La fine del socialismo della spesa
C’è sicuramente molta esagerazione nella tesi secondo cui la crisi economica cambierà radicalmente il volto dell’Europa e, in particolare, cancellerà quella sua specificità (che l’ha sempre differenziata dagli Stati Uniti) rappresentata da estesi e costosi sistemi pubblici di welfare. La storia non fa salti e non ne farà nemmeno in questa occasione. Però, un ridimensionamento sensibile, unito a una forte razionalizzazione delle spese, dei sistemi di welfare, sembra inevitabile nel corso degli anni a venire (per le ragioni indicate da Piero Ostellino sul Corriere di ieri) . Tale evenienza, sul piano politico, potrebbe fare una vittima illustre, carica di storia: il socialismo, in tutte le sue diverse sfumature e varianti. Era stata proprio l’influenza dei partiti socialisti (insieme a quella delle forze politiche di ispirazione religiosa) a determinare, nel Novecento, l’espansione dei sistemi di welfare dell’Europa occidentale e a fare di tale espansione una peculiarità dell’Europa. Se il processo si inverte, lo spazio per forze politiche socialiste (con connessioni più o meno organiche con organizzazioni sindacali) diventa sempre più ristretto.
Quali che siano le caratteristiche aggiuntive che gli si vogliano attribuire, il socialismo europeo è stato, prima di tutto, e soprattutto, uso della spesa pubblica per fini di ridistribuzione, ampliamento costante di quelli che, nel linguaggio socialista, venivano chiamati «diritti» (ossia, l’ accesso alle prestazioni sociali dello Stato) in nome di un principio di uguaglianza. Ma se tutto questo diventa economicamente insostenibile, se persino il carattere universale delle prestazioni di welfare (che comunque, ancorché ridimensionate, sopravviveranno) rischia di essere messo in discussione a causa della scarsità delle risorse e della conseguente necessità di scegliere i soggetti a cui continuare a erogare le prestazioni e i soggetti da escludere, il socialismo finisce per perdere gran parte della sua ragione sociale. I conservatori sono sicuramente molto più attrezzati, per cultura politica e insediamenti elettorali, a governare in una fase storica che si annuncia assai lunga e che potremmo definire di welfare austerity.
L’attuale crisi dei socialismi meridionali, greco, spagnolo, portoghese, è un fatto solo congiunturale (spiegabile con gli alti e bassi che sempre hanno le fortune dei partiti in democrazia) o rispecchia una condizione strutturale: il fallimento definitivo del «socialismo della spesa», la sua, ormai irreversibile, insostenibilità finanziaria? E come spiegare il fatto che in Italia, nemmeno in una situazione di dura crisi economica, le proposte di espansione della spesa del maggior partito di opposizione, il Partito Democratico, hanno fin qui incontrato il favore dell’elettorato?
Fondamentalmente, le fortune future dei partiti socialisti sembrano dipendere da come gli elettorati reagiranno, nei prossimi anni, alle severe misure di difesa dei conti pubblici che i partiti conservatori attueranno.
Gli elettori si troveranno sempre più a dover scegliere fra vantaggi di breve e vantaggi di medio termine (fra l'uovo oggi e la gallina domani). La riduzione delle prestazioni degli Stati produrrà, presumibilmente, forte disagio sociale e forti proteste. I partiti socialisti, naturalmente, le cavalcheranno.
Ma potranno essere premiati dagli elettori solo se questi ultimi penseranno esclusivamente in termini di vantaggi a breve termine: se chiederanno, cioè, di bloccare la riduzione delle prestazioni sociali anche a costo di trovarsi, subito dopo, nella situazione catastrofica in cui si trovano oggi i greci. Se questo non avverrà, la sorte elettorale dei partiti socialisti (o di ispirazione socialista, come il Pd italiano) diventerà sempre più precaria.
Occorre una grande fantasia e leadership capaci e ispirate per riscrivere di sana pianta la propria «ragione sociale», i propri fini politici. Nonostante non abbia potuto resistere all’usura di un lungo periodo di governo e all’impatto della crisi, il New Labour britannico, di Blair e di Brown, proprio questo, almeno in parte, aveva tentato di fare.
La fine del «socialismo della spesa» sembra non lasciare alternative ai socialismi meridionali: o rinnovare radicalmente scopi e culture politiche o rassegnarsi al declino.
Angelo Panebianco
http://www.corriere.it/editoriali/10...4f02aabe.shtml
Come ben saprete, si è aperto da giorni un dibattito riguardo al taglio della spesa pubblica inutile ed improduttiva. Una spesa pubblica da addebitare principalmente ad una determinata influenza catto-socialista, che ha contraddistinto i governi europei e soprattutto italiani dal dopoguerra ad oggi.
Un Welfare State ridondante ed a tratti vomitevole ha man mano sottratto sempre più ricchezza al settore privato, creando un circolo vizioso in cui il controllo della spesa è diventato sempre meno efficiente, a causa dell'eccessiva burocratizzazione della politica e degli enti pubblici.
Molti hanno mangiato a sbafo e tanti altri hanno regalato o direttamente intascato i soldi di chi lavora e produce. Ora pare che l'Europa si stia svegliando, modificando questo sistema che ci ha pian piano condotto alla rovina.
Cosa ne pensate in merito? Da dove si dovrebbe cominciare per tagliare la spesa pubblica?