premessa: non fa ridere. Ma è comunque bello. A voi.
Il cacciavite e le ciabatte
Un giovane cacciavite si destò, una mattina come tante, un poco confuso.
“Devo aver ruotato troppo, ieri, per stringere quei chiodi” Ripeteva a sé stesso, cercando di spiegare questo suo improvviso quanto imprevisto malore. I suoi pensieri vennero presto interrotti da un paio di ciabatte, adagiate poco più in basso, ai piedi del mobile ove era stato riposto frettolosamente, il giorno prima:”Ehi, che si dice?” domandarono le inquiete pantofole. Il cacciavite, sebbene udisse una sola voce, era certo che a disturbarlo fosse un paio di pantofole. Aveva sentito dire che esse fossero talmente complici ed affini tra loro da poter pensare allo stesso modo, nello stesso esatto momento; e parimenti riuscissero dunque a comunicare tramite una sola voce.
“Vorrei non essere disturbato, invero: ieri è stata una giornataccia, il mio padrone mi ha fatto fare gli straordinari, e a forza di avvitare, ora ho un mal di testa terribile!”.
“Tu menti” risposero sgraziatamente gli orribili e volgari calzari.
“Perché mai dovrei mentirvi, infime ipostasi dell’Uno?” Rispose sorpreso il cacciavite.
“E’ ovvio: i cacciavite non pensano, non parlano, né, tantomeno, possono avere mal di testa”
“Ma che diamine state dicendo?”Sbottò innervosito l’arnese.
“Dico il vero, caro cacciavite. E’ ora che dischiuda i tuoi occhi sul nulla, e li chiuda in eterno sulle illusioni di cui sei composto, e su quelle che ti circondano. Solo così potrai essere, cessando di non essere”.
“Non capisco, che andate dicendo? E poi, perdonatemi, ma dovrei dar retta ad un paio di ciabatte? Forse che anche voi, al pari mio, non dovreste essere dotate di intelletto? Eppure siete qui, a discutere con me”
“ Tu vai errando, cacciavite. Noi stesse siamo frutto delle illusioni di cui sei vittima: noi che ti invitiamo a chiudere gli occhi sulle falsità fenomeniche, siamo falsità fenomeniche. Se davvero fossimo parte dell’essere, avremmo cessato di essere ambigue e corrotte. Ed invece siamo ancora qui. Cacciavite, tu non puoi parlare, né pensare, né noi possiamo risponderti, e tantomeno interrogarti” Replicarono, serie, le ciabatte.
“Ammettiamo che la realtà sia un’illusione: io in tale illusione sussisto, penso, rispondo; quindi sono: ho forse bisogno di avventurarmi in dubbiose speculazioni, le quali mi conducono a dubitar di tutto? E se anche lo facessi, non cadrei forse in contraddizione:? Mi ritroverei infatti a pensare “io non penso”.
Le ciabatte esitarono un attimo, poi, tutt’un tratto, scomparvero.
Il cacciavite rimase interdetto. In principio un lampo di gioia illuminò il suo volto, più tardi, ripensando all’accaduto, il ghigno di trionfo andò pian piano scomparendo “ Se avessi avuto ragione, esse avrebbero dovuto continuare a rimproverarmi, perseverare nel tentativo di persuadermi. Viceversa, sono scomparse, ed ora mi sento vittima di una allucinazione. Ora dubito di tutto, poichè esse non mi hanno dato nemmeno un valido motivo per poter dubitare e, sconfitte, si sono ritirate. In questo modo, paradossalmente, hanno sancito la vittoria delle loro tesi”.
Il cacciavite si distese lentamente nel cassetto ove era stato riposto la sera prima-il mal di testa sembrava passato- senza smettere di pensare. “ E così i fulmini: essi sono reali, dilaniano impietosi le vellutate coltri della notte, già tormentate dall’incessante cadere della pioggia. Essi sono, mi dico. Ma un attimo dopo, eccoli svanire: nella loro cieca volontà di manifestare il loro essere, confermano di non esistere. E così qualsiasi cosa” Queste congetture lo tormentavano a tal punto, che non riusciva a rimanere fermo un attimo, e rotolava senza sosta, assorto in un mare di burrascosi pensieri, senza che cessasse però la speranza che gli occhi della sua mente riuscissero a scorgere un limpido lumino all’orizzonte, un docile approdo per l’intelletto, in mezzo a tanto caos.
“L’unica cosa che è, è l’assenza di cose. E’ il fulmine scomparso. Anzi, il non-fulmine; il non essere. Ho appena scrutato l’orizzonte: oltre la foschia nessuna luce, ma il vuoto”. Giunto a questa conclusione, decise di riprendere contatto con la realtà ( pur intendendo per realtà “illusione”), e discese dal suo quieto giaciglio. Con un tonfo precipitò sul pavimento, ed una volta rialzatosi, cominciò a passeggiare, per la casa, com’era solito fare nel tempo libero, passando di stanza in stanza.
“ Salve signor tostapane!” gridò rivolto all’elettrodomestico, posto sul tavolo della cucina.
“Buongiorno a lei signor cacciavite!”