componente tecnica, dall’altro il comparto narrativo. Il primo non ha subito praticamente variazioni: sul funzionamento del gioco infatti non ci sono state modifiche. La storia in questa versione porting presenta una struttura identica a quella della versione originale, caratterizzata da salti, brevi dialoghi e interazioni ambientali. Il gameplay in sé diventa un pretesto per avvicinarci alla storia della protagonista, di cui ci ha colpito in particolare il labirintico level design, uno stato fisico dell’avventura che rispecchia quello mentale della protagonista e che riesce ad avvilupparci in un mondo affascinante e colorato. Queste difficoltà (non insormontabili) del percorso ci conducono però anche a raccogliere tutti i collezionabili presenti, che man mano ci consentono di raggiungere i circa 23 obiettivi posti dal gioco.

E’ chiaro che non si tratta di un paesaggio particolarmente complesso, caratterizzato da un’alternanza di fasi platform a piccole sequenze action dove lottare non è la soluzione all’enigma. Spesso infatti l’esplorazione viene contraltata da momenti di gioco in cui dovremo spostarci a nuoto, da una riva all’altra ma sempre rischiando la vita. Infatti il rischio in cui incapperemo sarà sempre quello di cadere nelle fauci di enormi creature mostruose, dal corpo sfilacciato e demoniaco, nero come la paura e la morte e da rossi occhi diabolici. Buona parte del gioco si snoda in prevalenza a piedi, sui tetti dei palazzi, e a nuoto, fino a quando le acque del mare non si saranno abbassate del tutto e potremo percorrere le vie della città. E se ancora non fosse chiaro, il livello del mare diventa qui metafora della paura.

…nuove narrazioni

Come anticipato però, se in questa versione non abbiamo modifiche importanti a livello di comparto tecnico, ne risente di più la componente narrativa, per via di un lavoro di riscrittura dell’intero Sea of Solitude. Questo non comporta una variazione della trama nei momenti fondamentali; non abbiamo per le mani un gioco totalmente nuovo, che si allontana dalla sua versione precedente. Se la storia di Kay e i suoi pilastri tematici principali sono rimasti invariati, i dialoghi hanno vissuto una riscrittura decisa: in alcuni casi abbiamo a che fare solo con piccole modifiche di poco conto, ma in altri casi la trama ha assunto toni diversi da quelli conosciuti in precedenza. Ad esempio, se in precedenza ci veniva detto che il padre della protagonista non era andato in vacanza perché, tutto a un tratto, non voleva più recarsi in montagna, la madre replicava che non capiva questa sua decisione e il suo modo di fare. In questa nuova versione invece l’uomo non è andato in vacanza per motivi di lavoro e la donna sostiene dunque che, in quel caso, la famiglia sarebbe partita, cercando di divertirsi anche per lui. Non l’unica delle numerose modifiche al copione narrativo, e non solo in termini di variazione dei dialoghi, ma anche in termini di omissioni di linee dialogiche. Tra queste, il mostro marino che ci dà la caccia non ha più voce: ora si è trasformato in una minaccia di gameplay senza identità. Oppure, un altro esempio è dato dall’entità femminile che guida Kay e che ora non è più protagonista di molti dialoghi che la citavano, così come i momenti in cui la protagonista teneva una sorta di monologhi durante l’esplorazione. In questa nuova versione di Sea of Solitude dunque è evidente che i dialoghi siano stati decisamente tagliati, oltre che variati, lasciando dei vuoti soprattutto nel caso di descrizioni utili a capire come procedere nel gioco, talvolta ridondanti, talvolta un po’ più necessari. Meno espliciti anche i riferimenti al tema del suicidio, una delle caratteristiche principali della trama a livello narrativo, ma che viene questa volta edulcorato, la cui presenza nella storia vengono resi più leggeri.

Una paura graficamente non ben definita

Un’ultima osservazione la dedichiamo al comparto grafico di questa The Director’s Cut, che risulta essere un gioco indie tecnicamente non troppo curato ed elaborato. Infatti il porting alla console di Nintendo ha come conseguenze l’abbassamento della qualità visiva rispetto a quelle precedenti. La resa grafica sembra confusa a volte, dove luce e ombre restituiscono effetti visivi fastidiosi sullo schermo e qualche fatica nel caricamento di certi ambienti. Non di meno il frame rate poco stabile che inficia, ma solo parzialmente, la riuscita complessiva di un gioco che non richiede momenti di azione particolari, ma che comunque non rendono merito a un’avventura così interessante da vivere sulla portatile nipponica. Abbiamo però anche una novità: la modalità foto, che ci consente di catturare immagini quando lo desideriamo, ma avremmo preferito questa aggiunta affiancata da una resa grafica soddisfacente in toto.

Nel complesso, Sea of Solitude The Director’s Cut è una buona occasione per tuffarci nuovamente (o per la prima volta) in questo “mare di emozioni”, da esplorare sempre più a fondo andando a caccia di collezionabili per raggiungere i nostri obiettivi. Se la longevità non è stata aumentata e i difetti grafici balzano all’occhio, rimane pur sempre un titolo degno di nota che si aggiunge alla libreria di Nintendo Switch, consentendoci di giocare a questo videogioco indie ovunque desideriamo e in grado di farci vivere momenti di evasione davvero unici in questo viaggio emotivo, ed emozionale.

VOTO: 7.8

Si svezza con Medievil e Tomb Raider, cresce con Final Fantasy, matura con la scrittura di qualsiasi genere di videogiochi. Giocatrice da più di 20 anni, Francesca coniuga passione e studio in una tesi magistrale a tema videoludico e la nutre quotidianamente tra console e articoli su videogiochi, cinema e serie TV. Toglietele tutto, ma non la scrittura.