«La Torah sia legge di Stato» «Così si tradisce la laicità di Israele» 09/12/2009 28 Esteri Nazionale UMBERTO DE GIOVANNANGELI 09EST28a 3917 car. La platea accoglie quelle parole con un applauso scrosciante. Un applauso inquietante come le parole che lo hanno scatenato. Lo Stato d’Israele deve essere pienamente governato dalla legge ebraica della Torah e il suo sistema normativo si sta già avviando, «passo dopo passo», in questa direzione. DERIVA FONDAMENTALISTA A sostenerlo - fra le ovazioni della destra religiosa e la reazione inorridita esponenti dei partiti laici - è il ministro della Giustizia israeliano, Yaakov Neeman, parlando a Gerusalemme dinanzi a una platea di rabbini e studiosi della Halakha (la legge religiosa ebraica). «Passo dopo passo, noi daremo ai cittadini d'Israele le leggi della Torah e faremo della Halakha la legge fondamentale dello Stato», scandisce Neeman, un ministro-tecnico, giurista di formazione, scelto personalmente dal premier Netanyahu. Per questo la sua uscita è destinata a scatenare un’ondata di polemiche tra le «due Israele». «Noi dobbiamo riportare la nazione d'Israele all'eredità dei nostri Padri, la Torah ha la soluzione completa a tutte le questioni con le quali ci confrontiamo oggi», dice fra gli applausi di studenti dei collegi rabbinici, politici come il ministro dei Trasporti, Yisrael Katz (“falco” del Likud, il partito di Netanyahu), o il ministro dell’Interno, Eli Yishai (Shas, il partito ortodosso sefardita), autorevoli rabbini come Ovadia Yosef (guida spirituale di Shas) o il più moderato Yona Metzger, rabbino capo d'Israele per la comunità askhenazita. Sdegnata la protesta del deputato Nitzan Horowitz (Meretz, sinistra sionista), che ha definito le idee di Neeman un tradimento dei «valori laici dello Stato d'Israele e del Sionismo», denunciandole come «una visione orripilante che precipiterebbe Israele nel cuore del terzo mondo». «Le affermazioni di Neeman segnalano un pericoloso processo di “talebanizzazione” che sta permeando la società israeliana», gli fa eco Haim Oron, capogruppo del Meretz alla Knesset. LE DUE ISRAELE «È davvero inquietante che a dare legittimità istituzionale ad affermazioni integraliste sia un ministro, e per di più della Giustizia», riflette con l’Unità lo storico Zeev Sternhell, vittima nel settembre del 2008 di un attentato ad opera di elementi dell’estrema destra ebraica. «Le idee estremiste - aggiunge Sternhell - sono oggi parte del pensiero, e dell’azione, della classe dirigente del Paese. E ciò mi spaventa». «Non mi meraviglio più di niente, ormai - gli fa eco Yael Dayan, scrittrice, paladina dei diritti delle minoranze, più volte parlamentare laburista - Stiamo parlando - ci dice al telefono la figlia dell’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan - di un governo il cui ministro degli Esteri (Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beitenu, destra nazionalista, ndr) si fa vanto di aver proposto il giuramento di fedeltà allo “Stato ebraico e sionista” per i cittadini arabi-israeliani (oltre il 20% della popolazione, ndr). «I pionieri sionisti avevano realizzato un matrimonio di convenienza con gli ortodossi. Ma col passare del tempo il prezzo di questo matrimonio si è fatto sempre più alto, quasi insostenibile per chi crede ancora nella necessità di mantenere una qualche sostanziale linea di demarcazione fra Stato e religione», rimarca lo storico e politologo Eli Barnavi, già ambasciatore israeliano a Parigi. L’Israele che rivendica la superiorità di Eretz Israel (la Terra biblica) su Medinat Israel (lo Stato) non contempla nel suo vocabolario politico-ideologica la parola «compromesso». Una parola estranea, ostile, a ogni fondamentalismo. Scrive Amos Oz: «Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte>>