Kennedy, la verità dei bodyguard
23 novembre 2010
Le guardie del corpo di John Fitzgerald Kennedy, che il 22 novembre del 1963 erano in servizio a Dallas, in Texas, a 47 anni di distanza dall’omicidio del presidente americano continuano a sentirsi «profondamente in colpa» per quanto successo. Hanno dovuto convivere per il resto della loro esistenza con quel ricordo, che rappresenta per loro «una macchia incancellabile, anche se non siamo mai stati nelle condizioni di poter intervenire».
Così due degli agenti dei servizi segreti che proteggevano Kennedy hanno raccontato alla Cnn la loro esperienza. Per 47 anni hanno evitato di rilasciare interviste o di partecipare a eventi pubblici in cui si ricordava quel tragico giorno. Ora, a 47 anni esatti dall’assassinio di Dallas, hanno detto sì: «Da quasi cinquant’anni mi porto addosso la sensazione che avrei dovuto fare qualcosa di più, anche se non era possibile», ha detto alla Cnn, Gerald Blaine, uno degli uomini schierati quel giorno a protezione della limousine scoperta su cui sedevano John e Jacqueline Kennedy.
Mezzo secolo dopo, Blaine ha deciso di scrivere un libro su quella esperienza. Si intitola “The Kennedy Detail” e fornisce il racconto dettagliato minuto dopo minuto di quanto successo il 22 novembre a Dallas. Tra i dettagli rivelati, anche questo: nelle concitate ore seguite all’attentato venne sfiorata un’altra tragedia. Per poco i servizi segreti non sparavano a Lyndon Johnson. L’episodio avvenne alle 2.15 di notte a Washington, fuori della casa dei Johnson. L’agente Blaine era incaricato della sua protezione. Alle 2 udì dei passi, vide un ombra avvicinarsi e puntò la pistola al petto dell’individuo, intimandogli l’alt. Quell’ombra era lo stesso Johnson.
L’agente Clint Hill, invece, era a Dallas nella vettura che seguiva immediatamente quella del presidente. Dopo il primo sparo, «lo vidi portare le mani alla gola e piegarsi sulla sua sinistra - ha detto alla Cnn - Sono saltato giù subito e sono corso verso la macchina. Ho sentito un secondo colpo. E, subito dopo, il terzo sparo, che ha colpito il presidente alla testa. Sono arrivato troppo tardi».
Hill, Blaine e gli altri uomini dei servizi segreti in servizio quel giorno continuano a vivere come un dramma quel ricordo: «Non abbiamo responsabilità per quanto successo, ma è come se. Perché dovevamo proteggere il presidente, e invece è stato ucciso sotto i nostro occhi».