MADiSON Recensione: l’orrore nella macchina fotografica

MADiSON

La demo di P.T. ha inferto una ferita dura a guarire, ad oggi ancora aperta e bruciante nel mondo dei videogiochi. Hideo Kojima, in appena quattro stanze e un corridoio, era riuscito a terrorizzare i giocatori; chiunque non vedeva l’ora che venisse pubblicato il nuovo Silent Hill, progetto ormai a quanto ne sappiamo abbandonato (ma abbiamo comunque approfondito la serie in un interessante editoriale tempo fa). Il bello è che, a partire dalla demo di PT, siamo stati subissati da titoli PT-like, cioè impostati esattamente allo stesso modo. Del resto, chi potrebbe negare che i primi momenti di Resident Evil 7 in casa Baker strizzano l’occhio proprio all’idea di Kojima? Questo preambolo è necessario alla contestualizzazione di MADiSON, il nuovo horror in prima persona sviluppato e pubblicato da Bloodious Games. Perché anche MADiSON palesa immediatamente la propria identità: bastano pochissime immagini per accostarlo a PT. Genere horror, prima persona, psicologico, camminare e risolvere enigmi, insomma gli ingredienti, ancora una volta, sono sempre quelli. Ma forse, dopo tanto ciarpame e nomi decisamente dimenticabili, finalmente ci siamo ritrovati tra le mani una produzione degna di questo nome.

Possessione e case infestate: la trama di MADiSON

In molte sezioni di MADiSON l’anima escape-room (che è poi una variante del più noto genere rompicapo) è perfettamente evidente. La trama inizia in effetti col protagonista, Luca, intrappolato in una stanza, mentre suo padre batte furiosamente contro la porta. Luca riprende conoscenza e si ritrova con le mani lorde di sangue (non suo); tutto è a soqquadro; sente di dover scappare altrove. I primi minuti di gioco coincidono col tutorial, e permettono al giocatore di prendere confidenza con i comandi. In realtà c’è poco da capire: noi controlliamo in prima persona il protagonista, possiamo interagire con l’ambiente circostante solo in determinati punti di interesse (prendendo oggetti, esaminando quelli presenti a schermo), guardarci intorno, poco più. Luca non può attaccare i nemici e in realtà neanche nascondersi, perché comunque la narrazione è estremamente lineare e guidata; se mai, può correre un po’ più velocemente tramite pressione del comando L2. Questo è uno dei primi problemi della mappatura dei comandi su console, perché il tasto per correre è lo stesso utilizzato per tirare fuori la macchina fotografica istantanea. Ci si ritrova quindi col protagonista che si muove rapidamente da una stanza all’altra impugnando l’oggetto anche quando quest’ultimo non serve a nulla.

La storia di MADiSON, comunque – benché altamente prevedibile e scarsamente originale – funziona abbastanza bene, e tiene incollato il giocatore per quelle 7-10 ore (a seconda della vostra abilità con gli enigmi) necessarie per arrivare ai titoli di cosa. Il numero potrebbe aumentare qualora decideste di dedicarvi ai collezionabili senza una guida: questi ultimi consistono in diapositive rosse nascoste un po’ ovunque nella casa degli orrori, e che andranno debitamente immortalate con uno scatto. Ma torniamo alla trama: la casa di MADiSON è chiaramente infestata da una presenza demoniaca. Molto probabilmente si tratta di un rituale cominciato già decenni prima dagli antenati di Luca, ma che ora procede speditamente verso la sua conclusione. E proprio Luca, purtroppo per lui, è il diretto interessato: perché il demone vuole prendere possesso del suo corpo. Da qui l’oscillare continuo tra il piano della realtà e quello dell’incubo, con visite in posti assurdi, terribili (un cimitero, gallerie sotterranee, chiese ormai disabitate), fosse anche soltanto l’inquietantissima dimora che occupa del resto la maggior parte della trama principale. Larga parte dell’efficacia di MADiSON consiste proprio nell’angoscia che accompagna il giocatore nell’esplorazione da una stanza alla successiva, tra corridoi, vicoli ciechi… e strani rumori.

Gameplay a base di macchina fotografica

Anche dal punto di vista del gameplay MADiSON non può certo essere considerato un titolo innovativo; ed è un peccato in fondo, perché proprio la sua natura estremamente conservatrice non gli ha permesso di raggiungere voti ben più alti, considerando qualità e solidità complessive dell’offerta. L’intera esperienza ruota attorno all’utilizzo della macchina fotografica istantanea del protagonista… solo che lo strumento non funziona più come Luca ricordava (su questo aspetto insiste molto anche il sito ufficiale, com’è giusto che sia). Adesso, a quanto pare, la polaroid è in grado di creare una “porta” tra il regno dei vivi e quello dei morti, svelando segreti, indizi, la strada da percorrere, fino a particolari ben più angoscianti del previsto. L’intera esplorazione della casa di famiglia è in effetti legata proprio all’utilizzo dell’oggetto in questione.

MADiSON

Immaginiamo, ad esempio, di dover risolvere un’enigma ambientale all’interno della soffitta (vi sarà davvero una prova di questo tipo, che per ovvi motivi qui semplifichiamo). Vi sono dei quadri da appendere al muro, secondo una certa disposizione: ma come sapere quale ritratto va collocato in un determinato posto? Ebbene, una rapida foto al muro stesso con la fotocamera svelerà dettagli invisibili all’occhio nudo, per esempio un numero (data che potrebbe corrispondere all’età anagrafica del soggetto del dipinto). Questo è solo uno dei tanti enigmi presenti in MADiSON, alcuni in effetti assai ingegnosi: la dinamica escape room è probabilmente l’aspetto meglio riuscito della produzione. Perché si passa davvero tanto tempo a ragionare su un determinato indovinello, e la soddisfazione ottenuta una volto risolto è notevole.

Per nulla intelligente invece è la gestione dell’inventario del protagonista, fissato ad otto unità per l’intera durata dell’avventura. Che senso ha disseminare la casa di oggetti da raccogliere e ispezionare, se ogni tre per due è necessario tornare ad una delle casseforti di casa per depositare o prelevare altri oggetti, sempre facendo in modo di avere almeno uno o due spazi liberi a disposizione? Questo aspetto non arricchisce in nulla l’avventura del protagonista, anzi rende il tutto tedioso e seccante perché costringe inutilmente il giocatore a tornare sui propri passi, magari proprio sul più bello, perché impossibilitato a raccogliere un oggetto determinate per “sbloccare” la fase successiva della trama. A parte questo, comunque, tutto il resto funziona egregiamente.

Piattaforme: PS5, PS4, PC, Nintendo Switch, Xbox Serie S/X

Sviluppatore: Bloodious Games

Publisher: Bloodious Games

MADiSON è l’ennesimo horror psicologico in prima persona che tenta di recuperare una formula ormai resa celebre – e paradossalmente mai davvero messa in pratica del tutto – dalla demo di P.T. di Hideo Kojima. L’offerta è conservativa, l’esito prevedibile, l’innovazione purtroppo ai minimi termini. Ma questo non significa che sia un’esperienza da ignorare, anzi: per quello che vuole offrire, si tratta anzi di un prodotto solidissimo, piacevole, lodevolmente interessante dal punto di vista della trama e anche arguto per quanto riguarda enigmi e puzzle ambientali. Se vi piace questa tipologia di horror, allora MADiSON è a conti fatti un acquisto imprescindibile: l’importante è che non vi aspettiate da lui soluzioni che non può in alcun modo, per sua stessa natura, offrire. Discreto anche il comparto grafico e tecnico, meno il sonoro. Adesso afferrate la macchina fotografica istantanea e… buona fortuna.

VOTO: 7.8

La formazione del buon Simone, classe '93, avviene pad della prima PlayStation alla mano, a base di draghi viola, gemme e pecorelle fumanti (del resto è un vero abruzzese). Cresce a pane e Dylan Dog, mostrando fin da subito gravi problemi psicologici e mentali. Tra le altre cose ha ancora paura del buio, e probabilmente Stephen King lo approverebbe. Un paio di lauree in letteratura non gli hanno impedito di diventare uno dei massimi esperti del mondo Nintendo; compensa non riuscendo neppure ad accendere una Xbox. È attualmente ai domiciliari per abbandono dei cagnolini di Nintendogs e omocidio degli abitanti di AnimalCrossing.