Payday e il suo sequel hanno fatto la storia dei videogiochi, il loro successo ha rappresentato un punto di riferimento per il genere “crime heist” delle rapine videoludiche. Con un tale eredità alle spalle, è comprensibile che Payday 3 debba affrontare un peso di aspettative significativo. Come migliorare un brand che molti consideravano già al suo apice? Lo studio svedese Starbreeze non si è fatto intimidire da questa sfida apparentemente insormontabile e ha perseguito audacemente la genesi di un prodotto che si pone come seguito, ma anche come nuovo inizio. E ha fatto bene a farlo.
Noi stessi siamo appassionati di Payday 2, vi abbiamo dedicato centinaia di ore, tuttavia siamo anche nelle condizioni di ammettere che con il passare del tempo il titolo è molto invecchiato. Dimostra la sua età avanzata sia dal punto di vista tecnico che per quanto riguarda il suo modello di gestione dei contenuti, il quale è stato rimaneggiato e rattoppato fin troppe volte. Si andava dai loot box a una vasta gamma di abilità eterogenee, persino la sua trama era ormai indigeribile ai neofiti, i quali probabilmente si sarebbero chiesti come mai in un gioco di rapine vi fossero dei punti di trama incentrati su divinità antiche e sul presidente statunitense. Era effettivamente arrivato il momento di gettare un colpo di spugna, di fare tabula rasa.
Payday 3: tra il sequel e il soft reboot
La storica “Payday gang” si è ritirata dal mondo del malaffare ormai da cinque anni, ma un misterioso gruppo di potenti ha deciso di muovere guerra ai singoli componenti tagliando loro i finanziamenti e inviando al loro domicilio degli assassini assetati di sangue. I quattro membri fondatori del team decidono di riunirsi con vecchi e nuovi alleati per sconfiggere il nuovo avversario, nonché, ovviamente recuperare il bottino che gli è stato sottratto. La trama di Payday 3 serve principalmente a riportare alle origini la mitologia del gruppo criminale, a fare da pretesto per avviare un incipit che trascini nell’esperienza anche coloro che si affacciano alla serie per la prima volta. Nessuno si aspettava però un copione complesso; il forte del genere crime heist è la giocabilità, non certamente la storia.
Se per quanto riguarda i contenuti non ci sono molte lamentele, l’esposizione degli stessi evidenzia sin da subito un alone tenebroso che accompagna l’intero gioco. La vicenda viene raccontata attraverso diapositive statiche molto economiche, i volti dei personaggi sono spesso resi invisibili da fitte ombre e il doppiaggio fatica a tenere il passo della scena, accelerando in alcuni punti pur di adattarsi alle clip video. Nel complesso, la presentazione lascia a desiderare, è pregna di quella tipologia di sciatteria che si accompagna alla mancanza di una visione artistica coerente.
Il fatto che la creazione di Payday 3 sia stata notoriamente complicata e tumultuosa non deve aver aiutato. Dal 2015 al 2019, Starbreeze ha affrontato problemi finanziari enormi, i suoi dirigenti sono persino stati coinvolti in scandali di insider trading. Le accuse sono state successivamente ritirate, tuttavia i sospetti hanno creato non di meno dei danni ingenti all’azienda, la quale è stata costretta a vendere la maggior parte delle sue risorse al fine di evitare il fallimento. Come la Payday gang, anche Starbreeze ha insomma dovuto ricominciare da zero, ma per farlo non gli è restato che cercare finanziamenti all’esterno. Inizialmente sembrava che la sua ancora di salvezza sarebbe stata l’italiana Digital Bros, ma alla fine l’onere è caduto sulla tedesca Plaion, la quale ha messo in campo 50 milioni di euro per assicurare che Payday 3 venisse portato a termine. Digital Bros si è consolata pubblicando Crime Boss Rockay City, mentre Starbreeze si è trovata a dover assemblare un “game as a service” che fosse in grado di generare profitto in tempi brevi.
La Payday gang ha perso un po’ di smalto
Sarà per la tormentata genesi, sarà per l’evoluzione dei modelli di distribuzione videoludica, Payday 3 si accompagna a un’impostazione che verte nelle estetiche e nelle impostazioni verso quel genere di modello di live service che solitamente non incontra il favore del pubblico. Gli accessori e le armi devono essere acquisiti gradualmente e le personalizzazioni delle maschere da rapinatore – elemento iconico del franchise – si basano su colori e temi decorativi consumabili, quindi devono essere riacquistati ogni volta.
Al momento del lancio, Starbreeze non ha in verità ancora svelato come vuole monetizzare il titolo sul lungo periodo, i nostri sono sono lucidi timori che si basano su premesse poco invitanti: gli utenti devono creare un account dedicato sul portale degli sviluppatori, non è possibile giocare in single player o offline, lo sviluppo del personaggio è legato agli achievement piuttosto che al successo delle missioni. Il sistema di gioco, in altre parole, spinge al farming degli obiettivi più della riuscita delle missioni. Questi tratti potrebbero rappresentare delle piccole goffaggini, potrebbe essere che i programmatori vi rimedino in tempi da record, tuttavia queste sono anche le tipiche noie che si sposano bene con la necessità di dare un senso a microtransazioni e season pass, il che ci porta ad adottare una certa cautela.
L’offerta di missioni e armi è peraltro attualmente molto limitata, tuttavia bisogna riconoscere che il gioco sia ancora in fase di espansione. Gli sviluppatori hanno annunciato che in un futuro non meglio definito trasferiranno tutto il loro lavoro sul motore grafico Unreal 5, quindi è facile pensare che Payday 3 finirà con l’assumere un carattere definitivo solamente dopo aver compiuto il grande passo. Di nostro, non abbiamo idea di come una simile evoluzione possa incidere sul prodotto finale e persino Starbreeze sembrerebbe non essere dotata di un piano d’azione particolarmente dettagliato e definitivo.
Nel caso non fosse già chiaro, il modo di porsi di Payday 3 non ci ha colpiti positivamente. A farci storcere il naso sono soprattutto i briefing di inizio missione, i quali sono narrati con fare coinvolgente, ma sono assolutamente incapaci di convogliare informazioni concrete. Ogni clip racconta l’obiettivo finale del livello, tuttavia il mandante omette regolarmente di approfondire i vari passaggi che permettono concretamente il perseguimento dello stesso. In altre parole, il giocatore si trova eiettato sul campo e da lì deve attendere che il narratore si degni di istruirlo passo a passo. Ancor peggio, una volta conclusa l’avventura, gli utenti vengono rimandati al menù principale senza poter defluire in una lobby, quindi ogni singola missione richiede di avviare un matchmaking dedicato.
Payday 3 è ben più di un Payday 2.5
L’ultima fatica di Starbreeze necessita di un affinamento in quasi tutti gli aspetti, ma esiste un elemento chiave che fin da ora si dimostra estremamente solido: il gameplay. A causa della mancanza di chiarezza nella spiegazione delle sue dinamiche, Payday 3 presenta una curva di apprendimento abbastanza frustrante, tuttavia, una volta sbloccate le prime abilità e compreso lo scopo delle missioni, è possibile apprezzare appieno le solide meccaniche di gioco. Questo terzo capitolo della saga ha ereditato molte caratteristiche dal suo predecessore diretto, snellendo alcune delle sue caratteristiche più complesse e spostando leggermente l’attenzione verso le dinamiche del gioco d’azione. Come in tutti i capitoli precedenti, Payday 3 brilla quando viene affrontato in modo strategico e stealth, ma le sue alchimie sono ora più clementi rispetto a quelle esibite dai suoi avi. È infatti più difficile essere scoperti mentre si ruba la refurtiva e, anche in caso di rivelazione, il combattimento è dinamico, accessibile e pratico. Il sistema di abilità è stato riorganizzato per favorire la creazione di criminali ibridi, ogni utente può di fatto personalizzare il proprio stile di gioco concentrandosi sul concatenare e ibridare abilità specifiche, ottimizzando nel frattempo la propria esperienza di gioco.
Molte di queste abilità offrono bonus all’attacco, alla difesa e alla velocità di movimento che possono essere combinati per ottenere vantaggi interessanti, quali il passare inosservati davanti alle telecamere di sorveglianza. Altrettanto accattivante è la decisione dei programmatori di porre maggiore attenzione alle interazioni eseguite dalla Payday gang all’interno del mondo di gioco. Lo scassinamento delle serrature e l’apertura di teche e lucchetti prevedono tutti l’esecuzione di minigiochi dedicati, è possibile farsi scudo con gli ostaggi ed è stata introdotta una “fase di ricerca” che precede il dispiegamento delle forze di polizia vero e proprio. In questo stato di pre-allarme, le guardie tendono a essere più vigili, tuttavia questo loro essere sul chi vive può anche essere sfruttato a tornaconto dei criminali. Nonostante le numerose somiglianze tecniche con il suo predecessore, Payday 3 introduce insomma un numero sufficiente di innovazioni da giustificare la sua natura di sequel completo. Una semplice espansione non sarebbe infatti stata sufficiente a contenere in maniera pulita tutte le modifiche introdotte, soprattutto se si considera che Starbreeze mira a utilizzare il titolo come base d’appoggio per almeno un anno di futuri aggiornamenti e contenuti.
Piattaforme: PC, PlayStation 5, Xbox Series X|S
Sviluppatore: Starbreeze
Publisher: Deep Silver
Payday 3 rappresenta un diamante grezzo, ma il suo destino dipenderà fortemente dagli obiettivi che Starbreeze si è posta. Il gioco offre un gameplay divertente, una rigiocabilità praticamente infinita e una colonna sonora eccezionale, tuttavia, al momento del lancio, il contenuto è estremamente limitato e scarno, inoltre alcuni elementi frustranti ci fanno temere che gli sviluppatori vogliano buttarsi a capofitto sull’accezione negativa del modello “games as a service”. Resta da sperare che i problemi riscontrati vengano risolti, ma c’è il timore che alcune di queste frustrazioni siano parte di un sistema di monetizzazione che potrebbe offuscare l’esperienza di gioco.
