"Ogni singola decisione che prendiamo e ogni respiro che facciamo aprono alcune porte e ne chiudono molte altre." [Douglas Adams - Praticamente innocuo]
A questo fatto aggiungerei che, indipendentemente dalle porte che apriamo e quelle che chiudiamo, è come se scegliessimo deliberatamente, in continuazione, di sbatterci contro il muso, o chiuderci un dito, o andare ad urtare con l'alluce contro lo spigolo e via dicendo. Forse la citazione c'entra con l'argomento come il wasabi sulle meringhe, ma mi piaceva l'associazione di idee e non sapevo come iniziare il thread.
Io sto cercando di capire perché veniamo abituati ad autodistruggerci. Sono dell'idea che le nostre personali rogne vengano generate e alimentate per la maggior parte dalle nostre scelte e dal nostro modo di porci con i problemi, e di interpretare quello che avvertiamo.
Tendiamo ad essere i nostri peggiori nemici, a cominciare dal mattino. Un tale Milton Erickson, psichiatra americano, tra i suoi studi ha fatto delle osservazioni sul modo in cui la gente, quando suona la sveglia, si motiva ad alzarsi. Approssimativamente, tra i vari processi mentali, ci sono due principali approcci. Il positivo consiste nello stimolarsi pensando a quanto di bello ci aspetta, mentre il negativo, da quanto mi pare d'aver capito enormemente diffuso, nel minacciarsi con l'idea delle conseguenze deleterie che ci saranno nell'eventualità in cui non ci si alzi in tempo. Quest'ultimo è indubbiamente un inizio giornata di merda e denota in genere un approccio piuttosto autolesionista alla vita.
Ci accade non di rado di sentirci attratti, nei legami affettivi e nelle infatuazioni amorose, da chi ha una scarsa considerazione di noi, e di provare interesse nullo se non noia nei confronti di chi ci apprezza e vuole avere a che fare con noi. Per la serie "non entrerei mai in un club che accetti tra i suoi membri un tipo come me".
Sin troppo spesso, per incapacità di ascoltare le nostre effettive esigenze fisiche e i messaggi che il corpo ci manda, avvertiamo come più buoni i cibi che ci devastano maggiormente l'organismo. I Mc Donald's sono costantemente affollati, e i bambini preferiscono quasi sempre una merendina della Kinder a una mela.
Quando soffriamo usiamo reagire al dolore reprimendolo e ricorrendo a palliativi che danno assuefazioni e ci distruggono, alimentando i problemi che lo generano e quindi il dolore stesso, o creandone uno nuovo che lo peggiora. Oppure lo ascoltiamo appieno, e anche se è già un approccio migliore in ogni caso lo ingigantiamo e gli diamo tutta la nostra attenzione, non riuscendo a vedere altro, nonostante ci sia tanto altro, e rischiando di entrare in stati di apatia e depressione.
In momenti in cui non abbiamo particolari crucci talvolta è come se in una zona del nostro cervello albergasse una specie di senso di colpa all'idea di star bene, con tutto lo schifo che c'è nel mondo e tutto quello che potremmo fare in quel momento per gli altri, per dirne una. Quando muore qualcuno a volte si ha una sorta di paura di non soffrire abbastanza e di essere perciò un mostro.
Ci sono un fottìo di esempi possibili a dimostrare che ci facciamo male, che sembriamo volercene fare e che se qualcuno tenta di farci smettere magari ci incazziamo pure.
Tocca volersi bene, direi. Che significa volersi bene? So che il risultato è quello di fare ciò che è necessario per star bene (che penso sia anche indispensabile se si vuol essere di sostegno a qualcun altro), ma mi sfugge l'essenza del concetto, forse difficile da esporre a parole.
Era più da OTR? Ho un po' di difficoltà a stabilirlo. Mah, 'sticazzi.