CAPITOLO 4 – COME IN UN FILM
Andai a verificare il contenuto del cassetto, trovai una magnum e una scatola di proiettili. La pistola era già caricata così misi i proiettili in tasca e mantenei ben salda la revolver alla mano. Stavo per uscire dalla stanza, quando la porta d’ingresso si aprii velocemente, subito puntai la pistola in direzione del “qualcuno che aveva aperto la porta”. Era nuovamente l’uomo col cappello che con le mani in alto disse: «calma amico, avevo dimenticato la giacca», la prese e senza nemmeno infilarsela sparì nuovamente di scena. Con la mia nuova e sfavillante arma, uscii da quella stanza infernale e continuai il viaggio senza ritorno. Le creature ributtanti nel frattempo se n’erano andate, così giunsi fino alla fine del corridoio. Là c’era una porta, e visto che ero armato fino ai denti e la forza d'animo non mi mancava, la aprii con fermezza e puntai la pistola in avanti, tenendola orizzontalmente come fanno nei film d’azione. In mezzo alla stanza c’era un’incantevole ragazza energicamente attraente, occhi azzurri, capelli biondi e lunghi, uno sguardo sensuale che parlava da solo, un abito scollato che faceva intravedere un reggiseno che le comprimeva al massimo le tette. Ci misi giusto tre secondi per riflettere, e alla fine arrivai alla conclusione che la tizia stava dalla parte dei cattivi, anche perché un bel pezzo di donna del genere se fosse intrappolata in un posto come questo, non esiterebbe a sbraitare “aiuto” a destra e a manca, così le dissi: «accuccia bella!», e le piantai una pallottola in mezzo alla testa, che talaltro rimase fumante per un bel po’, in realtà non volevo farlo, ma il grilletto si rivelò inspiegabilmente morbido. Non so perché ma feci un sorrisino di piacere, forse provocato dalla frase crudele che le dissi o forse provocato dalla situazione dalla trama piuttosto cinematografica in cui mi ero cacciato, o forse perché stavo impazzendo. Esaminai la stanza con lo sguardo prima di entrare, andai direttamente dalla donna appena freddata, e notai che in mano aveva una videocassetta, in effetti la fanciulla stava davanti ad un televisore posizionato sopra un videoregistratore, infilai la cassetta al suo interno e accesi la tv. Apparvero delle immagini caotiche, prive di significato, poi all’improvviso fece comparsa una tizia di colore, era senza dubbio la stessa ragazza che mi aveva rifilato il sonnifero nella vodka, Meg, fece un discorso che mi fece dissestare lo stomaco, le sue parole furono queste: «Salve sig. Anderson. Mi sorprende che lei sia riuscito ad arrivare fino a qui, probabilmente con tutto questo pandemonio avrà già digerito la vodka che le ho cerimoniosamente offerto, benché la festa non sia finita, è giunto il momento di spiegarle che posto è questo. Lei fa parte di un gioco, uno svago, un’ esperimento, una prova alquanto eccentrica sovvenzionata dal mio padrone. Egli si diverte a rendere folli ed irreali le vite altrui, condendo il tutto con litri di sangue e creature deformi create da lui e alimentate con interiora umane. Si diverte nel vedere esseri umani che si contorcono sulle loro viscere colate fuori dalle orbite oculari. Ride, soddisfatto di fronte a spettacoli a base di orrore puro e reale, di fronte a uomini, donne e bambini straziati dal dolore, corpi mutilati, arti spezzati, persone che vengono buttate in mondi irreali e che soccombono trucidate da mostri dalla carne purulenta che si contorcono e si contorcono si contorcono e si contorcono ancora! Esistono più realtà di quanto lei pensa sig. Anderson, il vostro odiarvi, la vostra sete di sangue e di potere, hanno attirato la nostra brutale e atroce realtà verso la vostra, mirando a conglobarsi, creando un unico universo di sangue, morte e distruzione. «Benvenuto nel nostro regno».
«Ma…, chi siete voi?», ribattei; «Che importa chi siamo, noi siamo e saremo, sempre». Dopo un minuto di riflessione, capii che ero finito in un incubo da cui non potevo svegliarmi, non avevo tempo per ragionare sulla razionalità della situazione, non potevo soffermarmi a pensare che tutto ciò fosse un’illusione, uno scherzo o chissà cos’altro, i fatti parlavano chiaro e non potevano essere interpretati in alcun modo. Ero la star di un orrore, l’ospite di uno show della pazzia, un condannato a morte. Non sapevo che fare, tutto ciò appariva così assurdo, ma non potevo arrendermi, come avrei potuto?. Dalla tv e dal videoregistratore fuoriuscirono litri di sangue, così, convincendomi che fosse succo di pomodoro, uscii dalla stanza salutando la biondina rimasta secca e provai ad entrare in un’ altra stanza, altro non potevo fare. La nuova stanza era umida, fredda e dotata di due faretti mal funzionanti ai lati, mentre il soffitto era attraversato da una serie si tubi gocciolanti che col tempo avevano prodotto una pozzanghera, gli arredi di questa villa mi fecero balzare alla mente un certo videogame. “No, non può essere”, pensai. Davanti a me si estendevano due gallerie ad arco di circa 10 metri, sopra quella di destra vi era appeso un cartello con la parola “salvezza”, mentre in quello della galleria di sinistra vi era scritto “morte”, pensai che ci fosse una fregatura in tutto ciò, ma per poter proseguire dovevo ragionare, così feci la seguente riflessione: la salvezza era sicuramente la morte e viceversa, o magari la salvezza era veramente la salvezza, e la morte era veramente la morte, ma chi c’è gli ha messi avrà sicuramente capito il mio ragionamento, si, ma quale dei due? Dopo questo casino mentale decisi di prendere la via della salvezza, corsi fino alla fine della galleria e mi accorsi che portavano tutt’ e due nella medesima stanza, quest’ultima era identica a quella di prima, solo che sopra la galleria da me attraversata non c’era scritto salvezza, bensì….. Aprii la porta per accedere in una nuova locazione, sperando che fosse meno incasinata di quella precedente.
CAPITOLO 5 – RITORNO A FOGGY TOWN
Aprii lentamente la porta, non credevo ai miei occhi, davanti a me si estendeva lo stesso corridoio che mi aveva permesso di entrare nella stanza delle due gallerie, solamente era sparito il sangue dalle pareti che erano diventate bianchissime, stranamente potevo sentire l’odore della vernice fresca!. Tutto sembrava nuovo, e in più erano scomparse le orripilanti creature e quei fragori angoscianti. Scesi subito le scale per tornare all’ingresso della villa, trovai il caminetto acceso e il comodissimo divano sistemato. Aprii la porta d’ingresso per uscire fuori dalla casa della morte. Le tavole del portico non scricchiolavano più e la nebbia si era dissipata. Presi la piccola imbarcazione che mi aveva accompagnato fin qui, gettai la dannata bussola in acqua, e proseguii, remando verso la salvezza. Dopo pochi minuti di navigazione, attraccai la barchetta in una collinetta che distava pochi passi dalla strada sterrata in cui avevo parcheggiato. Tirai un sospiro di sollievo, sia perché questa storia sembrava apparentemente finita sia perché non mi avevano fottuto l’auto, e, ora che ci penso, la festa non è stata particolarmente divertente. Entrai in macchina e tornai alla statale 230, diretto verso Foggy Town. Erano le 3.58, l’incubo materiale era durato fin troppo. Arrivai nel mio appartamento, e con terrore scoprii…..di aver lasciato le chiavi nell’automobile! Andai a prenderle ed entrai in casa, corsi subito in bagno per farmi una doccia fredda, per poi andare a dormire. Non feci incubi, al contrario feci un bellissimo sogno, non posso raccontarlo perché sarebbe troppo volgare ed imbarazzante. La mattina mi alzai felice, movendomi a ritmo di “Billie Jean” di Micheal Jackson. Mi lavai per bene, mi profumai e vestii casual, salii in macchina, ero felice, mi recai alla Game Star prendendo la strada più lunga e meno trafficata, erano le 8.45, ero in anticipo di 15 minuti, ero felice. Cercai di sopprimere l’idea che tutto ciò che era successo la notte prima fosse solamente un incubo, un incubo psichico, immateriale. Arrivai alla Game Star orgoglioso di farne parte, adoro gli attimi in cui introduco la mia personale tessera magnetica nel rilevatore di apertura della porte automatizzate, per non parlare poi del solito percorso che faccio al suo interno prima di arrivare nel mio ufficio: dritto fino alla reception, salutare Cindy, la receptionist appunto, pensare robe sconce su Cindy la receptionist, corridoio di destra, corridoio di sinistra, ascensore, su fino al 3° piano per prendere un caffè dal distributore, solamente per approfittare del fatto che a quel piano ci lavora Sarah, visto che il distributore è presente in quasi tutti i piani. Sarah è una di quelle ragazze che si possono definire unicamente con un banale termine: bella gnocca, si insomma, è incredibile il fatto che non si accorga di essere stupenda ed attraente, per questo dialogare con Sarah significa avere i nervi saldi. Quando parliamo non posso far altro che seguire i movimenti delle sue calde e morbide labbra e tratteggiare mentalmente le curve del suo seno perfetto, tutto ciò in totale assenza dallo spazio-tempo e con il sudore in fronte. Le nostre conversazioni sono “totalmente incasinate e incomplete”, d’altronde, parla solo lei, mentre io presto attenzione unicamente alle sue labbra e alle sue tette, e quando lei si rivolge a me con un profondo «mi stai ascoltando?», io tiro fuori la solita scusa del ritardo e dei lavori da sbrigare per cui debbo scappare, poi segue un lancinante minuto di imbarazzo attendendo l’arrivo dell’ascensore. Salgo su fino al 49°, sempre dritto, corridoio di destra, porta e poi dritto nel mio box-ufficio, come ogni giorno...
Non ho idea di cosa mi sia capitato e che senso abbia tutto ciò. Tuttora non so se quello che ho vissuto sia stato reale o meno, ma so per certo che ciò che ho vissuto è stato un qualcosa di terribile e spero che non capiti a nessuno al mondo.
FINE