Segugio continua le sue indagini: 'Bricolage'
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Discussione: Segugio continua le sue indagini: 'Bricolage'

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  1. #1
    Cyber Spread
    Ospite

    Occhiolino Segugio continua le sue indagini: 'Bricolage'

    Bricolage.

    Come diceva il grande Paolo Panelli in uno dei suoi simpatici varietà televisivi: cari amici, eccoci giunti al nostro appuntamento col bricolage. Che cos’è il bricolage? Secondo la definizione di un dizionario, “è un'attività manuale che consiste in piccoli lavori che una persona, generalmente non professionista, esegue per proprio conto e propria soddisfazione.
    Claude Lévi-Strauss ha definito il bricolage "un riflesso sul piano pratico dell'attività mitopoietica".
    La mitopoiesi (dal greco μυθοποίησις "creazione del mito") è un genere narrativo nella letteratura moderna e nel cinema dove viene creata una mitologia fantastica dall'autore o dal regista.
    E noi qui abbiamo un appassionato di mitopoietica, che risponde al nome di Massimo Ciancimino, che lo scorso 9 febbraio, in veste di testimone al processo per favoreggiamento a carico del Generale Mario Mori e del Colonnello Obinu, ha prodotto un documento.

    Questo documento:
    …anni di carcere per questa mia posizione politica intendo dare/portare il mio contributo (che non sarà modesto/di poco) perché questo triste evento non abbia a verificarsi. Sono convinto che se si dovesse verificare questo evento (sia in sede giudiziaria che altrove) l’On. Berlusconi metterà/vorrà mettere a disposizione una delle sue reti televisive.

    Inoltre, in questi documenti, si parla di “un evento”. Che cosa sarebbe questo evento?

    Secondo Massimo Ciancimino, questo evento sarebbe un ”Atto intimidatorio”, un “progetto di eliminazione fisica” di un familiare di Berlusconi, se questi non avesse ceduto al ricatto concedendo a Provenzano l’uso di un canale televisivo, non si capisce bene per fare che cosa.
    Ma se leggiamo il documento prodotto in Tribunale, vediamo che “l’evento” di cui scrive Vito Ciancimino, è un evento che dovrebbe avvenire “in sede giudiziaria”. Non credo quindi che si tratti dell’eliminazione fisica di qualcuno, altrimenti non si capisce perché Ciancimino dovrebbe aver ipotizzato il suo verificarsi “in sede giudiziaria”. Normalmente quando si paventa un evento che dovrebbe verificarsi in sede giudiziaria, si dovrebbe trattare di un’iniziativa più dipendente dai magistrati, che non della mafia.
    Chissà a che cosa si riferiva realmente Vito Ciancimino, quando sosteneva di voler andare in televisione e di “convocare” (la stampa?) nel caso si fosse verificato un certo evento in una sede giudiziaria. Saperlo.
    Noi negli ultimi anni abbiamo assistito a molti eventi importanti in sedi giudiziarie, di cui alcuni, tanto per fare un esempio a caso, riconducibili tutti al tentativo di incolpare i carabinieri che catturarono Riina, delle cose più infami: non aver voluto perquisire il covo di Riina, non aver voluto catturare Provenzano, e soprattutto, di essere arrivati ad un accordo con “U Tratturi”, che gli garantiva impunità e libertà di movimento, grazie soprattutto agli uffici del consigliori Vito Ciancimino.
    E’ un vero peccato che Don Vito sia morto nel 2002, e non aver così potuto vedere le sue reazioni ed assistere ai suoi commenti ed alle sue testimonianze, nelle circostanze di tali eventi.
    Ma per fortuna, abbiamo invece il figlio, che reagisce, parla, e commenta.
    E produce documenti.
    Ma torniamo dunque al nostro bricolage.
    Prendete una lente di ingrandimento, un paio di forbici, (oppure una taglierina) e un tubetto di colla vinilica.
    Fatto? Bene. (cit.)
    Ora prendete il documento, ed osservate bene ingranditi questi due particolari:

    particolare n°1




    particolare n°2

    Come potete vedere, nel particolare n°1, compaiono tre righette che sembrano proprio la parte di una parola tagliata a metà. Nel particolare n°2, osservate la lettera “t”: è “tagliata” di brutto in testa da qualche cosa, che incide proprio sulla sua barretta orizzontale.
    Proviamo a vedere se per caso, la lettera “t” e quella mezza parolina, non risultino tagliati dalla stessa sforbiciata.
    Prendiamo inchiostro e penna, e uniamo la base dei tre baffetti del particolare “1” fra di loro, quindi proseguiamo sino al punto terminale sinistro, e poi a quello destro, del trattino orizzontale della “t” che pare tagliato di netto, in modo che la nostra linea si sovrapponga esattamente all’apparente “taglio”.
    Proseguiamo diritti con la nostra linea sia a destra che a sinistra del nostro breve segmento: il risultato è una linea retta dritta dritta perché i 5 punti individuati in precedenza si trovano, giustappunto, esattamente ad insistere sulla stessa retta. Retta che, tra l’altro, va a tagliare anche un minuscolo pezzettino della “d” della preposizione “di” che si trova davanti alla parola “carcere”.
    Eccolo qui, il risultato:


    E ombreggiando la parte superiore alla linea, si capisce ancora meglio:



    Eh, si. Parrebbe proprio che l’indirizzo di Silvio Berlusconi sia stato ritagliato da qualche parte e appiccicato con la colla sulla testa del documento, per poi farne una fotocopia che lo faccia sembrare un tutt’uno.
    Così pare.
    Arrivederci alla prossima puntata della nostra rubrica di Bricolage, e un abbraccio dal Segugio.

    http://segugio.splinder.com/

  2. #2
    Don't be scared homie! L'avatar di Makaveli
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    Avevo già letto, d'altronde quello dovrebbe essere quello che Travaglio chiama il mezzo papello, e a cui infatti mancano misteriosamente delle pagine.

    Insomma l'impressione è proprio che quella parte sia stata incollata sopra e fotocopiata, ci sarebbe da chiedere a questo punto il motivo di tutto ciò.

    Ma d'altronde basta leggere i verbali di Ciancimino per capire che non c'è nulla di chiaro manco nella sua testa (ricordiamo le stupidaggini sul covo di Aldo Moro).

    Per me è tutta spazzatura.

  3. #3
       L'avatar di Ghost85
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    Eh, si. Parrebbe proprio che l’indirizzo di Silvio Berlusconi sia stato ritagliato da qualche parte e appiccicato con la colla sulla testa del documento, per poi farne una fotocopia che lo faccia sembrare un tutt’uno.
    Così pare.
    Arrivederci alla prossima puntata della nostra rubrica di Bricolage, e un abbraccio dal Segugio.

    http://segugio.splinder.com/
    Ottimo? Quindi?
    Ci sono un centinaio di validi motivi del perché abbia usato una fotocopia invece che l'originale

  4. #4
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    Nuovo post di Segugio:

    (se andate sul blog ci sono le dichiarazioni di Ciancimino di cui parla Segugio)

    Dopo la rissa avvenuta due settimane fa nello studio di Annozero con i giornalisti Porro e Belpietro, Marco Travaglio è agitatissimo, e sta riversando fiumi d’inchiostro in merito alle sue frequentazioni sicule del 2002-2003. E questo inchiostro lo sta impiegando soprattutto per richiamare l’attenzione sulle sue spese di soggiorno nell’hotel e nel residence consigliatigli dal suo amico Pippo Ciuro, nonostante nessuno, né Giuseppe D’Avanzo né altri, abbia mai scritto di credere che Travaglio si sia fatto pagare la vacanza dal mafioso Michele Aiello, e tanto meno che possa averlo fatto cosciente dei veri ruoli del boss della sanità sicula e del suo informatore Pippo Ciuro. Lo stesso Filippo Facci, acerrimo antagonista di Travaglio, ebbe a scrivere: “Io sinceramente penso che D’Avanzo abbia rilanciato un’immensa cazzata: Travaglio secondo me non sospettava minimamente che Pippo Ciuro fosse una talpa, se non una talpa a disposizione di giornalisti tipo lui. Ho conosciuto Travaglio quanto basta per escludere ogni ambiguità a riguardo.” Quindi, ad affermare che Aiello ha pagato la vacanza a Travaglio, è stato solo e soltanto Aiello stesso, un uomo condannato per mafia senza tanti sconti.
    Un abituale delinquente dal colletto bianco.

    Perciò noi, in mancanza di altri riscontri, non gli crediamo e non gli abbiamo mai creduto.
    Mica noi siamo come Travaglio, che prende come oro colato, riportandola, come fosse il verbo, nei suoi articoli, la parola del portapizzini (per sua stessa ammissione) di Provenzano, Massimo Ciancimino, quando ad es. racconta ai PM di Palermo di avere reso disponibili, durante una perquisizione del febbraio 2005, le chiavi della sua cassaforte e che i carabinieri non le avrebbero utilizzate.
    Ciancimino Junior infatti (si veda anche il nostro precedente articolo “Quando Fracchia cita Fantozzi”), nel corso di un interrogatorio dinnanzi ai PM Ingroia, Di Matteo e Scarpinato, ha raccontato che, in merito ad una perquisizione effettuata dai carabinieri nel febbraio 2005 nel suo appartamento di Palermo, ove sarebbe stata presente una cassaforte a muro, (perquisizione avvenuta mentre egli si trovava a Parigi), gli era stato detto che la cassaforte, i carabinieri, “non l’avevano vista”.
    Poi ha rettificato: il suo impiegato Vittorio, presente alla perquisizione, ha detto che la cassaforte “ l’hanno vista” e che lui gli ha pure detto dov’erano le chiavi, perché Ciancimino al telefono gli aveva detto di dargliele, se le volevano, ma la cassaforte non è stata aperta lo stesso.
    Poi ha rettificato: al telefono non era con Vittorio, ma con suo fratello. Ed era stato suo fratello a chiamarlo per avvisarlo della perquisizione (e vedremo poi se Travaglio riporterà la stessa cosa).
    Poi ha rettificato: della cassaforte non ha parlato con suo fratello, ma con il maresciallo dei carabinieri che conduceva la perquisizione, a cui ha chiesto “se hanno bisogno di chiavi di cassaforte e robe varie”.
    Poi ha rettificato: non è sicuro di averne parlato col maresciallo, della cassaforte, (col maresciallo aveva invece parlato delle chiavi dell’appartamento di Roma), ma è sicuro di averne parlato con Vittorio, il suo impiegato, e di avergli detto che se i carabinieri volevano le chiavi, queste stavano sotto una camicia.
    Poi, ai PM che gli chiedevano di confermare, viste le varie versioni scaturite nel corso della deposizione, se della cassaforte con Vittorio avesse parlato o meno, col suo telefonino da Parigi, mentre la perquisizione era in corso, Ciancimino ha risposto che Vittorio attualmente lavora a Capri su una barca. (e chissenefrega).
    Poi, incalzato, chiarisce: dice che la perquisizione è stata gestita da suo fratello, che era presente. Il quale afferma che i carabinieri “non gli hanno chiesto di casseforti, niente”. Né è sicuro che suo fratello gli abbia detto che i carabinieri avessero visto una cassaforte.
    Poi, essendo comprensibile, per un magistrato, perdere ad un certo punto la pazienza, dopo un eloquente “omissis”, Ciancimino Junior ha rettificato nuovamente: della cassaforte ne ha parlato con Vittorio al telefonino, ma soltanto “all’esito della perquisizione”, cioè quando i carabinieri se n’erano già andati, e col suo impiegato ha rilevato soltanto che i carabinieri erano stati “gentili” e “signorili” a non occuparsi della cassaforte. Ma niente offerta di chiavi custodite sotto una camicia, dunque.
    Da questo minuetto di versioni a catena, l’una in contrasto con l’altra, l’enigmista Marcus Rebus Travaglius, riesce a distillare una versione concentrata, da vendere, naturalmente come verità acclarata, ai suoi fedeli lettori: “un collaboratore di Ciancimino che assiste alla perquisizione, chiama Massimo Ciancimino che in quel momento era all’estero “ci sono i Carabinieri che perquisiscono” Ciancimino gli dice: se vogliono accedere alla cassaforte gli diamo le istruzioni necessarie per aprirla, neanche a dirglielo questi reagiscono, “non aprite quella cassaforte”, questo è il titolo del film.”
    E nota bene che Travaglio, dalle variopinte dichiarazioni di Ciancimino, riesce a desumere questa certezza, nonostante non vi siano agli atti riscontri oggettivi, a conferma delle parole di Ciancimino, neppure a riprova del fatto che una cassaforte fosse effettivamente presente, nei muri di quell’appartamento, nel febbraio 2005.
    Ma noi non siamo come lui, noi no. A noi non basta la parola di gente come Aiello o Ciancimino per credere e riportare fatti quanto meno improbabili, senza, perlomeno, invocare il beneficio d’inventario.
    E pertanto abbiamo sempre scritto, così come tutti coloro che hanno commentato quei fatti, Giuseppe D’Avanzo e Filippo Facci compresi, che era del tutto improbabile che Aiello avesse davvero pagato la vacanza a Travaglio, così come riteniamo ancora più improbabile che i carabinieri durante una perquisizione abbiano potuto rigettare la proposta di controllare l’interno di una cassaforte.
    Ciònonostante, Travaglio ha sempre affermato il contrario, sostenendo che esistono fior di detrattori convinti della sua malafede: “diversi topi di fogna berlusconiani, su giornali, siti internet, blog e in dichiarazioni pubbliche alle agenzie di stampa, hanno continuato per un anno a insinuare o ad affermare che io mi sia fatto pagare le ferie da altri, addirittura da “mafiosi” e che, dunque, io non possa avere le prove di aver pagato.
    Dopodichè, seguono fotocopie di assegni, estratti conto, ecc…ecc…
    Seguono e riseguono, perché il 22 febbraio scorso Travaglio ha ripubblicato sul suo blog tutta la collezione.
    Ma si tratta di una gigantesca “excusatio non petita”, come già ebbe a scrivere Filippo Facci in un suo articolo di qualche mese fa: “Il punto è che Travaglio ha fatto di tutto, di lì in poi, per veicolare la discussione su questa faccenda del pagamento della vacanza – industriandosi su assegni e matrici e cazzate da magistrato che non è, e vorrebbe essere - anziché concentrarsi sul dato pacifico che riguarda le frequentazioni sue e di Ingroia.
    E, come si vede bene, continua a fare di tutto ancora oggi.
    Ma la verità, la vera ragione per cui non si può discutere di Pippo Ciuro con Travaglio, né in televisione, né da alcuna altra parte, senza provocare la censura isterica del giornalista torinese, e quindi i suoi svicolamenti sulla storia del pagamento delle vacanze, è ben altra.
    Marco Travaglio infatti, è oggi uno dei tanti narratori della Ciancimiade, anzi , fra tutti quanti si trova proprio in prima linea, essendo, come è noto, una specie di portavoce del procuratore Ingroia.
    E fra i versetti travaglieschi della Ciancimiade, ci sono ad esempio questi:
    ““…la trattativa che i Carabinieri cominciano nel 1992, dopo la strage di Capaci, secondo Ciancimino è poi proseguita con l’arresto di suo padre e poi con l’arresto di Riina, Provenzano ha continuato a trattare con altri soggetti che non erano più soltanto i Carabinieri. Carabinieri che peraltro secondo l’accusa, quelli del Ros, quelli di cui stiamo parlando, CONTINUARONO A GARANTIRGLI MASSIMA LIBERTÀ DI MOVIMENTO: Provenzano andava, veniva, si spostava, andava a Palermo, a Roma e la certezza che nessuno l’avrebbe mai acchiappato,…
    Ed ecco dove sta la rogna. La rogna sta nel fatto che proprio la vicenda di Pippo Ciuro e delle talpe in procura, smentisce tale tesi di Ciancimino e Travaglio, e lo fa svergognando lo stesso Travaglio.
    Già, perché Ciuro, Riolo e Cuffaro, sono stati arrestati e condannati per avere informato il prestanome di Provenzano Ing. Aiello, e quindi per interposta persona lo stesso Provenzano, proprio delle attività d’indagine che il ROS stava portando avanti per arrivare ad acciuffare il boss latitante. E ad incastrarli con le intercettazioni, è stato proprio il ROS.
    Per la verità c’era sì un uomo del ROS che aiutava, complice di Ciuro, il clan di Provenzano con le sue soffiate, il maresciallo Riolo. Ma il suo agire non ha nulla a che fare con alcuna trattativa fra stato e mafia: era semplicemente un traditore prezzolato, ed è stato smascherato e consegnato alla giustizia, insieme a Ciuro e a Cuffaro, dagli uomini del suo stesso reparto: il ROS.
    I dettagli sono noti (ma non certamente grazie a Travaglio, ma bensì grazie al Documentario “Doppio Gioco” trasmesso da RAITRE e di cui QUI ho realizzato la trascrizione integrale); vediamoli brevemente.
    Nella primavera del 2001 gli uomini del ROS piazzano microspie e telecamere nella casa del Dott. Guttadauro, aiuto-primario all’ospedale civico, nonché reggente della famiglia mafiosa di Brancaccio.
    Guttadauro è il cognato di Matteo Messina Denaro (attuale n°1 di Cosa Nostra, latitante), nonché l’intermediario che si occupa, per conto di Bernardo Provenzano, delle vendite di immobili di famiglia: ''Mi fanno sapere - scrisse Guttadauro a Provenzano in un pizzino rinvenuto nel covo del padrino l’11 aprile del 2006 - che servono le chiavi per potere far sì che un probabile acquirente possa visitarla...''.
    Sorvegliare Guttadauro con le cimici, può dunque essere una mossa importante per arrivare sia a Denaro che a Provenzano.
    Ma, alla fine del mese di giugno, il boss Guttadauro bonifica l’appartamento, e scopre la microspia dei ROS.
    Fra coloro che hanno messo in allarme il mafioso, ci sono senz’altro Mimmo Miceli, pupillo dell’Udc del leader indiscusso Totò Cuffaro, destinato a diventare assessore alla Sanità della giunta comunale di Diego Cammarata, e Salvatore Aragona, alle spalle una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, un presente da imprenditore con la passione della politica, intercettato dalle cimici nell’appartamento di Guttadauro: “«La Procura sta intercettando, la Procura sta indagando». E cita la sua fonte: «Totò».
    Per tali atti di favoreggiamento, scatteranno le manette, e Aragona inizierà a collaborare, coinvolgendo Cuffaro.
    All’inizio del 2003, il ROS segue un’altra pista, riuscendo ad inserire le cimici sulle automobili del mafioso Nicolò Eucaliptus e dei suoi famigliari. Per gli ufficiali del ROS “Nicolò Eucaliptus è uno degli uomini che hanno fatto la storia di Cosa Nostra”, ed è un indagato importante perché è di Bagheria, territorio di Provenzano: “Stiamo lavorando a Bagheria perché siamo convinti di trovare non solo uno degli astratti contesti di alleanza di cui gode Bernardo Provenzano, ma riteniamo probabile di poterci fisicamente imbattere in lui, nascosto qui, protetto dalla forza mafiosa che la famiglia mafiosa di Bagheria esercita sul proprio territorio naturale.” (Capitano G. Sozzo).
    Ed infatti il 20 gennaio 2003, i ROS captano Nicolò Eucaliptus mentre racconta dei precedenti soggiorni dello “zio” a Bagheria, ma soprattutto preannuncia al figlio importanti novità.
    Nella conversazione intercettata si sente l’Eucaliptus che comunica al figlio Salvatore che gli era stato chiesto di “tenere”, quindi di curare la latitanza di Bernardo Provenzano.
    Nicolò Eucaliptus: …mi domandava se c’è un appartamento libero.
    Il boss dunque si stava avvicinando a Bagheria. Siamo alle soglie del 2003. A quelli del ROS quindi non restava che aspettarlo.
    Il 31 gennaio 2003, però, succede qualcosa di inaspettato.
    Il boss di Bagheria si reca in visita presso gli uffici dell’ ingegnere Michele Aiello, magnate della sanità privata siciliana, e ripete le visite molte volte nei giorni successivi, sino all’11 febbraio. Da quella ultima visita, gli Eucaliptus, padre e figlio, cessano di parlare dentro la Opel intercettata.
    Qualche tempo dopo, la Opel viene addirittura bonificata, e la microspia, rimossa.
    Dei contatti fra gli Eucaliptus e Michele Aiello i carabinieri si resero conto in quanto essi stavano già sorvegliando da qualche tempo anche l’ingegnere. Infatti, in quei mesi, i carabinieri del Nucleo Operativo di Palermo indagavano sulle informazioni fornite dal pentito di mafia Nino Giuffrè, il quale aveva rivelato ai magistrati della Procura che Michele Aiello, era un prestanome del capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano, la primula rossa ricercata dal 1963.
    Ma Aiello è protetto da un gruppo di traditori dello stato, che lo tengono informato di tutto quanto si muove, in procura, nella sua direzione.
    Infatti è l’11 di giugno del 2003, quando il ROS intercetta una telefonata rivelatrice fra l’Ing. Aiello e Pippo Ciuro, un Maresciallo della Finanza in servizio, in quel periodo, alla DIA di Palermo, uomo in cui la magistratura, ed Ingroia in particolare, aveva sempre riposto la massima fiducia.
    MICHELE AIELLO: Pronto?
    PIPPO CIURO: Sono a Roma…30 secondi…l’hai ricevuto il fax ieri?
    MICHELE AIELLO: Si l’ho ricevuto, e domani mattina aspetto conferma se c’è.
    PIPPO CIURO: eh…
    MICHELE AIELLO: Poi domani o dopodomani ci vado
    PIPPO CIURO: Vabbè? Tutto a posto?
    MICHELE AIELLO: Tutto benissimo.
    PIPPO CIURO: dicevo…sono a Roma. C’è uno che parla male di te. Quindi ora…
    MICHELE AIELLO: Ho capito.
    PIPPO CIURO: eh…ora gliele do sul muso..eh eh…
    MICHELE AIELLO: Ho capito.
    PIPPO CIURO: ma dico…con tanto da fare che avete a Bagheria… ma poi…solo Bagheria qui conoscono, in tutta la Sicilia? ..Senti. Ti dice niente, tale “Picciotto”?

    Picciotto, guarda caso, è il nome di un testimone che ha preannunciato importanti rivelazioni sui soldi della mafia di Bagheria.
    PIPPO CIURO: …..no…che dice che questo sa alcune cose di lì.
    MICHELE AIELLO: Mi fa piacere.
    PIPPO CIURO: …cose…no, no…scherzavo con te…no, non era per te.
    MICHELE AIELLO: Addirittura. Ho capito…
    PIPPO CIURO: Vabbè…poi ti faccio sapere. Ciao, grazie…
    MICHELE AIELLO: Ciao.


    E’ un fatto di straordinaria gravità. A tale proposito, il Col. Sottili del ROS avrà a dichiarare:
    Se c’è una fuga di notizie da parte degli organi investigativi, è chiaro che è inutile che noi continuiamo a lavorare, alla ricerca di Provenzano, alla ricerca di pericolosi latitanti, perché non arriveremo mai a nulla.”

    Di lì in poi il ROS svolgerà una raffinata attività investigativa, che porterà ad individuare una rete telefonica segreta utilizzata dai mafiosi, e che si concluderà con l’arresto di Aiello e delle sue talpe nell’ottobre del 2003, e con le loro successive condanne, insieme con quella del politico Totò Cuffaro, anch’egli incastrato dalle stesse indagini.
    Ordunque, chi conosce questi fatti e ne prende atto, non può che rimanere perplesso, molto perplesso, quando oggi legge un giornalista mentre sottoscrive le dichiarazioni di Ciancimino, quando questi afferma che i Carabinieri del ROS in quel periodo erano impegnati a garantire la massima libertà di movimento a Provenzano. E le perplessità si incrudiscono se si pensa che lo stesso giornalista in quello stesso periodo trascorreva giorni felici, in costume da bagno, con una talpa vera, e non inventata, del clan provenzaniano.
    E certo il quadro non migliora, se si pensa che Travaglio nei suoi libri e nei suoi articoli, laddove è durissimo nei confronti dei carabinieri del ROS, è stato invece piuttosto tenero con il Sig. Ciuro:
    «I due marescialli (Ciuro e Riolo, ndr) sono talpine. Manca la talpona»
    «Ciuro si limitò a qualche intrusione nel computer della Procura e a qualche millanteria per farsi bello con il ricco imprenditore. Il grosso lo fece Totò»
    «…LE ACCUSE NON STANNO IN PIEDI. Infatti il maresciallo Giuseppe Ciuro, arrestato nel 2003 per concorso esterno e tenuto in galera per due anni, è stato poi assolto da quell’accusa e condannato per favoreggiamento (REATO CHE NON GIUSTIFICA QUELLA LUNGA DETENZIONE). »
    Ma non solo.
    Le responsabilità di Ciuro, a Travaglio, servirono persino, tanto per cambiare, per prendersela con il procuratore generale Grasso: «Assodato il ruolo di talpe di Ciuro e Riolo, perché gli inquirenti li hanno lasciati circolare indisturbati per mesi negli uffici della Procura?». E poi: «Perché non si sono informati subito i pm più vicini a Ciuro per limitare i danni che le sue soffiate potevano arrecare alle loro indagini?».
    Al che, il procuratore Pietro Grasso scriverà al Corriere della Sera accusando Travaglio e Lodato (coautore del libro “Gli intoccabili”) di fare «disinformazione scientificamente organizzata». E la replica di Travaglio sarà naturalmente, molto dura: “Se il dottor Grasso ha qualcosa da smentire, lo faccia. Se si ritiene diffamato, ci quereli, così avremo la possibilità di difenderci dalle sue generiche quanto oltraggiose affermazioni. Come lui ben sa, non ci mancano i testimoni pronti a confermare quanto abbiamo scritto … Testimoni che potrebbero pure raccontare la curiosa gestione del caso Cuffaro, «salvato» (contro il parere di quasi tutta la Dda) dall' accusa più grave di concorso esterno, accusa per la quale suoi presunti complici sospettati di comportamenti infinitamente più lievi sono stati arrestati, tenuti in galera per un anno e mezzo e alla fine (già in un caso) assolti. Testimoni che potrebbero raccontare che fine abbia fatto il «metro Falcone», tutto basato sullo scambio costante delle informazioni fra i membri del pool antimafia, nei sei anni del procuratore Grasso, continuamente contestato da numerosi pm della Dda tagliati fuori da qualunque notizia sulle indagini di mafia-politica e costretti ad apprenderle dai giornali o dai libri
    Peccato che oggi quel Travaglio, la cui barca oramai fa acqua da tutte le parti, sia stato smentito in pieno da un importante giornalista, che si chiama Marco Travaglio: “Seppi poi da Ingroia che lui era al corrente delle indagini su Ciuro fin da prima dell’estate, (e vale a dire immediatamente, perché Ciuro fu scoperto l’11 giugno 2003 - ndr) ma che – d’intesa con il procuratore capo, Piero Grasso – aveva dovuto continuare a comportarsi con lui come se nulla fosse, per non destare sospetti.” (da: “L'armadio degli scheletri” di Marco Travaglio – 22/02/2010).
    Quindi Grasso aveva tutte le ragioni, quando parlava di disinformazione di Travaglio, mentre il Travaglio, quando tuonava contro la carenza d’informativa usata con Ingroia, scriveva cazzate.
    Ed è Travaglio stesso a darcene conferma con una rivelazione che egli oggi prova ad utilizzare quale dimostrazione della sua buona fede nei rapporti vacanzieri del ferragosto trascorso con Ciuro ed Ingroia, sicuro che il suo pubblico disattento non si accorgerà che proprio tale rivelazione è allo stesso tempo la prova di una sua storica cappella.
    Ma la circostanza, se può sfuggire ai suoi ciechi ammiratori, non sfugge certo al Segugio.
    Ecco quindi, in conclusione, perché Travaglio, quando si prova a farlo parlare di Pippo Ciuro, vera talpa in procura sempre pronta ad informare gli uomini di Provenzano delle attività condotte dai “cugini di campagna” (gergo usato da Ciuro con Aiello per indicare i carabinieri) a loro danno, si inalbera, diventa isterico, e rifiuta, comprensibilmente timoroso del polverone che tale argomento può sollevare sulle “rivelazioni” di Massimo Ciancimino se rapportate con le effettive attività del ROS, (in realtà tutt’altro che compiacenti verso Provenzano ed il suo clan), il contradditorio in pubblico, salvo poi, nella tranquillità dei suoi articoli e delle sue lettere aperte, svicolare dal tema principale a quello delle contabili bancarie relative ai suoi soggiorni siculi nonché, soprattutto, a quello delle sue “non-condanne” per diffamazione.
    Su quest’ultimo tema, poi, Travaglio le spara grosse:
    Al momento sono spiacente di deludere i miei detrattori, ma in 25 anni di carriera giornalistica, durante i quali ho scritto una trentina di libri e dai 15 ai 20 mila articoli, tenendo dalle 1500 alle 2000 conferenze e incontri di vario genere in giro per l’Italia, partecipando a circa 150 trasmissioni televisive (soprattutto in quella TV di Stato dove, a dir suo, “non entri se non hai il guinzaglio” – ndr) e radiofoniche, diffondendo decine di filmati via internet, non ho mai subìto alcuna condanna (per diffamazione – ndr) definitiva.
    Questa cosa non corrisponderebbe al vero, perché in una causa civile Travaglio è già stato considerato diffamatore e condannato in giudizio di terzo grado, quindi definitivo, a risarcire il danno al diffamato.
    Ma Travaglio, relativamente a questo fatto, si improvvisa contorsionista: “Tutt’altro discorso meritano le cause civili per risarcimento dei danni, che portano a un processo del tutto diverso da quello penale: nessuna indagine per accertare i fatti, solo la fredda quantificazione del danno, morale e/o patrimoniale e/o biologico. Paradossalmente, si può danneggiare qualcuno ed essere condannati a risarcirlo anche se si è scritta la verità sul suo conto, ma non lo si è fatto con la necessaria “continenza” espressiva. “
    Naturalmente si tratta di una stratosferica sciocchezza. Ove non fosse dapprima acclarato in modo incontrovertibile che è stato scritto il falso diffamando qualcuno, il procedimento civile per diffamazione non avrebbe neppure storia, e non si arriverebbe a quantificare nessun danno.
    Le sentenze di “soccombenza” (tanto per usare un termine che Travaglio gradisce più di “condanna”) di Marco Travaglio in vari gradi di giudizio in cui si è trovato impegolato il giornalista torinese, chiariscono in modo cristallino, nei testi delle sentenze, come dove quando e perché Travaglio avrebbe scritto cose false.
    Così, ad esempio, nella causa civile che lo ha visto contrapposto a Mediaset e a Confalonieri, il Giudice rileva quanto segue: “deve osservarsi che le condotte (illecite) attribuite dal Travaglio a Mediaset sono specifiche e ben individuate, sicchè il riferimento a tali eventi potrebbe ritenersi lecito soltanto se rispondente al requisito della “VERITA”’, (giacchè per questa parte di articolo deve ritenersi che si faccia “cronaca” e non “critica”, essendosi limitato il giornalista ad elencare una serie di reati e/o di condotte illecite). (…) Poiché il giornalista ha elencato le “nefandezze” di MEDIASET in termini di “certezza”, - senza cioè specificare che si trattava di ipotesi di accusa non (ancora) accertate, - ovvero che erano riferite a terze persone-, tali notizie devono ritenersi non conformi al principio della “verità”, e pertanto devono ritenersi sussistenti gli estremi del reato di diffamazione.”
    Questo dice il Giudice nella causa civile.
    Come ho detto, ormai la barca di Travaglio fa acqua da tutte le parti.

  5. #5
    Shub Niggurath
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    Di gente che faccia lo stesso lavoro di Travaglio (cioè lavoro d'archivio) se ne sentiva il bisogno. Vediamo ora che uscirà fuori dai processi.

    p.s. in ogni caso vi consiglio di non fidarvi troppo nemmeno di Segugio, che a proposito dei fatti siciliani prese già una cantonata mesi fa.

  6. #6
    cassaDISintegrato L'avatar di Ronck
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    Chi è sto qua, illuminato? Perchè sottolineare e grassettare convulsamente tutto .-.

    comunque tl;dr

    Ma sopratutto, bastava osservare quel pezzo di carta 2 secondi per capire che è stato in qualche modo manomesso o trasmesso solo in parte. Senza ingrandimenti e zoomate alla si.e.sai - brianza
    Basterebbe aver fatto almeno la 5a elementare...


  7. #7
    Don't be scared homie! L'avatar di Makaveli
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    Di gente che faccia lo stesso lavoro di Travaglio (cioè lavoro d'archivio) se ne sentiva il bisogno. Vediamo ora che uscirà fuori dai processi.

    p.s. in ogni caso vi consiglio di non fidarvi troppo nemmeno di Segugio, che a proposito dei fatti siciliani prese già una cantonata mesi fa.

    C'è pure censurati.it, però non l'ho mai letto.

    http://www.censurati.it/

  8. #8
    Utente L'avatar di [ega]
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    Domanda Qualcuno aveva dubbi?

    Iniziano a salta fuori gli altarini. Qualcuno aveva anche dubbi che si trattasse di prove create ad arte?

  9. #9
    Utente L'avatar di Palmuzz
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    Chi è sto qua, illuminato? Perchè sottolineare e grassettare convulsamente tutto .-.

    Si sono gli stessi compagni di merende

  10. #10
    Cyber Spread
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    Occhiolino

    Nuovo cinema Ciancimino

    Non solo la fantomatica trattativa tra Stato e mafia, il figlio di don Vito dice la sua anche su Ustica, Gladio e caso Moro. Ecco il diario del nuovo vate d’Italia



    Il titolo è prosopopeico: Nel nome del padre. Il sottotitolo non da meno: “Sono ventitrè gli interrogatori di Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito. E una valanga i pizzini che riscrivono la storia dei misteri d’Italia, da Gladio alle stragi del ’92, sino ai politici di oggi. Citati con nome e cognome. Eccoli”. Massimo Ciancimino detto Junior, il figlio del sindaco mafioso di Palermo Vito, il testimone chiave al processo di Palermo contro il generale Mario Mori per la mancata cattura del boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, oggi è diventato il vate dei misteri d’Italia. Non bastavano la riduzione della condanna per riciclaggio e la ribalta televisiva.
    Nel nome del padre è già alla seconda edizione. La prima, tremila copie, è andata esaurita in una sola settimana. Il libro è pubblicato dall’editrice siciliana Novantacento, che edita anche un mensile di cronaca che ha tra i suoi collaboratori fissi il sostituto procuratore Antonio Ingroia, titolare dell’accusa al processo Mori. Il coordinatore editoriale della rivista Claudio Reale spiega a Tempi che la pubblicazione dei verbali di Ciancimino è stata possibile perché gli atti non sono stati segretati. Purtroppo per Junior, verrebbe da aggiungere. Più che una raccolta di verbali, è un divertissement da spiaggia, non fosse che le deposizioni di Junior infiammano da mesi la pletora di cronisti giustizieri e infangano il lavoro di due ufficiali che hanno combattuto la mafia rischiando la vita.
    Secondo Massimo Ciancimino, infatti, il padre don Vito fu contattato nel 1992 da Mori e dall’allora capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno per intavolare una trattativa con Totò Riina e indurlo alla resa. Ma papà Ciancimino sarebbe stato protagonista anche di una seconda trattativa, con i carabinieri da una parte e Provenzano dall’altra, finalizzata alla cattura di Riina, in cambio dell’immunità a Provenzano. Le parole di Massimo smentiscono lo stesso don Vito, che ha sempre raccontato di aver tentato una collaborazione con Mori e De Donno per arrivare alla cattura di Riina, sì, ma di non esservi riuscito. Non vi fu, secondo don Vito, alcuna trattativa: si era tentato di far arrendere Riina, ma le richieste presentate da questi non vennero mai prese in considerazione da Mori che voleva la resa immediata o la cattura; inoltre successivi tentativi di don Vito di collaborare alla cattura di Riina si bloccarono col suo arresto. Poi arriva Massimo e riscrive la storia con i fuochi d’artificio. Il 6 giugno 2008, Massimo rivela ai pubblici ministeri Ingroia, Di Matteo e Gozzo il vero motivo per cui sarebbe finita la latitanza record (43 anni) di Bernardo Provenzano. Racconta che il boss, ricercato dalle polizie di mezzo mondo, visitava regolarmente don Vito, mentre questi era agli arresti domiciliari nella sua casa romana nei pressi di piazza di Spagna a Roma. I pm palermitani per poco non cadono dalle sedie: «Ah, lei lo ha visto... lei disse a suo padre “ma come questo super latitante viene a casa di uno agli arresti domiciliari”?». Risponde Massimo: «Secondo mio padre doveva essere un accordo a monte che garantiva il tutto, perché mio padre mi disse: “Non ti scordare che nel momento in cui vorrà, si consegnerà lui”». Junior si sente incoraggiato e prosegue: «Mio padre mi disse poi una frase che era importante: “Perché un uomo quando non riesce ad andare al bagno... non ha più senso niente”. Era quello che capitava a mio padre, perché non era autonomo. Mio padre, come Provenzano, aveva avuto problemi di prostata e avevano parlato di queste cose, che la vita quando non hai questo tipo di autonomia...». Dunque Binnu, la primula rossa di Cosa Nostra, non finì in galera per la bravura delle forze dell’ordine. No, fu solo questione di pipì.
    La scena madre di Junior, invece, ha al centro il fantomatico papello. Ai pm Massimo lo indica come la prova regina della trattativa Stato-mafia, ma per mesi rinvia la consegna, sostenendo che si trova in un caveau all’estero. Stremati dal tira e molla durato più di un anno, il 23 gennaio 2009 i pm Di Matteo e Ingroia, alla presenza del procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, mettono Junior alle strette. Ingroia: «Noi riteniamo che lei oggi debba indicarci quanto meno il paese, la banca, dove si trova questa cassetta di sicurezza, noi attiveremo tutte le rogatorie...». Nell’austero ufficio della procura accade l’imprevedibile: “Ciancimino singhiozza” riporta il brogliaccio dell’interrogatorio. L’avvocato di Junior, stralunato, interviene: «Perché piangi?». Ingroia incalza: «Se c’è necessità di fare una selezione di documenti privati che non hanno rilievo investigativo, avrà la possibilità di non consegnare queste cose però noi la preghiamo, la invitiamo caldamente, oggi di concludere l’interrogatorio dandoci queste indicazioni...». L’avvocato di Ciancimino: «Scusa ma perché piangi?». E Junior, tra le lacrime: «No, non ve lo indico». Ingroia: «Non ce lo indica...». Junior riprende: «Vi avevo chiesto un minimo di segnali da dire: ne vale la pena...». Passerano altri nove mesi prima che in procura vedano il famoso papello. Veniamo infine alla benedetta trattativa, cuore pulsante delle dichiarazioni di Junior. Massimo ne parla fin dal 7 aprile 2008. Però le versioni che riporta, con il tempo, si arricchiscono di nuovi particolari. All’inizio si limita ad anticipare le date degli incontri tra il padre e i carabinieri al giugno del 1992. Assicura che don Vito si fida di loro. Sostiene che il padre tenta di collaborare con i carabinieri per fare catturare Riina e contatta Provenzano per scoprire dove si nasconda. «Sembra fantapolitica» dice Junior ai pm il 7 aprile 2008. Parole sante. Nelle puntate successive degli interrogatori la vicenda si complica.

    «Un nome l’aveva, mi creda»
    Nel racconto appare anche un misterioso agente dei servizi segreti, che per anni sarebbe stato in contatto con don Vito e che nella trattativa avrebbe detto al sindaco che dietro i carabinieri c’erano due politici, gli allora ministri Nicola Mancino e Virginio Rognoni: «Non lo so se si chiamava Carlo, Franco... un nome l’aveva, mi creda» dice Junior. Davanti al racconto i dubbi non mancano. Ad esempio: dal negoziato Provenzano avrebbe guadagnato l’incolumità, ma cosa ci guadagnava don Vito? Arrestato, rimasto in carcere fino al 1999 e ai domiciliari fino alla morte, Ciancimino senior ha sempre sostenuto la versione di Mori. «Era una versione di comodo» dice Junior, e cerca di tappare le falle della ricostruzione con suggestioni di peso: «Mio padre pensava di essere stato scavalcato nella trattativa. Da Dell’Utri». Insomma. Alla fine nella ricostruzione di Massimo ci sono almeno tre trattative. Una tra i carabinieri, don Vito e Riina. Un’altra tra i carabinieri, il signor Franco, Rognoni e Mancino, don Vito e Provenzano. Un’ultima tra Dell’Utri e Provenzano e non si sa più chi altro. Dopo tutto questo, la domanda sorge spontanea anche nei pm. Chiede Ingroia il 12 dicembre 2008: «Ma allora, se c’era bisogno delle garanzie del signor Franco, che bisogno c’era di fare la trattativa tramite Mori e De Donno, perché suo padre non la faceva direttamente col signor Franco?». Junior ci pensa su: «Perché il signor Franco non l’aveva mai proposto a mio padre... non si è mai fatto portatore dell’arresto di Provenzano e Riina... Lui per mio padre era un trait d’union...». Ma con chi e perché ancora non si è capito. Arrivederci alla prossima puntata di questa tragicommedia.

    http://segugio.splinder.com/

  11. #11
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    Di gente che faccia lo stesso lavoro di Travaglio (cioè lavoro d'archivio) se ne sentiva il bisogno. Vediamo ora che uscirà fuori dai processi.

    p.s. in ogni caso vi consiglio di non fidarvi troppo nemmeno di Segugio, che a proposito dei fatti siciliani prese già una cantonata mesi fa.
    Sono il Segugio.

    Ti sarei grato se mi descrivessi la cantonata.

  12. #12
    Sopra le Nuvole di Roio L'avatar di GRIEVERhead
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    Ti sarei grato se mi descrivessi la cantonata.
    primo messaggio eh? benvenuto

  13. #13
    Don't be scared homie! L'avatar di Makaveli
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    Ti sarei grato se mi descrivessi la cantonata.
    Grande Segugio.

  14. #14
       L'avatar di Ghost85
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    Sono il Segugio.

    Ti sarei grato se mi descrivessi la cantonata.
    Chiedo, anche qui, ufficialmente scusa a il Segugio. Purtroppo avevo frainteso le intenzioni, pensando ad un fake in vena di un po' di visibilità, e non che fosse il "vero" Segugio. Per questo motivo, riapro il topic
    Ultima modifica di Ghost85; 14-04-2010 alle 20:50:07

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