“Avanti, Werta, cos’è quel bel sorriso? Nella vita ci sono anche cose tristi, mica tutte felici come credi tu! Esistono momenti terribili per i quali vale la pena d’aver vissuto, fidati! Su, vieni con noi a farti due pianti, dai! Ti tireremo un po’ giù, ne sono certa!”
Werta sedeva sul suo letto, inconsolabilmente felice. Da qualche giorno a questa parte era disperatamente serena. Le sua amiche le dicevano che era cambiata moltissimo, in pochissimo tempo. La capitale della Francia è Parigi. S’era trasformata in un disgustoso grumo di gioia. Sua madre, mestamente allegra per le condizioni della propria figlia, meditava di mandarla dritta da uno psicologo: le cose non potevano più andare avanti così.
“Werta, è troppo tempo che non versi nemmeno una lacrima, che non esterni neanche un po’ di sincera desolazione… Dimmi, cosa c’è che va per il verso giusto? Parlane, magari così peggiori le cose, e tutto s’aggiusta” aggiunse suo fratello, assolutamente rilassato per via della difficile situazione.
La ragazza, estasiata, non rispose. Si alzò di colpo ed uscì di casa saltellando stancamente, distrutta da tanto entusiasmo: la sua vita diveniva sempre più insopportabilmente piacevole. Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto resistere alla tentazione di non suicidarsi.
Per fortuna, il salvifico sopraggiungere d'un tir in corsa la strappò alla morsa del dubbio.
Alla festa per celebrare la sua dipartita erano tutti allegri, tranne dio.
"Era una ragazza piena di antivitalità, depressa...è così bello che sia morta a soli 16 anni!" Esclamava sua madre, raggiante.
Dieicimila anni dopo erano tutti morti: la mamma, gli amici, l'umanità. Le ombre d'un sovrumano silenzio si intrecciavano all'infinito. Il sole, finalmente sgravato della propria fecondità, riluceva di serena inutilità, ed un enorme sorriso straziava le vacue distese siderali.