E gli hikikomori, i ragazzi che si chiudono in stanza per mesi o anni e rifiutano ogni contatto sociale?
Hikikomoro letteralmente vuol dire "segregato". In Italia si parla spesso dei danni causati da videogiochi e playstation. In Giappone succede lo stesso, ma in proporzioni maggiori perché lo sviluppo tecnologico negli ultimi decenni ha raggiunto dei ritmi vertiginosi.
In Giappone infatti c'è malessere giovanile. Ma la colpa non è né dei videogiochi né dei fumetti, ma del cambiamento dell'organizzazione del lavoro, della drastica scomparsa del lavoro fisso, dell'incapacità delle istituzioni scolastiche ad affrontare dei problemi adolescenziali e del venir meno dell'assistenza sociale.
E dal malessere al fenomeno otaku qual è il passo?
Il bisogno di differenziarsi dagli adulti, di trovare dei lavori nuovi, come fumettisti, venditori di fumetti, cubiste, etc. Lavori che, proprio perché nuovi, vengono visti male dagli adulti. E così gli otaku finiscono per il subire il contraccolpo del capro espiatorio. Gli otaku, si dice, sono strani. È un preconcetto. Non si vuole capire che i giovani cercano di arrangiarsi e di crearsi una nuova identità, perché le leggi non permettono loro di diventare adulti.
Gli otaku costruiscono nuove realtà. Quindi non è vero che si tratta di giovani indolenti...
Assolutamente no. I giovani inventano vestiti, si incontrano e creano mode riprese da fumettisti e stilisti giapponesi e occidentali. Creano una rete di contatti e nei quartieri e su internet. Organizzano raduni. Così anche in Italia: si pensi alla Fiera dei Fumetti di Lucca e a Romics. Si travestono come i loro eroi animati. È un sintomo di creatività, di capacità manuali e artistiche. Riscoprono il gusto personale. Sanno che travestendosi o indossando abiti trasgressivi potranno apparire ridicoli o strani, ma hanno la capacità di ironizzare su se stessi.